Sono sempre più numerose le aziende che ricevono richieste da parte di lavoratrici e lavoratori di poter usufruire di giorni di riposo e di congedo durante un trattamento di procreazione medicalmente assistita (PMA). Ma come deve atteggiarsi il datore di lavoro di fronte a tali istanze?
In primo luogo, occorre rilevare sia come il ricorso ai trattamenti di PMA non rientri nella casistica per cui il Legislatore ha previsto la possibilità di fruire dell’aspettativa retribuita dal lavoro sia come la maggior parte dei contratti collettivi nazionali di lavoro non individuino la PMA come una fattispecie tipica che dia diritto ad un congedo retribuito.
La normativa italiana prevede che le coppie che hanno intrapreso il percorso del trattamento della PMA possano assentarsi dal posto di lavoro, usufruendo di un’indennità di malattia erogata dall’Inps. Infatti, pur non potendosi qualificare propriamente come “malattia”, le pratiche di procreazione assistita, vanno comunque ad essa equiparate, in quanto non raramente la sterilità provoca sofferenze più o meno accentuate e danni alla salute psicologica della coppia.
Sul punto, nel silenzio della legge, la circolare INPS n. 7412 del 4 marzo 2005 ha affermato che: “Le pratiche di procreazione assistita, pur non potendosi considerare “malattia” in senso classico, devono essere ad essa assimilate. Infatti, il periodo di riposo di solito prescritto è finalizzato ad un adeguato impianto dell’embrione in utero, perché è ridotto il rischio di ipercontrattilità del miometrio che potrebbe essere facilitata dagli sforzi, talvolta anche minimi.
E dato che la procreazione medicalmente assistita viene dall’Inps assimilata ad una malattia, ne consegue che va concessa, alla coppia che ha intrapreso questo percorso, la possibilità di beneficiare dell’assenza retribuita dal lavoro.
Nello specifico, INPS ammette quindi per la donna la copertura delle giornate di ricovero ospedaliero o day hospital presso strutture specialistiche, pubbliche o private autorizzate, per il prelievo e il trasferimento di embrioni (pick up e transfer), oltre a quelle di riposo dopo la degenza (15 giorni in media successivi al trasferimento) prescritte dal ginecologo per limitare il rischio di contrazioni uterine, di situazioni di stress e di altri fattori che potrebbero ostacolare un adeguato impianto dell’embrione in utero.
Al di fuori di queste indicazioni, l’erogazione dell’indennità di malattia per fecondazione artificiale è limitata ad altre situazioni inerenti la fase antecedente l’impianto, ovvero in presenza di complicanze determinate dalla tecnica impiegata, della gravidanza, o ancora di patologie preesistenti che ne potrebbero ostacolare il regolare decorso
In generale quindi si può avere diritto a un totale di 21 giorni di assenza retribuita, corrispondenti a una settimana prima del transfer e a due settimane a post-intervento, come anche ai giorni di ricovero e/o day hospital.
La struttura ospedaliera che effettua il trattamento rilascia in triplice copia (una per il datore di lavoro, una per l’Inps e una per la lavoratrice/lavoratore) il certificato di infertilità e di fecondazione assistita riferito alle effettive giornate di ricovero.
Per quel che riguarda i giorni di riposo prescritti dopo l’impianto o le giornate pre-impianto, attraverso l’usuale procedura telematica verrà comunicata ad INPS ad opera del medico curante un certificato medico con la diagnosi “cure per fertilità e fecondazione assistita secondo circolare Inps 7412, 4 marzo 2005” e la prognosi per i giorni prescritti, rilasciando contestualmente un documento da recapitare al datore di lavoro per i giorni di assenza, che per questioni di privacy non conterrà la prognosi, quindi il motivo dell’ assenza per malattia.
La Circolare INPS 7412/2005 precisa che per i controlli ecografici ed ematici quotidiani, “si farà ricorso ad altri istituti contrattuali (permessi orari), ad eccezione di fattispecie particolari che possano integrare la necessità medico legale di un riposo anche antecedente la fecondazione assistita, valutabile nel caso concreto e, approssimativamente, in una settimana”.
Peraltro, occorre rilevare come, nel caso di lavoratrici che ricorrono a tecniche di procreazione assistita presso strutture ospedaliere all’estero in Paesi appartenenti all’Unione Europea, la prassi è la medesima ma vengono effettuate verifiche approfondite sulla conformità delle tecniche di PMA con la normativa italiana, condizione indispensabile per vedersi riconosciuto dall’INPS l’indennizzo per malattia del periodo di astensione dal lavoro.
Da ultimo la Circolare chiarisce che “Ove vengano effettuate tecniche di procreazione assistita che richiedono il prelievo degli spermatozoi dall’epididimo o dal testicolo, un congruo periodo di malattia, valutabile nell’ordine dei dieci giorni, é riconoscibile anche al lavoratore”.