Dipendente – Rifiuto visita medica | ADLABOR

È stato recentemente affrontato dal nostro studio il caso di alcuni dipendenti, addetti ad un cantiere all’interno di un polo petrolchimico, i quali avrebbero dovuto essere sottoposti alla visita medica periodica, da parte del Medico aziendale competente, ai sensi della disciplina ex d.lgs. 81/2008.

L’azienda si organizzava affinché le visite mediche si svolgessero a bordo di un’unita mobile che si sarebbe recata direttamente presso il cantiere ove prestavano la loro attività i dipendenti, e che era dotata di idonee certificazioni ed autorizzazioni precedentemente riscontrate anche dall’RSPP della Società, al fine ottimizzare i tempi ed evitare di “perdere” le ore necessarie ai lavoratori per recarsi nell’ambulatorio del medico aziendale competente.

I lavoratori, con un comunicato inviato all’azienda e sottoscritto dai membri della RSU, rifiutavano però di espletare le visite mediche all’interno dell’unità mobile, rivendicando il diritto di sottoporsi alla visita medica presso un’altra struttura, distante diversi chilometri dal cantiere, in orario di lavoro e pretendendo il rimborso dei costi di trasporto sostenuti per recarsi a svolgere la visita medica.

Alla luce di tali circostanze, il quesito avanzato è quello se un lavoratore ha la facoltà di rifiutarsi di sottoporsi alla visita ad opera del medico aziendale competente o se si tratta invece, in assenza di valide ragioni, di un comportamento disciplinarmente rilevante e di gravità tale da consentire addirittura la risoluzione del rapporto per giusta causa.

In primo luogo, prima di affrontare il merito della questione, facciamo chiarezza su alcuni aspetti  relativi alle visite mediche periodiche, su cui sono sorti  anche in passato degli dubbi, ed in particolare:

  • se le suddette visite vanno svolte in orario di lavoro o se il datore di lavoro ha facoltà di inviare il lavoratore a visita anche fuori dall’orario di servizio;
  • se il tempo impiegato dal lavoratore per effettuare la visita, qualora si svolga al di fuori dell’orario di servizio,  va o meno essere retribuito come ore di lavoro straordinario;
  • Chi si deve fare carico degli oneri economici inerenti il trasporto dei lavoratori nel percorso, quando non può essere coperto a piedi, verso e dall’ambulatorio indicato dal Medico Competente per espletare gli esami clinici e biologici e le indagini diagnostiche ex 41, comma 4, primo periodo del D.lgs. 81/2008, complementari alle visite mediche periodiche, al luogo ove abitualmente svolgono la proprio attività lavorativa;
  • se il tempo impiegato dal lavoratore per spostarsi dalla casa di cura indicata dal medico competente al luogo nel quale lo stesso lavoratore esplica abitualmente l’attività lavorativa deve essere considerato orario di lavoro.

Su tali questioni rileviamo che il Ministero del Lavoro ha fornito esaustivi chiarimenti con due diversi interventi in risposta a degli interpelli avanzati da alcune organizzazioni sindacali dei lavoratori.

Il Ministero del Lavoro, con nota del 6 ottobre 2014, n. 18, dopo avere premesso che, nonostante l’art. 41 d.lgs. 81/2008 non indichi espressamente l’obbligo di espletare la visita medica durante l’attività lavorativa, dall’analisi della ratio della disciplina (art. 18 d.lgs. 81/2008), volta alla tutela del bene primario dell’integrità fisica e psichica del lavoratore, emergerebbe il principio per cui l’effettuazione della visita medica è funzionale all’attività lavorativa, giunge alla conclusione secondo cui il datore di lavoro deve comunque giustificare le motivazioni produttive che causino la collocazione temporale della visita medica periodica fuori dal normale orario di lavoro.

In merito invece alla circostanza se è onere del datore di lavoro retribuire con le maggiorazioni previste per il lavoro straordinario il dipendente al quale viene fissata la visita medica periodica al di fuori del normale orario di lavoro, il Ministero risponde in modo affermativo, citando quanto previsto dall’art. 15, comma 2 del d.lgs. 81/2008, che espressamente prevede “Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori“.

Il Ministero del Lavoro conclude così la sua interpretazione, affermando che “i controlli sanitari debbano essere strutturati tenendo ben presente gli orari di lavoro e la reperibilità dei lavoratori. Laddove, per giustificate esigenze lavorative, il controllo sanitario avvenga in orari diversi, il lavoratore dovrà comunque considerarsi in servizio a tutti gli effetti durante lo svolgimento di detto controllo anche in considerazione della tutela piena del lavoratore garantita dall’ordinamento”

Sempre fondando la propria valutazione sull’art 15 del d.lgs. 81/2008 già citato, il quale stabilisce il principio di non onerare economicamente i lavoratori che si debbano sottoporre ad accertamenti sanitari, il Ministero del Lavoro, con nota del 25 ottobre 2016, n. 14, ha precisato che anche i costi connessi ad eventuali spostamenti, che si rivelino necessari al lavoratore per recarsi ad effettuare le visite mediche periodiche, non devono comportare oneri finanziari per il dipendente.

Da tale interpretazione della norma, è quindi agevole dedurre che secondo il Ministero del Lavoro il datore di lavoro si deve fare carico degli eventuali costi di trasporto (pubblico o privato) che sono gravati sul dipendente per il percorso compiuto dalla casa di cura indicata dal medico competente al luogo di lavoro. Il Ministero infine, confermando quanto parzialmente già detto nella nota n. 18/2014, precisa anche che “il tempo impiegato per sottoporsi alla sorveglianza sanitaria, compreso lo spostamento, deve essere considerato orario di lavoro”.

Avendo contezza dell’interpretazione ministeriale che, di fatto, accolla al datore di lavoro sia i costi di trasporto dei dipendenti ogniqualvolta si debbano recare alla visita medica periodica ex art. 41 d.lgs. 81/2008, sia il tempo della visita e del percorso dal luogo di lavoro all’ambulatorio medico appare evidente come sia più che condivisibile che un datore di lavoro, qualora ve ne sia la possibilità, si adoperi affinché le visite mediche avvengano in locali idonei presenti sul posto di lavoro, così da non dover subire oneri ulteriori.

Pertanto non sembra esserci alcun motivo ostativo che impedisca al datore di lavoro di far eseguire dal medico aziendale competente le visite mediche ex art. 41 d.lgs. 81/2008 presso un ambulatorio mobile o in ambulatori approntati all’uopo presso le diverse unità produttive aziendali, purché dotati delle previste certificazioni ed idoneità.

Consideriamo, a questo punto, la questione circa la rilevanza disciplinare o meno del comportamento messo in atto dal quel lavoratore che rifiuti di sottoporsi alla visita medica da parte del medico aziendale competente che è disciplinata dall’art. 41 d.lgs. 81/2008.

In primo luogo occorre osservare che la sorveglianza sanitaria rientra fra gli obblighi del datore di lavoro di cui all’art. 18 del d.lgs. n. 81/2008 con l’obiettivo della tutela dello stato di salute e sicurezza dei lavoratori attraverso la valutazione della compatibilità tra condizioni di salute e compiti lavorativi.

In caso di mancato invio dei lavoratori alle visite mediche il datore di lavoro è sanzionabile  con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 1.315,20 a 5.699,20 euro come indicato all’art. 55 comma 5 lettera c) del D.lgs 81/2008. Una novità introdotta dal Job Act nel 2015 è che se la violazione, di cui sopra, si riferisce a più di cinque lavoratori gli importi della sanzione sono raddoppiati; se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori gli importi della sanzione sono triplicati, come indicato all’art. 55 comma 6-bis d.lgs. 81/2008.

Se il datore di lavoro è il soggetto attivo individuato dalla norma per ottenere la tutela dell’integrità fisica-psichica del lavoratore, in modo speculare l’art. 20 comma 2 del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 prevede espressamente tra gli obblighi del lavoratore, quello  di sottoporsi ai controlli sanitari, facendone il soggetto passivo della norma. Secondo l’art. 20 citato i  lavoratori devono in particolare: “b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale;…. i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente”.

L’art. 59 dello stesso d.lgs. n. 81/2008 stabilisce anche il regime sanzionatorio per quei lavoratori che violino gli obblighi previsti dalle lettere b) e i) dell’art. 20 comma 2 sopra citate, rifiutandosi di sottoporsi alle visite del medico competente, e prevede “l’arresto fino a un mese o l’ammenda da 200 a 600 euro”.

Ma oltre all’apparato sanzionatorio previsto dal d.lgs. n. 81/2008, si rileva che in alcuni casi anche la contrattazione collettiva prevede una sanzione per il lavoratore che si rifiuta di sottoporsi a controlli sanitari periodici.

Ad esempio, l’art. 52 del CCNL il CCNL Chimici-Industria alla lettera d) prevede la sanzione del licenziamento per giusta causa del lavoratore che sia indisponibile a “sottoporsi ai controlli sanitari preventivi e periodici previsti dal programma di sorveglianza sanitaria attuato in applicazione di norme cogenti o accordi sindacali”.

Anche le parti sociali del settore chimico hanno quindi ritenuto la condotta del lavoratore che rifiuta di sottoporsi alla visita del medico aziendale competente nell’ambito del programma di sorveglianza sanitaria caratterizzata da un disvalore tale da legittimare il licenziamento senza preavviso.

Tuttavia, sul punto si è espressa nel tempo anche la giurisprudenza che ha valorizzato il principio secondo cui non è ammissibile il rifiuto del lavoratore di sottoporsi alle visite del Medico Competente e come tale comportamento abbia un’indubbia rilevanza disciplinare. Con la sentenza n. 3160 del 6 aprile 1993, sez. III penale, la Suprema Corte ha addirittura condannato il datore di lavoro per essersi limitato a sanzionare due dipendenti con due ore di stipendio di multa invece che procedere al loro licenziamento. Secondo la Corte di Cassazione, di fronte ad un rifiuto del dipendente a sottoporsi alle visite mediche previste, il datore di lavoro, oltre ad avvertire le autorità competenti, deve procedere a progressive ed efficaci sanzioni disciplinari al fine di stigmatizzare la condotta illegittima del lavoratore e convincerlo ad adempiere all’obbligo sanitario e qualora tali sanzioni non raggiungano lo scopo, il datore di lavoro può ricorrere al licenziamento per giusta causa.

In particolare la pronuncia n. 3160 del 6 aprile 1993 della Suprema Corte ha affermato che: “Risponde del reato di cui all’art.33, comma 1, DPR 303/56 il datore di lavoro che non imponga ai dipendenti di sottoporsi alle visite mediche periodiche obbligatorie medianti sanzioni disciplinari adeguate sino a giungere al licenziamento per giusta causa; …. “dunque il datore di lavoro è tenuto ad un’attività di controllo e di vigilanza costante volta ad impedire comportamenti del lavoratore tali da rendere inutili o insufficienti le cautele tecniche apprestate e deve adottare, se necessario, sanzioni di carattere disciplinare anche di carattere espulsivo, come il licenziamento” (cfr. Cass. 8 febbraio 1993, n. 1523; Cass. 6 aprile 1993, n. 3160).

Anche recentemente la Corte di Cassazione (Cass. 22 novembre 2016, n. 23740), pur dichiarando inammissibile il ricorso datoriale per motivi procedurali, ha affrontato il caso di due lavoratori che si sono rifiutati di ottemperare all’obbligo della visita medica periodica e che sono stati licenziati dal datore di lavoro. In questo caso, la sentenza della Corte d’Appello di Roma impugnata avanti al giudice di legittimità, pur ritenendo integrato un illecito disciplinare dalla condotta omissiva posta in essere dai due dipendenti, ha ritenuto sproporzionato il recesso per giusta causa, in quanto nella fattispecie, secondo i giudicanti,  i lavoratori non si sarebbero sottoposti alla visita medica “a causa della condotta della società che aveva ingenerato con il proprio comportamento dubbi ed equivoci  in capo ai lavoratori” (parrebbe che l’azienda non avrebbe avvisato i due lavoratori che la visita del medico aziendale competente fosse necessaria).

A prescindere dalla particolarità che caratterizza il caso concreto, emerge però anche nella pronuncia citata, come il rifiuto del lavoratore a sottoporsi alla visita del medico aziendale competente costituisca indubbiamente illecito disciplinare e come in presenza di un’adeguata informazione, nei confronti del lavoratore, della obbligatorietà e necessità di tale visita medica, da parte del datore di lavoro, la conseguenza sanzionatoria possa essere anche la risoluzione del rapporto per giusta causa.

Infine, vale la pena porre brevemente l’attenzione anche sulla sentenza n. 86 del 7 maggio 2015 emessa dal Tribunale di Bolzano, nella quale viene sancita la radicale differenza tra le visite mediche previste dall’art. 41 d.lgs. 81/2008 e le visite mediche ex art. 5 L. 300/1970 e conseguentemente anche i diversi effetti che ne derivano in caso di mancata ottemperanza da parte del dipendente chiamato a sottoporsi a tali accertamenti sanitari.

Secondo il Tribunale i lavoratori soggetti all’obbligo di sorveglianza sanitaria sarebbero tenuti a sottoporsi solo alle visite effettuate dal medico competente, mentre l’eventuale rifiuto ad effettuare la visita medica richiesta dal datore di lavoro presso una struttura pubblica ex articolo 5 dello Statuto dei Lavoratori non costituirebbe illecito disciplinare e quindi un eventuale licenziamento per giusta causa risulterebbe illegittimo.

Il licenziamento disciplinare irrogato al dipendente soggetto all’obbligo di sorveglianza sanitaria, ex D.lgs. n. 81 del 2008, che rifiuti di sottoporsi a visita medica ex art. 5, L. n. 300 del 1970 è stato ritenuto illegittimo, in quanto secondo il giudice di merito “il rapporto tra i due istituti di cui alle  norme richiamate è di complementarità, nel senso che l’art. 5, comma 3, L. n. 300, nella parte in cui prevede la generale possibilità da parte del datore di lavoro di far verificare da un organo tecnico terzo la idoneità lavorativa del prestatore, costituisce norma generale, rispetto alla quale la previsione dell’obbligo di sorveglianza sanitaria, in relazione ai determinati ambiti per i quali esso è prescritto (come nella specie), è istituto speciale. Da ciò deriverebbe che l’applicabilità dell’art. 5, L. n. 300 resta limitata agli ambiti per i quali non è previsto l’obbligo di sorveglianza sanitaria con la conseguenza che una volta ottemperato, da parte del lavoratore, l’obbligo di sottoporsi alla prescritta sorveglianza sanitaria, nessun altro obbligo può configurarsi in capo allo stesso di sottoporsi a visite ulteriori, pena, tra l’altro, la violazione del precetto di cui all’art. 32 della Costituzione, nonché della ratio dello stesso art. 5, L. n. 300, volto a tutelare la dignità del lavoratore e non, invece, ad onerarlo di ulteriori e superflui obblighi di sottoporsi a visite mediche costituenti inutili e defatiganti reiterazioni di ciò che viene analiticamente prescritto da fonti normative speciali in ragione delle specifiche mansioni svolte da determinate categorie di lavoratori” (Tribunale di Bolzano, sent. n. 86 del 7 maggio 2015, in Guida al Lavoro 25.9.2015 – n. 37, pag. 38).

Anche tale pronuncia, a prescindere dai distinguo con gli accertamenti sanitari ex art. 5 L. 300/1970, sembrerebbe però concorde nel ritenere passibile di licenziamento il comportamento del dipendente che omette volontariamente di sottoporsi alla visita medica di cui al d.lgs. 81/2008.

Pertanto, nel caso in cui dei lavoratori rifiutino di ottemperare all’obbligo su di loro gravante di permettere al medico aziendale competente di effettuare gli accertamenti sanitari, appare opportuno per le aziende avviare un procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti recalcitranti. Del pari appare coerente con la disciplina e l’orientamento della giurisprudenza sul punto che, in assenza di valide giustificazioni da parte del lavoratore, il procedimento disciplinare possa poi sfociare in un licenziamento per giusta causa,  a maggior ragione se il CCNL applicabile prevede espressamente tra le ipotesi di risoluzione per giusta causa del rapporto di lavoro, l’indisponibilità del lavoratore a sottoporsi ad accertamenti sanitari.

Da ultimo, si rileva che il rifiuto delle maestranze ad effettuare la visita medica comporterebbe  anche l’impossibilità di adibire i lavoratori ad attività in cui siano stati individuati rischi lavorativi dal DVR e quindi si renderebbe necessario, ove possibile, l’assegnazione a mansioni diverse da quelle svolte, ma qualora ciò non fosse possibile  l’unica alternativa plausibile e praticabile sarebbe il licenziamento dei lavoratori non idonei, o quantomeno la sospensione del rapporto. Infatti, se i lavoratori non si sottopongono alla visita medica, il medico aziendale  competente dovrebbe  formulare un giudizio di inidoneità alla mansione specifica, per lo meno temporanea che permetterebbe al datore di lavoro, in caso di impossibilità di repêchage in altre mansioni, di risolvere il rapporto per giustificato motivo.


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