È valida la conciliazione sottoscritta al di fuori della sede protetta? Gli orientamenti contrastanti della Cassazione e le conseguenze per le aziende | ADLABOR | ISPER HR Review

È principio noto nel nostro Ordinamento che le controversie individuali di lavoro possono essere definite mediante atti di conciliazione, che contengono rinunce e transazioni e che permettono di evitare di ricorrere (e poi sottostare) ad una decisione del Giudice del Lavoro.

Affinché l’accordo intervenuto tra lavoratore e datore di lavoro possa essere immediatamente efficace e non più impugnabile (si usa definire tale l’accordo come “tombale”), occorre formalizzarlo in una sede c.d. “protetta”, cioè idonea a garantire presuntivamente la genuinità e spontaneità del consenso del lavoratore.

L’art. 2113 c.c. individua le sedi protette idonee a formalizzare una conciliazione “tombale”:

  • Commissione di conciliazione ex 410 c.p.c. c/o ITL competente.
  • Conciliazione monocratica (sede ispettiva) – ex 11 d.lgs. 124/2004.
  • Commissione di conciliazione c/o le sedi di certificazione.
  • Commissione di conciliazione istituita in sede sindacale.
  • Collegi di conciliazione e arbitrato irrituale.
  • Sede giudiziale.

Accade tuttavia sovente che aziende di medie e grandi dimensioni che hanno al loro interno RSA o RSU, con le quali hanno una interlocuzione quasi quotidiana, formalizzino accordi conciliativi coi lavoratori in presenza dei conciliatori sindacali all’interno dei locali aziendali, anche per l’elevato numero di accordi, invece che presso i locali del sindacato o presso le altre sedi protette individuate dalla legge.

Ma tale radicata abitudine delle imprese di stipulare un accordo di conciliazione all’interno dei locali aziendali inficia o meno la validità del verbale conciliativo?

La giurisprudenza su tale aspetto si è (purtroppo per gli operatori economici) divisa tra fautori di un approccio interpretativo più sostanziale e coloro che invece si attengono a un rigoroso formalismo.

In particolare, la Suprema Corte di cassazione con l’ordinanza n. 1975 del 18.01.2024, ha affermato che deve ritenersi pienamente legittima la conciliazione sottoscritta al di fuori della sede protetta a patto che, grazie all’effettiva assistenza del rappresentante sindacale, il lavoratore abbia firmato volontariamente e non in maniera coartata.

Nello specifico la Cassazione, nella pronuncia citata, ha ritenuto che: “In tema di conciliazione sindacale, la sottoscrizione dell’accordo presso la sede di un sindacato, in conformità alle previsioni dell’art. 412-ter c.p.c. e del contratto collettivo applicabile, non costituisce un requisito formale, ma funzionale, in quanto volto ad assicurare che la volontà del lavoratore sia espressa in modo genuino e non coartato; ne consegue che la stipula in una sede diversa non produce alcun effetto invalidante sulla transazione se il datore di lavoro prova che il dipendente ha avuto, grazie all’effettiva assistenza sindacale, piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte.”

In concreto, il principio espresso dalla Cassazione permette di affermare che allorché il lavoratore abbia maturato una adeguata consapevolezza delle rinunce concesse e dei vantaggi conseguiti con la transazione, attraverso le esaurienti spiegazioni fornite dal conciliatore sindacale incaricato dal lavoratore stesso, la tutela voluta dal legislatore e dalle parti collettive deve dirsi raggiunta e la stipula del verbale di conciliazione, seppur avvenuta in sede diversa da quella sindacale, non produce alcun effetto invalidante sulla transazione.

A tale approccio sostanziale, che si focalizza maggiormente sull’effettività dell’assistenza fornita dal conciliatore sindacale al lavoratore e che, di fatto, equipara la sede sindacale ex art. 2113 c.c. a qualsiasi luogo purché vi sia la presenza “attiva” di un conciliatore sindacale che tuteli il lavoratore, si contrappone una giurisprudenza che valorizza il dato formale.

Con l’ordinanza n.10065 del 15 aprile 2024, la Cassazione ha infatti affermato che la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3, c.p.c., non è validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette.

Secondo la suddetta pronuncia dei giudici di legittimità, la tutela del lavoratore non può essere affidata unicamente all’assistenza del rappresentante sindacale, ma deve riguardare inderogabilmente anche il luogo in cui la conciliazione viene stipulata: si tratta di condizioni concomitanti necessarie “al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti, di qualsiasi genere”.

«I luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono, pertanto, equipollenti, sia perché direttamente collegati all’organo deputato alla conciliazione e sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al all’influenza della controparte datoriale “.

La diretta conseguenza del principio affermato dalla Suprema Corte è che è viziato da nullità il verbale di conciliazione sindacale sottoscritto in azienda, sia pure in presenza di un rappresentante sindacale.

Alla luce di tale decisione assunta dai Giudici della Cassazione appare rischioso e quantomeno inopportuno formalizzare conciliazioni “sindacali” presso i locali aziendali anche se  con ‘assistenza di conciliatori di fiducia del lavoratore o rsa/rsu operanti in azienda.

Tuttavia, analizzando più accuratamente l’ordinanza n. 10065/2024 si può constatare come il contrasto esegetico all’interno della Suprema Corte sia solo apparente.

La Cassazione, infatti, richiamando l’ordinanza n. 1975 del 18.01.2024 (precedentemente qui commentata), ritiene circoscritto il principio ivi affermato, secondo cui è ininfluente il luogo ove viene formalizzata una conciliazione, alle sole conciliazioni  concluse in base all’articolo 412-ter c.p.c., ossia a quelle stipulate presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, distinguendo tale casistica rispetto all’ipotesi delle conciliazioni stipulate ex  art. 411, terzo comma, c.p.c., ovverosia in una sede non prevista da un contratto collettivo.

Ne consegue quindi che i datori di lavoro, onde non vedere inficiata la validità degli accordi sottoscritti, debbano privilegiare, qualora si trovino nell’esigenza di formalizzare una conciliazione in sede protetta, le commissioni di conciliazione previste dai CCNL maggiormente rappresentativi o qualora intendano conciliare nella “classica” sede sindacale “monocratica”, almeno sforzarsi di recarsi presso la sede del sindacato individuata dal lavoratore.

Peraltro, visto che il mondo e la tecnologia corrono molto più veloci delle pronunce della Cassazione e dei principi ivi affermati, sarà quantomeno interessante analizzare come i giudici del lavoro si porranno nei confronti delle conciliazioni sindacali concluse a distanza tramite connessioni da remoto che già da qualche tempo sono comunemente utilizzate e che per loro stessa natura dovrebbero caratterizzarsi per una intrinseca neutralità.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 12 giugno 2024.


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