Licenziamento – Decorrenza del termine per impugnare (Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, G.U. Dottor Mariani, Ordinanza del 3 dicembre 2013)
RG 13822/2013
Tribunale di Milano
Sezione lavoro
A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 03/12/2013
OSSERVA
1. Con il ricorso introduttivo, depositato il 18 ottobre 2013, è stata chiesta da parte di U. G. la fissazione di udienza ex art. 1, commi 47 e segg. della L.92/2012. Riferiva il ricorrente di aver iniziato a lavorare alle dipendenze della convenuta A. s.p.a. il 28 luglio 2004 con inquadramento primo livello C.C.N.L. dei servizi ambientali e territoriali, con mansioni di operatore ecologico.
A seguito di una vertenza intentata dal fratello G. nei confronti di una società, il ricorrente a partire dal 2005 era stato oggetto di una serie di condotte ostili e vessatorie, da parte dei propri superiori F., B. e M.
Il contesto lavorativo aveva provocato l’insorgere di una sindrome depressiva che aveva costretto il lavoratore a lunghi periodi di malattia.
Nel settembre 2012, A. s.p.a. aveva proceduto nei confronti di U. G. con un accertamento tecnico preventivo al fine di accertare se gli infortuni accaduti al lavoratore il 12 gennaio 2009, il 1° ottobre 2012, il 21 gennaio 2012 e il 26 luglio 2012 dovessero essere qualificati come infortuni ovvero come malattia.
A seguito del responso del consulente, l’8 aprile 2013 U. G. era stato licenziato per superamento del periodo di comporto.
U. G. aveva impugnato il licenziamento.
Riteneva infatti il ricorrente che le malattie erano state causate o comunque aggravate dall’ambiente di lavoro.
2. Si costituiva A. s.p.a. chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso in via preliminare e , nel merito, il suo rigetto.
In presenza di numerose assenze del ricorrente accumulate a partire dall’anno 2010, la Società aveva proposto un ricorso per accertamento tecnico preventivo al fine di accertare se gli infortuni o eventi morbosi accaduti al ricorrente fossero da qualificarsi anche parzialmente come infortuni sul lavoro, ovvero come malattia.
A seguito del deposito dell’accertamento tecnico preventivo, la dottoressa M., officiata dal giudice, aveva riclassificato alcuni eventi dapprima indicati come infortunio, come malattia.
A. s.p.a. aveva quindi proceduto al riconteggio dei giorni di assenza dal lavoro per malattia ricompresi tra il 9 aprile 2010 e 18 aprile 2013.
La società aveva quindi accertato che il lavoratore era rimasto assente dal lavoro per complessivi 558 giorni di malattia.
A. s.p.a. aveva quindi proceduto a licenziare U. G. per superamento del periodo di comporto.
U. G. aveva impugnato il licenziamento con comunicazione del 19 aprile 2013. Aveva successivamente proposto ricorso davanti al tribunale del lavoro il 18 ottobre 2013.
Riteneva la società che U. G. dovesse ritenersi decaduto dalla proposizione del ricorso perché aveva depositato quest’ultimo dopo 182 giorni dalla impugnazione extragiudiziale (19 aprile 2013 – 18ottobre2013).
Rilevava, in ogni caso, la fondatezza dell’atto espulsivo in considerazione anche del fatto che nessuna specifica censura al conteggio dei giorni era stata fatta.
4. Ritiene il Tribunale che il ricorso di U. G. non possa trovare accoglimento. Il ricorso va infatti ritenuto inammissibile.
In tutti i casi di asserita invalidità (incluso il licenziamento per superamento del periodo di comporto), il licenziamento deve essere impugnato dal lavoratore con le modalità e le procedure descritte dall’ art. 6 L. 604/66 e dall’art. 1, comma 38, L. 92/2012.
L’art. 6, comma 2°, legge n. 604/66, come modificato dall’art. 32 legge n. 183/2012 (e poi rivisto dall’art. 1, comma 38, legge 92/2012), “l’impugnazione è ineffìcace se non è seguita, entro il successivo termine di centottanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilità di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso”.
A proposito della decorrenza del termine, si legge nei repertori che sarebbe irragionevole far discendere un effetto di decadenza dal compimento di attività non riferibili direttamente alla parte, ma a terzi sul cui operato la parte non può influire, come gli uffici postali o gli ufficiali giudiziari (Cass. 5 agosto 2003, n. 11833; Cass. 4 settembre 2008, n. 22287).
Tale orientamento ha trovato applicazione anche con riferimento al rispetto del termine posto a carico del lavoratore per l’impugnazione del licenziamento, nel senso di attribuire al momento della spedizione del plico postale l’effetto di impedimento della decadenza, con irrilevanza del momento della ricezione da parte del destinatario (Cass. 4 settembre 2008, n. 22287; Cass. Cass. SU 14aprile 2010, n. 8830).
Dunque, il termine decorre, per il lavoratore, dalla data di spedizione ed è da quella data che si computa il successivo termine di 180 giorni.
Se ciò è vero, non può che rilevarsi che fra il momento della data dell’impugnazione (19 aprile 2013: doc. 13 fasc. ne.; 20aprile2013 se si considera la spedizione postale) e il deposito del ricorso (18 ottobre 2013, venerdì) decorrono 182 (o 181) giorni, due (o uno) in piè del termine di legge, con conseguente accoglimento dell’eccezione di A. s.p.a.
Va comunque rilevato, nel merito, che nodo centrale della contestazione del ricorrente è costituito dalle assrite vessazioni subite dal ricorrente, con conseguente demansionamento ed imputabilità di parte delle malattie al comportamento dell’impresa.
U. G. rintraccia la genesi di questo comportamento ostile con la causa intentata dal fratello U. G., conciliata il 29 dicembre 2010 avanti il giudice di Milano.
Le allegazioni in fatto fornite dal ricorrente, che formano i capi dal n. 12 al n. 20 del ricorso sono manifestamente insufficienti a fornire un quadro in fatto idoneo a sostenere la tesi del ricorrente.
In essi si parla infatti di “carichi di lavoro eccessivi” (n. 13), di “numerosi infortuni” ( n. 14), di costrizione cui il ricorrente sarebbe stato sottoposto relativamente a camminate “per ore consecutivamente” (n. 17).
Peraltro, se nel ricorso si fa riferimento a stati depressivi e ad una sindrome ansioso-depressiva (pag. 7), nell’elaborato dell’ATP si fa riferimento in modo esclusivo a infortuni e malattie di natura
ortopedica. . . . . . .
5. Stante la condizione personale del ricorrente, sussistono i presupposti per l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
dichiara inammissibili le domande di parte ricorrente;
compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio. Si comunichi alle parti costituite.
Milano, il 03/12/20 13
Il giudice
Giorgio Pietro Mariani