Contratto di lavoro a chiamata/lavoro intermittente e assenza DVR: quali conseguenze per il datore di lavoro? L’evoluzione della giurisprudenza e degli Enti Ispettivi | ADLABOR | ISPER HR Review

Il contratto di lavoro intermittente, definito anche “a chiamata”, costituisce una tipologia contrattuale, disciplinata da ultimo dal D.lgs. 81/2015, secondo la quale il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente. Tale tipo contrattuale può essere stipulato sia a tempo indeterminato, sia a tempo determinato.

L’art. 14 co. 1 lett. c) del D.lgs. 81/2015 prevede il divieto di ricorso al lavoro intermittente anche per quei “… datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.

Il lavoro a chiamata non può, quindi, essere stipulato dalle aziende che non hanno proceduto alla redazione del documento di valutazione dei rischi (DVR), previsto dal Testo Unico Sicurezza sul lavoro.

La ratio di tale divieto, così come esplicitato ripetutamente dalla giurisprudenza, è diretta alla più intensa protezione di quei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità d’impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro.

Ma quali sono le conseguenze per un’azienda laddove un contratto di lavoro a chiamata venga stipulato in assenza di DVR, posto che la norma non prevede espressamente alcuna sanzione?

Analizzando preliminarmente il panorama normativo, è possibile rilevare come l’art. 20 del D.lgs. 81/2015 (analogamente a quanto prevede l’art. 14 del medesimo decreto in tema di lavoro a chiamata), stabilisca che non è ammessa l’apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato, ove non sia stata predisposto il DVR dal datore di lavoro, sanzionando, però, espressamente, la violazione di tale divieto con la trasformazione del contratto a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato ab origine.

Sul punto, appaiono unanimi le decisioni della Suprema Corte pronunciatesi sulla questione come, ad esempio, l’ordinanza n. 21683 del 23 agosto 2019 dove si ribadisce che, se il datore  di lavoro non dimostri di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipula del contratto a tempo determinato, la clausola di apposizione del termine è da considerarsi nulla con la conseguenza che il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato in base agli articoli 1339 e 1419 del codice civile.

Fino ad oggi, sulla scorta di un’interpretazione analogica, gli orientamenti dell’INL e della giurisprudenza di merito erano granitici nell’estendere, anche al contratto di lavoro intermittente (che fosse a tempo indeterminato o a tempo determinato) stipulato in assenza di DVR, la sanzione della conversione in un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

In particolare, la Circolare n. 49 del 15 marzo 2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro affermava che in caso di stipula di un contratto di lavoro a chiamata in assenza di DVR, il rapporto di lavoro dovesse essere trasformato in un rapporto subordinato a tempo indeterminato che, nella maggior parte dei casi, sarebbe potuto essere a tempo parziale, non potendo in ogni caso la conversione dei rapporti di lavoro intermittenti in rapporti di lavoro ordinari confliggere con il principio di effettività delle prestazioni.[1]

Tale interpretazione è stata ulteriormente confermata dall’INL con la nota n. 1148 del 21 dicembre 2020, nella quale è stato altresì precisato come il documento di valutazione dei rischi deve contenere, di norma, specifiche indicazioni in ordine alle tipologie contrattuali diverse da quella del lavoro subordinato “comune”, pena la conversione del rapporto di lavoro intermittente in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Secondo l’INL la contrarietà a una norma imperativa da parte di un contratto di lavoro atipico come quello intermittente comporta la sua nullità parziale ex art. 1419 c.c. e conseguentemente la conversione nella forma “comune” di lavoro subordinato.

Nello specifico, secondo l’INL, le indicazioni del DVR devono essere finalizzate:

  1. a) “quanto meno” ad escludere i rischi pertinenti alle prestazioni “non comuni”;
  2. b) a prevedere le correlate modalità per l’effettuazione dell’attività di formazione e informazione;
  3. c) ad una “più intensa protezione dei rapporti di lavoro sorti mediante l’utilizzo di contratti atipici, flessibili e a termine, ove incidono aspetti peculiari quali la minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione.

Parimenti anche la giurisprudenza di merito ha affermato che il contratto di lavoro intermittente si considera nullo, in assenza del documento di valutazione dei rischi, con la conseguente riconducibilità del rapporto di lavoro alla fattispecie tipica del contratto di lavoro a tempo indeterminato…” (Sentenza del Tribunale di Vicenza n. 343 del 19 luglio 2017, conforme Tribunale di Milano n. 1806/2017).

Ma recentemente la Corte di cassazione con l’ordinanza n. 378 del 5 gennaio 2024 ha abbandonato tale decennale orientamento con un’interpretazione sistematica più aderente alla lettera della norma e operando una distinzione fra contratto a chiamata a tempo determinato e contratto a chiamata a tempo indeterminato, circa le conseguenze derivanti dalla mancata adozione del DVR da parte del datore di lavoro.

Nel percorso logico secondo cui si dipana l’ordinanza citata, in primo luogo, la Cassazione ribadisce come nell’ipotesi di contratto a termine, fattispecie in cui è compreso anche il contratto intermittente a tempo determinato, l’art. 20 comma 2 del D.lgs. 81/2015 prevede espressamente la trasformazione in contratto a tempo indeterminato per la mancata elaborazione della valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Viceversa, per quanto attiene il contratto intermittente a tempo indeterminato, una analoga sanzione era prevista dall’abrogato art. 34 comma 2-bis del D.lgs. 276/2003, la cui disciplina è stata riconfermata nell’attuale versione dell’art. 13 comma 3 del D.lgs. 81/2015, unicamente nell’ipotesi di superamento del limite massimo di 400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di 3 anni solari.

Come ben evidenzia la Cassazione, l’art. 14 del D.lgs. 81/2015, per la violazione dei relativi divieti in esso contenuti, non contempla la conversione, poiché il legislatore ha ritenuto che l’omessa adozione del DVR “non incidesse su alcuna clausola del contratto, determinandone la deviazione dal tipo legale, e nemmeno ne alterasse lo schema causale”.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che: “In tema di contratto di lavoro intermittente a tempo indeterminato, la mancata adozione del documento di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro, in violazione dell’art. 34 del D.lgs. n. 276 del 2003 nella formulazione ratione temporis vigente, non comporta una nullità parziale del contratto ex art. 1419, comma 2, c.c., ma una nullità cui consegue, in assenza di diversa previsione di legge, l’effetto caducatorio non retroattivo ai sensi dell’art. 2126 c.c., cosicché deve escludersi la sua conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, anche ai soli effetti del rapporto previdenziale, non rinvenendosi disposizioni normative che, per il contratto di lavoro intermittente, giustifichino direttrici diverse per il rapporto previdenziale e per quello di lavoro.”

Al netto dell’obbligo di legge di adottare il DVR, sotto il profilo prettamente pratico, appare quindi oltremodo opportuno, anche sotto questo profilo, stipulare contratti di lavoro intermittente a tempo indeterminato che permettono di richiedere la prestazione in modo discontinuo.

[1] i trattamenti retributivi e contributivi devono essere corrisposti in base al lavoro realmente effettuato, sia sotto il profilo qualitativo sia quantitativo, fino alla conversione del rapporto.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 15 maggio 2024.


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