Agenzia – Recesso immediato – Indennità di fine rapporto – Art. 1751 c.c. – (Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, Sentenza n. 11204 del 7 Giugno 2007)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
1° Sezione Lavoro
n. 203307/02 R.Gen.
Il Giudice designato, dr. Massimo PAGLIARINI nella causa
TRA
S. F., elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’avv M. P. che lo rappresenta e difende – unitamente all’ avv. F. P. – in virtè di delega a margine del ricorso
E
P. I. S.p.A.., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, presso los tudio dell’Avv. L. T. che la rappresenta e difende – unitamente all’Avv. M.G. del foro di Milano – in virtè di delega in calce al ricorso notificato
all’ udienza del 22.12.2005 ha pronunciato sentenza mediante lettura del seguente
DISPOSITIVO
Condanna P. I. S.p.A.,, in persona del legale rappresentante pro-tempore, al pagamento in favore di F. S. della somma di € 7.948,90 (a titolo di indennità sostitutiva del preavviso), € 88,21 (a titolo di FIRR), di € 728,21 (a titolo di indennità suppletiva di clientela) e di € 828,80 (a titolo di provvigioni), oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla maturazione al saldo;
rigetta, per il resto, le rimane/ili domande;
pone a definitivo carico della società convenuta le spese di CTU contabile, già liquidate con separato decreto;
compensa per 1/3 tra le parti le spese del giudizio e condanna la società convenuta a rimborsare in favore del ricorrente i restanti 2/3 che si liquidano in complessivi € 2.679,00, di cui € 1.365,00 per onorari e € 1.025,00 per diritti
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 12.2.2002 F. S. esponeva che:
aveva svolto attività di agente di commercio per le P. G. S.p.A.. in virtè di contratto efficace dall’ 1.1.1998 che aveva ad oggetto la promozione degli affari e dei prodotti della società, con provvigioni sugli affari andati a buon fine e sul procacciamento di nuovi clienti;
nel marzo del 2000 la società gli aveva comunicato il recesso dal contratto con effetto immediato;
nonostante i successivi contatti e solleciti di pagamento la società non aveva provveduto a corrispondergli alcune poste creditorie;
in particolare, egli era ancora creditore dell’ indennità da mancato preavviso (pari a € 9.418,89, e cioè 6/12 delle somme corrisposte nell’ anno solare precedente alla cessazione del rapporto); dell’ indennità di cessazione ex . 1751 c.c. (pari alla misura massima e cioè € 18.683,08); delle provvigioni su affari conclusi dopo la cessazione del rapporto per effetto della sua attività (pari a € 10.100,54, e cioè la metà delle provvigioni maturate nell’ ultimo anno del rapporto); ed infine delle provvigioni ancora da incassare relative ad ordini procurati e confermati dal cliente alla società (pari a € 6.065,74, come da estratto conto).
II ricorrente pertanto, dopo aver argomentato in diritto, chiedeva la condanna di P. G. S.p.A., al pagamento in suo favore di dette somme, oltre accessori.
Con deposito di memoria difensiva si costituiva in giudizio la società convenuta la quale in primo luogo rilevava che gli estratti conto dimostravano che nel corso del rapporto la società aveva corrisposto al S. anticipi provvigionali in misura superiore alle provvigioni maturate dall’ agente, con una posta a credito della società pari a € 3.913,29; che aveva corrisposto all’ agente tutte le competenze di fine rapporto dovute; che successivamente l’ agente aveva maturato ulteriori provvigioni sicché il suo debito si era ridotto a € 1.038,38; che pertanto l’ indennità sostitutiva del preavviso non era dovuta perché compensata con i crediti della società e comunque essa era stata calcolata dall’ agente in maniera sbagliata (4 mesi e non 6 mesi del percepito nell’ anno precedente la cessazione, sulla base delle provvigioni effettivamente liquidabili e non anche sugli anticipi provvigionali);
che non era dovuta l’ indennità ex Art. 1751 c.c., poiché dovevano applicarsi le disposizioni degli accordi economici collettivi, richiamati dal contratto individuale; che infine il S. non era creditore, allo stato, di alcun credito provvigionale. La società convenuta, pertanto chiedeva il rigetto della domanda e in via riconvenzionale chiedeva la condanna dell’ agente al pagamento in suo favore della somma di € 1.038,38, oltre interessi legali.
Con deposito dì memoria il S. contestava la fondatezza della domanda riconvenzionale chiedendone il rigetto e ribadendo le conclusioni di cui al ricorso.
Esperito infruttuosamente il tentativo di conciliazione, disposta CTU contabile ed autorizzato il deposito di note difensive, all’ odierna udienza la causa veniva decisa come da dispositivo in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La domanda del S. è fondala nei limiti che seguono.
Seguendo l’ ordine delle domande proposte dal ricorrente e di cui alle conclusioni del ricorso, va osservato quanto segue.
Sull’indennità sostitutiva del preavviso
La società convenuta non contesta la sussistenza del diritto dell’ agente all’ indennità sostitutiva del preavviso. E’ invece in contestazione la misura dì essa (calcolo delle mensilità e base imponìbile).
Quanto al primo aspetto, va evidenziato che se è vero che il contratto individuale prevede la nomina senza esclusiva (con la conseguenza che secondo gli Accordi economici collettivi spetterebbero quattro mesi di preavviso), dì fatto il comportamento tenuto dalle parti durante la pendenza del rapporto dimostra invece la caratteristica dì agente monomandatario del S. Così egli è definito nella certificazione dei compensi rilasciata dalla società convenuta (doc. nn. 16 e 17 di parte ricorrente) e l’ ulteriore documentazione prodotta, in uno con le allegazione delle parti, dimostrano inequivocabilmente che la deroga all’ Art. 1743 c.c. è stata solo formale poiché dì fatto il S. si è comportato come agente in esclusiva. Peraltro, tale circostanza non è stata specificamente contestata dalla convenuta (che ha solo fatto richiamo al dato formale) sicchè su di essa non è stato necessario espletare prova per testimoni.
Secondo l’ AEC del 1998 (come modificato nel 1992), pertanto, le mensilità dì preavviso sono sei e non quattro.
Quanto alla base di computo, va osservato che, sempre secondo il citato AEC, occorre fare riferimento alle provvigioni liquidate nell’ anno solare precedente, compresi i rimborsi e i concorsi spese nonché i premi. A questo riguardo, pertanto, occorre prendere a riferimento la base imponibile al momento della cessazione del rapporto (marzo 2000) e non quella precedente di circa due mesi (presa a riferimento dal CTU nell’ elaborato peritale) né (tantomeno quella successiva di circa venti mesi rispetto alla cessazione (presa a riferimento dallo stesso CTU nel supplemento peritale).
Secondo la situazione contabile quale emerge dai prospetti depositati dalla convenuta (sul punto coerenti con quanto calcolato dal CTU nell’ originario elaborato, ma come detto precedenti di circa due mesi la cessazione del rapporto), l’ ammontare dell’ imponibile è pari a € 15.897,90, sicché 6/12 sono pari a € 7.948,90. Questa è la misura dell’ indennità di mancato preavviso spettante al S..
Sull’ indennità di cessazione del rapporto ex Art. 1751 c.c.
Nella sua formulazione vigente (come sostituita dall’ ari. 4 del d.lgs. n. 303/91, attuativo della direttiva comunitaria n. 653 del 1986) tale disposizione ha tra l’ altro subordinato il diritto dell’ agente al pagamento dell’ indennità di fine rapporto alla sussistenza dì determinati requisiti quali l’ avere l’ agente procurato nuovi clienti al preponente o l’ avere sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti; il permanere, in favore del preponente e successivamente alla risoluzione del rapporto, di sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti, e infine il risultare il pagamento dell’ indennità equo, tenuto conto in particolare delle provvigioni che l’ agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
Tali requisiti devono ricorrere in via cumulativa (cfr. d.lgs. n. 65/99) e in presenza di essi la disposizione in esame si limita a fissare non già i parametri per la quantificazione dell’ indennità di cessazione ma solo il limite massimo della stessa. Ciò vuol dire che il pagamento dell’ indennità di fine rapporto è condizionato e va legato all’ esistenza di sostanziali incrementi realizzati dall’ agente che debbono permanere in favore del preponente successivamente allo scioglimento del contratto.
A seguito della citata modifica dell’ Art. 1751 c.c., le indennità di fine rapporto sono state nuovamente oggetto di accordi tre le rispettive OO.SS. attraverso la stipula dell’ AEC 26.11.92.
In particolare si è stabilito che l’ indennità corrisposta all’ agente in caso di cessazione del rapporto (nella indicata percentuale fìssa sull’ ammontare globale delle provvigioni maturate e liquidate durante il rapporto) soddisfa il criterio di equità di cui all’ Art. 1751 c.c.. Così come soddisfa il principio di cui al terzo co. del citato Art. 1751 c.c. il sistema concordato di aliquote e scaglioni (anche in relazione all’ indennità suppletiva dì clientela) e che tutte le disposizioni contrattuali in materia di trattamento di fine rapporto di agenzia, applicative dell’ Art. 1751 c.c., costituiscono complessivamente condizioni di miglior favore rispetto alla disciplina di legge.
Ora, premesso che l’ Art. 1751 c.c. vieta alle parti di derogare a detrimento dell’ agente ai criteri di determinazione dell’ indennità di cessazione ivi stabiliti, tuttavia, trattandosi di una inderogabilità relativa, deve ritenersi consentito, sia alle parti che alla contrattazione collettiva, introdurre deroghe alla disciplina legale, purché non pregiudizievoli per l’ agente; la valutazione se la regolamentazione pattizia sia o meno pregiudizievole per l’ agente rispetto a quella legale deve essere operata ex ante, non essendo corretto sul piano dell’ affidamento delle parti, specie con riferimento ad un rapporto di durata, giudicare della validità delle clausole del negozio costitutivo del rapporto (e che tale rapporto sono destinate a regolare nel corso del suo svolgimento), alla luce del risultato economico che le partì conseguirebbero in concreto a seconda che si applichi il regime convenzionale o quello legale (così, Cass. 27.3.2004, n. 6162; Cass. 7.2.2004, n. 2383; Cass, 21.10.2003, n. 15726; Cass. 20.12.2002, n. 18203; Cass. 6.8.2002, n. 11791).
Peraltro, come sostenuto nella decisione da ultimo citata, mancando nella legge qualsiasi criterio di determinazione dell’ indennità, il sistema introdotto dalla contrattazione collettiva non trova in realtà alcun limite al suo dispiegarsi, se non il limite massimo della media delle cinque annualità; sicché il divieto della deroga in pejus di cui al penultimo co. dell’ Art. 1751 c,c., rispetto alla determinazione del quantum, non è neppure prospettabile teoricamente, dovendo essere escluso in radice per mancanza della norma da derogare, considerato appunto che la disposizione di legge non detta alcun criterio.
Non può pertanto leggersi l’ Art. 1751 c.c. come se garantisse all’ agente meritevole (ossia a colui che ha apportato un notevole sviluppo agli affari del preponente) il pagamento dell’ importo massimo dell’ indennità, giacché l’ apporto di clientela e l’ equità rappresentano solo le condizioni per accertare se l’ indennità deve essere corrisposta e non anche i criteri per calcolarla, la media delle provvigioni degli ultimi cinque anni non è la misura spettante, ma è solo il limite che nella quantificazione non può essere superato.
Pertanto, proprio la mancanza di un sìa pur generico criterio di calcolo e la mera fissazione di un tetto massimo di misura inducono a ritenere che il legislatore abbia inteso rimettere alla contrattazione, collettiva o individuale, la determinazione dell’ indennità, com’ era peraltro secondo la disciplina precedente.
Non può allora considerarsi derogatorio in pejus un sistema di determinazione dell’ indennità, come quello di cui all’ accordo collettivo in oggetto, che impedisse in ogni caso il raggiungimento del massimo, al cospetto di una disposizione di legge che pure astrattamente lo consentirebbe (giacché il divieto verte sul suo superamento); infatti quel massimo è previsto solo astrattamente, perché non vengono poi indicati né criteri né condizioni per il suo conseguimento, e vale quindi come mero limite rispetto a criteri da definire, che vengono rimessi all’ autonomia collettiva ed individuale.
Per esemplificare ulteriormente, si può osservare che anche ove, nel caso concreto, emergesse una notevolissima acquisizione di nuovi clienti, un sensibilissimo sviluppo degli affari della preponente e a carico dell’ agente una perdita di provvigioni di rilevante entità, non per questo la legge darebbe tìtolo alla misura massima dell’ indennità: l’ esistenza di dette condizioni farebbe sorgere indubbiamente il diritto all’ indennità, ma non darebbe titolo all’ agente di ottenerla nella misura massima, giacché la legge, mentre consente implicitamente la possibilità di ottenere il massimo, tace poi sulle condizioni necessarie per conseguirlo, e quindi non è attributiva di un diritto.
La contrattazione, pertanto, trova nella legge l’ insuperabilità del tetto massimo come unico limite ai criteri di quantificazione teoricamente possibili (cfr. anche Cass. 30.8.2000, n. 11402).
Detto ciò ed accertato pertanto che nel caso in esame devono essere «risposte all’ agente, così come peraltro previsto dall’ Art. 17 del contratto stipulato tra le parti, le indennità di fine rapporto come previste e calcolate dalla contrattazione collettiva, va osservato che la società convenuta ha riconosciuto dovute le somme di € 88,21 a titolo di FIRR e di € 728,21 a titolo di indennità suppletiva di clientela. Tali somme non sono state contestate da parte ricorrente che ha invece impostato la sua domanda unicamente sulla richiesta di indennità di cessazione del rapporto ex Art. 1751 c.c.
Va infine aggiunto che correttamente la società convenuta ha calcolato le aliquote della indennità di scioglimento e dell’ indennità suppletiva di clientela sull’ ammontare delle provvigioni percepite dai ricorrente nel corso del contratto di agenzia e non anche su quelle relative al precedente e diverso rapporto di procacciamento di affari connaturato invece dai caratteri della occasionalità e della assenza di stabilità.
Sulle rimanenti provvigioni.
Parte ricorrente ha richiesto infine la corresponsione in suo favore delle provvigioni ex Art. 1748, co. 2, c.c. (su affari conclusi dopo la cessazione del rapporto per effetto della sua attività precedente) nonché di quelle che risulterebbero accantonate in suo favore (per affari in relazione ai quali non vi è ancora il pagamento del cliente).
Quanto alle prime, va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’ agente che chiede il pagamento delle provvigioni ha l’ onere di fornire la dimostrazione degli affari promossi e si per suo tramite con i relativi dati identificativi e quantitativi e non pretendere che tale prova sia fornita dal proponente o sia raggiunta mediante consulenza tecnica, atteso che l’ esperimento di questa non può inteso come un mezzo che esoneri la parte dall’ onere della prova dei i posti a fondamento della pretesa fatta valere in giudizio; né può supplirsi al mancato assolvimento di tale onere con la richiesta alla controparte di none di documenti che per poter essere presa in considerazione deve le essere specifica e concernere documenti individuati (Cass. n. 8310; Cass. 19.5.2001, n. 6875; Cass. 2.5,2000, n. 5467).
Poiché come detto il ricorrente non ha minimamente allegato e dedotto circostanza idonea ad individuare gli affari promossi nell’ ultimo dei rapporto e conclusi successivamente alla cessazione di esso, la domanda non può che essere disattesa.
Quanto alle provvigioni accantonate ed eventualmente maturate anche la cessazione del rapporto, è stato dato incarico al CTU di effettuare i relativi conteggi, in uno con l’ esame della domanda riconvenzionale della i (saldo tra provvigioni ed anticipi erogati).
Ebbene, lo stesso CTU ha accertato, anche a seguito del supplemento di richiestogli, che il saldo complessivo tra anticipi provvisionali e provvigioni effettivamente dovute e corrisposte ammonta a € 828,80 a credito del S.
Le risultanze di detto accertamento appaiono pienamente condivisibili ed immuni da profili di censurabilità.
Sicchè, tenuto conto di quanto sopra, la società convenuta deve essere condannata a corrispondere al ricorrente (per gli specifici titoli di cui sopra) la somma complessiva di € 9.594,123, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali dalla maturazione al saldo.
Le spese di CTU contabile, già liquidate con separato decreto, sono poste a definitivo carico della società convenuta.
Stante l’ esito del giudizio, appare equo compensare per 1/3 tra le parti le spese di esso. I restanti 2/3, liquidati come in dispositivo, sono posti a carico della società convenuta.
Tali i motivi della decisione in epigrafe riportata.
Roma, 22.12.2005
Massimo Pagliarini
Depositata in Cancelleria il 7.06.2007