Lavoro Subordinato – Rivendicazione – ( Tribunale di Padova, Sezione Lavoro, Sentenza n.8704 del 12/3/10 )
TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PADOVA
SEZIONE LAVORO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale, in persona del Giudice del Lavoro, dott.ssa CATERINA SANTINELLO, nel proc. N. XXXXX R.G. promosso da XXXXXX nei confronti di XXXXXXXXXXXX ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Con ricorso depositato in data 27/4/O5 XXXXXXXXXX premesso che il ricorrente aveva svolto attività di responsabile della qualità del servizio per l’ area Triveneto a favore di XXXXXXXX dal 31.8.1989 al 31.8.1999; che infatti era stato incaricato dalla predetta società, tramite il contratto allegato, di prestare attività di consulenza alle attività della rete di vendita di XXXXXXXXXXXX in linea con gli obiettivi e i piani aziendale, con particolare riferimento alle aree della qualità del servizio ai clienti per un’ area inizialmente comprendete il Triveneto; che in particolare il ricorrente si occupava di svolgere le prestazioni meglio indicate nel mansionario che produceva; che il contatto di consulenza “de quo” – a tempo determinato e rinnovato annualmente senza soluzione di continuità fino al 31.8.99 – simulava in realtà un rapporto di lavoro subordinato come dirigente-area qualità del servizio — del CCNL Dirigenti Aziende Commerciali; che infatti dal 31.8.89 il ricorrente, potendo avvalersi dell’ esperienza e della professionalità maturate nel settore assicurativo e finanziario attraverso l’ attività di agente prestata a favore di XXXXXX aveva svolto in piena autonomia le mansioni sopra indicate ad esclusivo favore del XXXXXXXX prima e, successivamente all’ intervenuta trasformazione della stessa in XXXXXXXXX a far data dal 8.7.1997, a favore di quest’ ultima fino al 31.8.99 ed, infine, nella struttura denominata XXXXXX in qualità di responsabile della Toscana fino all’ ottobre 2003; che tali mansioni erano state svolte nell’ ambito delle direttive generali impartitegli dall’ azienda in persona del superiore gerarchico pro-tempore con riferimento all’ area territoriale corrispondente alle regioni del Triveneto interamente affidate nella loro gestione alla responsabilità del ricorrente; che per lo svolgimento dell’ attività lavorativa il XXXXXXX aveva usufruito di un ufficio, qualificato “sede di divisione”, che costituiva una dipendenza aziendale, ubicato in Padova, messo a disposizione della convenuta, la quale era titolare del contratto di locazione commerciale dell’ immobile e aveva provveduto a pagare i canoni di locazione e le bollette relative alle varie utenze; che presso tale sede erano impiegate le signore XXXXX, come segretaria di divisione, e la sig.ra XXXXXX personale parimenti messo a disposizione dalla convenuta che ne aveva sostenuto anche i costi; che il ricorrente era inserito nella struttura aziendale, espletava la sua attività in esclusiva per la convenuta ed era obbligato contrattualmente ai doveri di fedeltà e di riservatezza di cui all’ Art. 2105 c.c.; che infine era tenuto contrattualmente al rispetto del dovere di obbedienza e cioè al rispetto delle istruzioni comunicate dalla proprietà, che in particolare aveva ricevuto le istruzioni dalle persone meglio indicate in ricorso; che l’ esistenza del potere disciplinare in capo al datore di lavoro, consistente nella previsione della facoltà di recesso dal rapporto a fronte della violazione dei doveri di fedeltà ed obbedienza, risultava contrattualmente essendo previsto dall’ Art. 3 del contratto stipulato tre le parti; che la retribuzione era predeterminata come emergeva dall’ appendice B del contratto; che, a seguito della risoluzione del rapporto di lavoro subordinato, a decorrere dall’ 1.9.99 il ricorrente era stato nuovamente incaricato da XXXXXX di svolgere attività di responsabile del progetto “Global Specialist” nell’ area Toscana come risultava dall’ incarico di agenzia e dalle fatture per provvigioni che produceva; che nell’ ottobre 2003 il ricorrente era receduto dal contratto; che successivamente il ricorrente aveva promosso il tentativo obbligatorio di conciliazione per rivendicare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato con XXXXXXX, con qualifica di dirigente CCNL commercio — e conseguentemente il proprio diritto alle differenze retributive, l’ indennità sostitutiva del preavviso, alle ferie, alla tredicesima e quattordicesima mensilità e al T.F.R., nonché alla relativa regolarizzazione contributiva; che infatti il contratto di consulenza stipulato in data 1.10.95 era simulato, posto che dissimulava invece un contratto di rapporto di lavoro subordinato con qualifica e funzioni di dirigente; che sussistevano nella fattispecie tutti gli elementi caratteristici ai finì della natura subordinata dell’ anzidetto rapporto; che inoltre in ragione delle mansioni svolte e degli incarichi attribuiti il XXXXXXX aveva diritto alla qualifica di dirigente; che a titolo di differenze retributive il ricorrente aveva maturato un credito complessivo di € 925.358,64, nonché di € 120.536,61 a titolo dì T.F.R.; che infine aveva diritto alla regolarizzazione della propria posizione contributivo-assicurativa per il periodo 31.8.89-31.8.99; tutto ciò premesso conveniva in giudizio la XXXXXXXXXX. chiedendo che venisse accertato e dichiarato che dal 318.89 all’ 1.10.03 tra le parti era intercorso un rapporto di lavoro subordinato con diritto del ricorrente alla qualifica di dirigente ex CCNL Dirigenti Commercio, con conseguente condanna della società convenuta al pagamento, a titolo di differenze retributive e T.F.R., delle predette somme, nonché alla regolarizzazione contributiva.
La società convenuta, XXXXXX, costituitasi con memoria depositata in data 23.8.05, contestava le pretese avversarie.
In via preliminare eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva.
Sottolineava infatti come i presunti superiori gerarchici indicati in ricorso dal XXXXXXXX, che a suo dire avrebbero esercitato nei suoi confronti i poteri di etorodirezione del datore da lavoro nell’ ambito del rivendicato rapporto di lavoro subordinato, in realtà non erano dipendenti della convenuta, ma promotori finanziari che operavano e collaboravano con XXXXXXX in totale autonomia operativa sulla base dei rapporti di agenzia finalizzati alla promozione finanziaria
Di qui l’ estraneità della resistente alle pretese azionate in ricorso. Parimenti il difetto di legittimazione passiva della resistente emergeva anche sotto un diverso profilo posto che le pretese “sedi aziendali” di via XXXXXX e di via XXXXXXX a Padova non erano affatto tali ma, al contrario, uffici aperti, a proprie spese ed autonomamente, dai suddetti promotori finanziari e piè precisamente dal “divisional manager” che era titolare del predetto ufficio e ne sosteneva tutti i costi. Parimenti il personale di segreteria ivi esistente era stato assunto e retribuito dal divisional manager, promotore finanziario della società, e non da quest’ ultima direttamente. Sempre in via preliminare eccepiva la nullità del ricorso, ex Art. 414 n. 3 e 4 cpc, con particolare riferimento alla quantificazione del credito rivendicato ed oggetto della domanda di condanna Eccepiva altresì la prescrizione quinquennale dei crediti azionati anteriori al 175.99, posto che l’ unico atto interruttivo poteva ravvisarsi nella richiesta del tentativo di conciliazione inoltrata dal ricorrente ti 17504.
Nel merito, sottolineava l’ infondatezza delle pretese attoree dal momento che tra il ricorrente, da un lato, e XXXXXXXXXX, e da ultimo XXXXXX dall’ altro, erano intercorsi esclusivamente un rapporto di consulenza fino al 31.8.99 e un nuovo rapporto di agenzia dall’ 1.9.99 all’ 1.10.03.
Escludeva infatti l’ esistenza del requisito della subordinazione, in quanto del tutto indimostrato. Contestava altresì, in ogni caso, la rivendicata qualifica dirigenziale in relazione alle mansioni espletate dal ricorrente.
In relazione alle domande concernenti il periodo dal 31.8.89 ai 28.7.99 ne eccepiva, oltrechè l’ infondatezza, la improponibilità per intervenuta transazione di cui alla scrittura privata sottoscritta dalle parti in data 28.7.99.
In via subordinata, in caso di accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro in contestazione, formulava domanda riconvenzionale subordinata di condanna del XXXXXX alla restituzione delle somme percepite in esecuzione della predetta transazione e di tutti i compensi erogati in virtè dei contratti di collaborazione autonoma e di agenzia in contestazione. Concludeva pertanto nel senso precisato in epigrafe
Con memoria depositata in data 12.10.05 si costituiva il ricorrente in relazione alla domanda riconvenzionale ex adverso proposta chiedendone il rigetto.
Fallito il tentativo di conciliazione ed istruita la causa solo documentalmente, all’ udienza del 12.3.2010, esaurita la discussione dei procuratori delle parti, è stata data lettura della presente sentenza.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va osservato che non può essere accolta l’ eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata in memoria difensiva dalla XXXXXXXX.
Ed invero la legittimazione ad agire e contraddire deve essere accertata in relazione non alla sua sussistenza effettiva ma alla sua affermazione con l’ atto introduttivo del giudizio, nell’ ambito di una preliminare valutazione formale dell’ ipotetica accoglibilità della domanda. Tale accertamento, pertanto, deve rivolgersi alla coincidenza, dal lato attivo, tra il soggetto che propone la domanda ed il soggetto che nella domanda stessa è affermato titolare del diritto e, dal lato passivo, tra il soggetto contro il quale la domanda è proposta e quello che nella domanda è affermato soggetto passivo del diritto o comunque violatore di quel diritto. Inoltre il difetto della relativa allegazione e dimostrazione, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, disciplinata da inderogabile norma di diritto pubblico processuale, è rilevabile anche d’ ufficio. Invece, l’ accertamento dell’ effettiva titolarità del rapporto controverso, così dal lato attivo come da quello passivo, attiene al merito della causa, investendo i concreti requisiti d’ accoglibilità della domanda e, quindi, la sua fondatezza ( Cass. a 6132/08; Cass. n. 355/08; Cass. n. 17681/07). È di tutta evidenza pertanto, alla luce del suddetto principio, che l’ eccezione sollevata dalla società resistente in memoria difensiva attenga in realtà al merito della causa.
Parimenti ritiene il giudicante che i vizi dell’ atto introduttivo sottolineati dalla resistente in relazione all’ eccepita nullità del ricorso per violazione dell’ Art. 414, n. 3 e 4, c.p.c. attengano in realtà alla mancata prova delle pretese azionate e, quindi, al merito della controversia. Ed invero parte ricorrente non ha affatto dimostrato la natura subordinata dei rapporti intercorsi dal
31.8.89 all’ 1.10.03 tra il XXXXXXXXXX, da un lato, e XXXXXX, XXXXXXXX e XXXXXXXXX, dall’ altro.
È principio giurisprudenziale consolidato quello secondo cui elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato e – criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo — è la subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato, mentre hanno carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria altri elementi del rapporto di lavoro ( quali ad esempio la collaborazione, l’ osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’ inserimento della prestazione medesima nell’ organizzazione aziendale e il coordinamento con l’ attività imprenditoriale, l’ assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione) i quali — lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall’ assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto — possono tuttavia essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa tutte le volte che non ne sia agevole l’ apprezzamento diretto a causa di peculiartà delle mansioni, che incidano sull’ atteggiarsi del rapporto. Inoltre non è idoneo a surrogare il criterio della subordinazione nei precisati termini neanche il “nomen iuris” che al rapporto di lavoro sia dato dalle stesse parti ( cosiddetta autoqualificazione), il quale, pur costituendo un elemento dal quale non si può in generale prescindere, assume rilievo decisivo ove l’ autoqualificazione non risulti in contrasto con le concrete modalità di svolgimento del rapporto medesimo ( Cass. n. 4500/07).
In tema di distinzione tra il rapporto di lavoro subordinato e il rapporto di lavoro autonomo le concrete modalità di svolgimento del rapporto prevalgono sulla diversa volontà manifestata nella scrittura privata eventualmente sottoscritta dalle parti, ben potendo le qualificazioni riportate nell’ atto scritto risultare non esatte, per mero errore delle parti o per volontà delle stesse, che intendano usufruire di una normativa specifica o eluderla. La valutazione degli elementi probatori, ivi compresa l’ interpretazione degli atti scritti, è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, insindacabile in Cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento ( Cass. n. 17455/09 che ha ritenuto non adeguatamente motivata la sentenza della corte di merito che aveva riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro tra una società ed un dirigente industriale, qualificato di “collaborazione professionale” nella scrittura privata sottoscritta tra le parti, valorizzando elementi non decisivi per la qualificazione del rapporto, quali le comunicazione inviate ai dipendenti, collaboratori, fornitori e clienti recante la qualifica di responsabile di un settore dell’ azienda, a capo della direzione commerciale; la quotidiana presenza in azienda; la sottoscrizione della corrispondenza per conto dell’ azienda; l’ invio periodico ai vertici della società di relazione sull’ attività; la percezione di un compenso fisso mensile e il rimborso delle spese; il rilascio di fatture per le somme mensili ricevute e la percentuale sugli affari). Ai fini della configurabilità del lavoro subordinato e la distinzione da quello autonomo sono decisivi l’ assoggettamento del lavoratore ai potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo inserimento nell’ organizzazione aziendale, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante l’ idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà. Invece elementi quali l’ assenza di rischio, l’ osservanza di un orario e la cadenza e la misura fissa delta retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva ( Cass. n. 20669/04 relativa all’ attività svolta da un architetto addetto all’ ufficio edilizia ed urbanistica di un comune). Con riferimento a prestazioni di carattere intellettuale che non richiedono alcuna organizzazione imprenditoriale nè postulano un’ assunzione di rischio a carico del lavoratore, il criterio fondamentale per l’ accertamento della natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro è costituito dall’ esistenza di un potere direttivo del datore di lavoro che, pur nei limiti imposti dalla connotazione professionale della prestazione di lavoro, abbia un’ ampiezza di estrinsecazione tale da consentirgli di disporre, in maniera piena, della stessa nell’ ambito delle esigenze proprie della sua organizzazione produttiva ( Cass. n. 17569/04).
I caratteri distintivi del rapporto di lavoro subordinato sono costituiti dall’ inserimento del lavoratore nell’ organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro, con conseguente limitazione di autonomia, e tali caratteri sono i medesimi per qualunque tipo di lavoro, pur potendo essi assumere aspetti e intensità diversi in relazione alla maggiore o minore elevatezza delle mansioni esercitate o al contenuto ( piè o meno intellettuale e/o creativo) della prestazione pattuita ( Cass. n. 6983/04).
In relazione poi alla rivendicazione della natura subordinata del rapporto con qualifica dirigenziale è stato affermato che i connotati della subordinazione che, a parità di compiti assegnati ed espletati, distinguono la prestazione di lavoro dipendente da quella di lavoro professionale autonomo, assumono contorni particolari nel caso del lavoro dirigenziale (nella specie ai fini della sua distinzione da un’ attività autonoma di consulenza aziendale) che sono individuabili, oltreché attraverso i consueti indici di rilevazione del lavoro dipendente, come la corresponsione di una retribuzione fissa, etc., attraverso l’ elemento decisivo delta posizione gerarchica assunta dal dirigente, sia all’ interno in termini di dipendenza esclusiva dall’ imprenditore e sovraordinazione a tutti gli altri dipendenti, sia all’ esterno con l’ esercizio dì poteri discrezionali e di iniziativa nei confronti dei terzi (Cass. n. 4855/86), Ogni attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo e l’ elemento essenziale del primo tipo di rapporto è costituito dalla subordinazione, intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro che inerisca alle intrinseche modalità di svolgimento, e non soltanto al risultato, della prestazione lavorativa ( Cass. n. 1219/94 sempre relativa all’ accertamento di un rapporto di lavoro subordinato dirigenziale). Alla luce dei principi giurisprudenziali consolidati sopra riportati appare di tutta evidenza come, ai fini della dimostrazione dell’ esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, sia pur in presenza di prestazioni intellettuali e dirigenziali, non sia possibile prescindere dalla prova della sussistenza nei confronti del lavoratore di un potere direttivo del datore di lavoro estrinsecantesi sulla concrete modalità di esecuzione della prestazione lavorativa in modo da poter disporre in maniera piena della stessa in relazione alle esigenze aziendali, con conseguente limitazione dell’ autonomia del dipendente.
Orbene ritiene il giudicante che nella fattispecie in esame tale prova sia mancata del tutto. Ed infatti nel ricorso nulla è stato allegato e tanto meno provato o chiesto di provare dal XXXXX, come era pacificamente suo onere, in ordine alle concrete ed intrinseche modalità di svolgimento della prestazione nell’ assolvimento degli incarichi conferiti con i contratti di consulenza ( contratto managers staff) allegati, né in che cosa consistessero e quali fossero le direttive programmatiche asseritamente impartitegli e i controlli – supervisione – esercitati dalle ben otto persone indicate, persone che tra l’ altro in prima udienza non è stato contestato specificamente che fossero, a loro volta, dei promotori finanziari “divisional manager” e, quindi, dei collaboratori autonomi della società convenuta.
Non solo ma nulla è stato dedotto in ordine alle mansioni concretamente svolte nel periodo dal 1.9.99 all’ 1.10.03 quando è stato inserito pacificamente nel progetto ” XXXXXXXXXX” essendo legato alla convenuta da un rapporto di agenzia.
Anzi per quanto attiene a questo specifico periodo nessuna prova orale sembra essere stata formulata dal ricorrente posto che i capitoli di cui alle lettere da a) a q) dell’ atto introduttivo appaiono riferirsi esclusivamente al primo periodo in contestazione dai 31.8.89 al 31.8.99. Parimenti nulla è dato conoscere sull’ orario di lavoro seguito dal XXXXXX, sulla eventuale concessione di ferie, permessi, sulla giustificazione di eventuali assenze, ecc..
In ordine infatti a tutte le circostanze sopra elencate, decisive ai fini della rivendicata qualificazione subordinata del rapporto di lavoro, nessuna prova, orale o documentale, è stata dedotta e fornita dai ricorrente, con conseguente decadenza ex Art. 414 c.p.c.
Per contro l’ autonomia dei rapporti intercorsi tra le parti risulta inequivocabilmente dal tenore letterale dei contratti sottoscritti e prodotti in causa.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente la previsione di un obbligo di fedeltà e di una clausola risolutiva espressa in caso di violazione, così come del patto di non concorrenza di cui all’ Art. 3, del contralto di consulenza in contestazione, non sono certamente sintomatici della natura subordinata del rapporto nulla avendo a che vedere con il potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro nel senso sopra richiamato.
Ed invero si tratta di previsioni che caratterizzano anche i rapporti di lavoro autonomo e di lavoro parasubordinato in particolare ( cfr. disposizioni relative al diritto di esclusiva e al patto di non concorrenza in materia di agenzia, all’ obbligo di fedeltà del collaboratore a progetto, nonchè piè in generale alla norma dell’ art 2596 c.c. in materia di limiti contrattuali della concorrenza) Ugualmente va detto per l’ obbligo di riservatezza.
La statuizione poi di una clausola risolutiva espressa è per contro tipica di un rapporto di collaborazione autonoma, dovendo invece il potere disciplinare del datore di lavoro esercitarsi necessariamente nel rispetto dell’ Art. 7 legge n. 300/70.
Parimenti, diversamente ancora una volta da quanto affermato in ricorso, la componente variabile del compenso pattuito e disciplinato nell’ appendice B) del contratto, piè volte modificata, è sempre stata di gran lunga prevalente nel corso degli anni, come emerge inequivocabilmente dai documenti 8 e 10 allegati al ricorso, alla componente fissa, comprensiva quest’ ultima, da una certa data in poi, anche di un rimborso spese limitamento peraltro a quelle sostenute al di fuori dell’ area di competenza del XXXXX.
Anche sotto questo aspetto pertanto le pattuizioni intercorse tra le parti, confermate dai compensi concretamente erogati, dimostrano semmai l’ assoggettamento del ricorrente anche al corrispondente rischio economico.
Infine va sottolineato che parte ricorrente non ha prodotto, come era suo onere, nè il CCNL invocato, nè alcun conteggio esplicativo delle somme rivendicate a titolo di differenze retributive e T.F.R. ammontanti complessivamente a piè di un milione di euro.
È evidente che anche questa omissione si riflette sulla mancata prova del fondamento delle domande avanzate in causa dal XXXXXXXXXXX.
Non solo ma la stessa prospettazione attorea appare incompatibile con la qualifica dirigenziale rivendicata.
Infatti la figura professionale del dirigente implica lo svolgimento di compiti coordinati e non già subordinati a quelli di altri dirigenti, di qualsiasi livello, i quali siano caratterizzate da significativa autonomia e poteri decisionali che li differenziano qualitativamente da quelli affidati agli impiegati direttivi. Infatti il tratto distintivo della qualifica di dirigente rispetto a quella di impiegato con funzioni direttive è dato dall’ ampiezza delle rispettive funzioni, estese per la prima qualifica all’ intera azienda o ad un ramo autonomo di questa e destinate ad incidere con carattere essenziale sulla vita dell’ azienda, circoscritte invece, per la seconda, ad un settore, ramo ufficio dell’ azienda medesima.
Vi è pertanto incompatibilità tra la qualifica di dirigente e l’ esercizio di mansioni con vincolo di dipendenza gerarchica anche nei casi di aziende ad organizzazione complessa con pluralità di dirigenti e graduazione di compiti, atteso che pure in tali ipotesi per la sussistenza delle funzioni dirigenziali occorre che le mansioni nel loro svolgimento siano coordinate con quelle degli altri dirigenti e non già subordinate ad altre, differenziandosi l’ autonomia degli altri funzionari o impiegati con funzione direttive preposti a determinati uffici o servizi per il fatto che questa consiste nell’ attività di attuare, determinare e curare l’ esecuzione delle direttive generali dell’ imprenditore o di dirigenti dall’ azienda in un ramo o servizio di questa ( Cass. n. 1806/94; Cass n. 16015/07). Nel caso di specie invece il ricorrente, per sua stessa ammissione, ha affermato di dipendere gerarchicamente da vari dirigenti.
Inutile poi dire che nessun altro contratto collettivo, oltre al CCNL dirigenti commerciali, è stato non solo prodotto ma neppure invocato dal XXXXXXX.
Alla luce delle considerazioni svolte il ricorso deve essere rigettato. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, cosi provvede:
- respinge li ricorso;
- condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi € 10.000,00, di cui € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Padova, lì 12.3.10