Licenziamento – Comporto – Impugnazione (Tribunale di Milano, Sezione Lavoro, Sentenza n. 993 del 25 marzo 2014)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
SEZIONE LAVORO
Il dott. Giorgio Mariani, in funzione di giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al numero di ruolo generale sopra riportato, promossa con ricorso depositato in data 3 gennaio 2014
da
U. G., elettivamente domiciliato in Milano, XXX, presso lo studio dell’Avv. F. M. C., che lo rappresenta e difende, per procura in calce al ricorso in opposizione;
ricorrente
contro
A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Milano, Via Lamarmora 18, presso lo studio dell’Avv. Massimo Goffredo, che lo rappresenta e difende, per procura in calce alla copia notificata del ricorso;
convenuto
OGGETTO: opposizione a ordinanza ex art. 1 comma 51 L. 92/2012;
I Difensori delle parti, come sopra costituiti, così
CONCLUDEVANO
PER IL RICORRENTE U. G.:
accogliere la spiegata opposizione ed accertare in via preliminare l’ammissibilità del ricorso ex art. 1 comma 48 l. 92/12 depositato il 18/10/13 e per l’effetto:
1) accertare e dichiarare l’illegittimità, la nullità e/o l’inefficacia del licenziamento intimato al ricorrente in data 08/04/13.
2) condannare la resistente a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro;
3) condannare la resistente al pagamento in favore del lavoratore del risarcimento del danno arrecato in misura corrispondente alla somma delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe avuto diritto a percepire dalla data di licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione, da determinarsi in ragione della retribuzione globale di fatto lorda pari ad € 1.757,46;
4) condannare la resistente al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dovuti dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva reintegrazione;
5) in ogni caso: con interessi e rivalutazione monetaria su tutte le somme dal dovuto al saldo, con vittoria di spese, diritti e onorari di legge, con distrazione delle spese e degli onorari in favore del difensore ai sensi dell’art. 93 c.p.c.
PER IL CONVENUTO A. s.p.a:
respingere l’opposizione e per l’effetto assolvere A. s.p.a. da ogni domanda proposta nei suoi confronti da U. G., confermando l’ordinanza impugnata, con vittoria delle spese del giudizio.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 3 gennaio 2014, U. G. ricorreva al Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, per sentire accogliere le sopra indicate conclusioni, nei confronti di A. s.p.a.
Rilevava il ricorrente che, con il ricorso introduttivo ex art. 1 comma 47 L. 92/2012, depositato il 18 ottobre 2013, aveva chiesto l’accertamento dell’illegittimità o della nullità del licenziamento intimatogli 18 aprile 2013.
Riferiva il ricorrente di aver iniziato a lavorare alle dipendenze della convenuta A. s.p.a. il 28 luglio 2004 con inquadramento 1° livello C.C.N.L. dei servizi ambientali e territoriali, con mansioni di operatore ecologico.
A seguito di una vertenza intentata dal fratello U. G. nei confronti della società, il ricorrente, a partire dall’anno 2005, era stato oggetto di una serie di condotte ostili e vessatorie, da parte dei propri superiori F., B. e M. Il contesto lavorativo aveva provocato l’insorgere di una sindrome depressiva che aveva costretto il lavoratore a lunghi periodi di malattia.
Nel settembre 2012, A. s.p.a. aveva proceduto nei confronti di U. G. con un Accertamento Tecnico Preventivo al fine di accertare se gli infortuni accaduti al lavoratore il 12 gennaio 2009, il 10 ottobre 2012, il 21 gennaio 2012 e il 26 luglio 2012 dovessero essere qualificati come infortunio ovvero come malattia.
A seguito del responso del consulente dell’ufficio, l’8 aprile 2013 U. G. era stato licenziato per superamento del periodo di comporto.
U. G. aveva impugnato il licenziamento.
Riteneva infatti il ricorrente che le malattie fossero state causate o comunque aggravate dall’ambiente di lavoro.
Si era costituita A. s.p.a. chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso in via preliminare e, nel merito, chiedendo il suo rigetto.
La società aveva riferito che, in presenza di numerose assenze del ricorrente a partire dall’anno 2010, aveva proposto un ricorso per accertamento tecnico preventivo e, a seguito del deposito dell’elaborato medico della dott.ssa M., officiata dal giudice, erano stati riclassificati alcuni eventi, prima indicati come infortunio, come malattia.
A. s.p.a. aveva quindi proceduto al riconteggio dei giorni di assenza per malattia compresi tra il 9 aprile 2010 e l’8 aprile 2013.
La società aveva quindi accertato che il lavoratore era rimasto assente dal lavoro per complessivi 558 giorni di malattia.
A. s.p.a. aveva quindi proceduto a licenziare U. G. per superamento del periodo di comporto.
U. G. aveva impugnato il licenziamento con comunicazione del 19 aprile 2013.
Aveva successivamente proposto ricorso davanti al tribunale del lavoro il 18 ottobre
2013.
Riteneva tuttavia la società che U. G. dovesse ritenersi decaduto dalla proposizione del ricorso, perché aveva depositato quest’ultimo dopo 182 giorni dalla impugnazione extragiudiziale (19 aprile 2013 – 18 ottobre 2013).
Rilevava, in ogni caso, la fondatezza dell’atto espulsivo in considerazione anche del fatto che nessuna specifica censura al conteggio dei giorni era stata fatta.
Con ordinanza 3/5 dicembre 2013, il Tribunale aveva rigettato il ricorso di U. G.
Con ricorso depositato il 3 gennaio 2014, U. G. proponeva opposizione ex art. 1, comma 51, L. 92/2012.
Si costituiva A. s.p.a. chiedendo la conferma del provvedimento impugnato.
Con provvedimento del 7 gennaio 2014, il giudice assegnatario avanzava istanza di astensione al Presidente del Tribunale.
Con provvedimento del 14 gennaio 2014, il Presidente del Tribunale rigettava l’istanza.
All’udienza del 25 marzo 2014, pertanto, la causa veniva posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. U. G. impugna l’ordinanza di rigetto sulla base delle seguenti motivi:
a) ammissibilità del ricorso ex art. 1 comma 48 L. 92/2012; invero, il licenziamento per superamento del periodo di comporto, costituisce una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro che non trova la sua disciplina nella legge 604/1966 ma nella specifica previsione di cui all’art. 2110, secondo comma, c.c.; dunque l’impugnazione di detto recesso non è soggetta né al primo termine di decadenza di 60 giorni, né al successivo termine di 180 giorni introdotto dalla l. 183/2010 e poi riformato dalla 1. 92/2012;
b) dies a quo del secondo termine (180 giorni) era inoltre la data di ricezione dell’impugnazione stragiudiziale da parte del datore di lavoro, per cui, in ogni caso, il ricorso avrebbe dovuto intendersi come ammissibile, per il decorso di soli 178 giorni dalla notifica stragiudiziale;
c) nel merito, U. G. ribadiva che, a causa della sindrome depressiva che lo aveva colpito, era stato costretto ad assentarsi dal posto di lavoro per complessivi 88 giorni; era stato il contesto lavorativo in cui l’opponente era stato costretto a lavorare che aveva determinato l’insorgenza di una patologia di natura depressiva, documentalmente dimostrata; tale periodo (dal 1° aprile 2010 al 31luglio 2010, per complessivi 88 giorni) non poteva essere computato ai fini del calcolo del superamento del periodo di comporto; pertanto l’opponente aveva accumulato soltanto 470 giorni di malattia, e non 558 come indicato nella lettera di licenziamento;
d) contestava inoltre U. G. la tempestività del licenziamento; A. s.p.a. soltanto nel settembre 2012, a distanza di oltre tre anni nel primo infortunio, aveva deciso di procedere nei confronti del lavoratore con il ricorso per accertamento tecnico preventivo; contestava l’opponente anche le risultanze della consulenza svolta a seguito di tale accertamento.
2. A. s.p.a. si costituiva riferendo che l’opponente, nella non lunga carriera lavorativa presso la società convenuta, aveva sempre mostrato un tasso di assenteismo particolarmente significativo, che si era intensificato nell’ultimo periodo.
Riteneva la società che l’ordinanza emessa a seguito della fase sommaria fosse integralmente condivisibile e chiedeva pertanto il rigetto del ricorso in opposizione.
3. Ritiene il Tribunale che l’opposizione di U. G. debba essere rigettata.
Invero, non pare condivisibile la prima censura avanzata dall’opponente (§ 1 a)), secondo cui il ricorso sarebbe ammissibile anche in assenza di una sua impugnazione, poiché il licenziamento per superamento del periodo di comporto, costituirebbe una forma speciale di cessazione del rapporto di lavoro avente sua specifica ed esclusiva disciplina nell’art. 2110, secondo comma, c.c.
La disposizione dell’art. 2110, secondo comma, c.c., certamente deroga le disposizioni di cui all’art. 3, L. 604/1966, ma solo per quanto attiene alla normativa di natura sostanziale attinente alle ragioni e ai motivi del licenziamento, sotto il profilo sia dell’impossibilità di procedere alla risoluzione del rapporto prima della scadenza del comporto, sia dell’esonero della necessità di fornire la prova di un giustificato motivo, una volta scaduto il comporto.
Tale rapporto di specialità non sussiste in tema di regole formali e di modalità attinenti all’intimazione del licenziamento, quali introdotte dall’art. 2, L. 604/1966 (cosi Cass., 716/1997; Cass., 6546/1988; massime non contraddette dalla pur citata successiva Cass., sez. lav. 31 gennaio 2012, n. 1404).
Ne consegue che, anche al licenziamento per superamento del periodo di comporto, si applicano le regole sancite dalla legge citata, ed in particolare, la intimazione per iscritto del licenziamento, l’obbligo di comunicazione, a richiesta, dei motivi del recesso ed anche l’onere di impugnazione con le modalità e le procedure ex art. 6 L. 604/1966 come corrette dall’art. 1, comma 38, L. 92/2012 (fatto quest’ultimo, del resto, compiuto dall‘opponente, anche se in modo irregolare, come si vedrà).
4. Quanto al successivo motivo di doglianza (§ 1 b)), U. G. lamenta che il dies a quo del secondo termine indicato dall’art. 6 L. 604/1966 (così come modificato dal comma 38 dell’art. 1, L. 28 giugno 2012, n. 92: 180 giorni) decorre dalla data di ricezione dell’impugnazione stragiudiziale da parte del datore di lavoro. Ciò avrebbe la conseguenza di calcolare il decorso di soli 178 giorni dalla notifica stragiudiziale.
La data dell’impugnazione stragiudiziale del licenziamento è il 19 aprile 2013 (doc. 13 fasc. ric.; 20 aprile 2013 se si considera la spedizione postale); la data della ricezione da parte di A. s.p.a. è il 23 aprile 2013; la data del deposito del ricorso è il 18 ottobre 2013, venerdì.
U. G. ritiene che l’impugnazione stragiudiziale sia atto recettizio, che si perfeziona con la ricezione della missiva da parte del datore.
L’affermazione è senz’altro condivisibile, ma si tratta di un principio di diritto che non ha attinenza con il problema qui discusso.
Il principio che qui rileva è quello per cui si ritiene irragionevole far discendere un effetto di decadenza dal compimento di attività non riferibili direttamente alla parte, ma a terzi sul cui operato la parte non può influire, come gli uffici postali o gli ufficiali giudiziari (Cass. 5 agosto 2003, n. 11833; Cass. 4 settembre 2008, n. 22287).
Questo orientamento del tutto condivisibile ha trovato applicazione anche con riferimento al rispetto del termine posto a carico del lavoratore per l’impugnazione del licenziamento (che permane atto recettizio), nel senso di attribuire al momento della spedizione del plico l’effetto di impedimento della decadenza, con irrilevanza del momento della ricezione da parte del destinatario (Cass. 4 settembre 2008, n. 22287; Cass. SU 14 aprile 2010, n. 8830).
La massima delle ss.uu. ora citate così dispone: «L’impugnazione del licenziamento ai sensi dell’art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, formulata mediante dichiarazione spedita al datore di lavoro con missiva raccomandata a mezzo del servizio postale, deve intendersi tempestivamente effettuata allorché la spedizione avvenga entro sessanta giorni dalla comunicazione del licenziamento o dei relativi motivi, anche se la dichiarazione medesima sia ricevuta dal datore di lavoro oltre detto termine, atteso che in base ai principi generali in tema di decadenza, enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e affermati, con riferimento alla notificazione degli atti processuali, dalla Corte costituzionale – l’effetto di impedimento della decadenza si collega, di regola, al compimento, da parte del soggetto onerato, dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione demandato ad un servizio – idoneo a garantire un adeguato affidamento – sottratto alla sua ingerenza, non rilevando, in contrario, che, alla stregua del predetto art. 6, al lavoratore sia rimessa la scelta fra piè forme di comunicazione, la quale, valendo a bilanciare la previsione di un termine breve di decadenza in relazione al diritto del prestatore a conservare il posto di lavoro e a mantenere un’esistenza libera e dignitosa (artt. 4 e 36 Cost.), concorre a mantenere un equo e ragionevole bilanciamento degli interessi coinvolti.»
Dunque, il termine per procedere all’impugnazione giudiziale (con deposito del ricorso) decorre, per il lavoratore, dalla data di spedizione ed è da quella data che, ovviamente, si computa il successivo termine di 180 giorni.
Fra il momento della data dell’impugnazione (19 aprile 2013: doc. 13 fasc. ric.; 20 aprile 2013 se si considera la spedizione postale) e il deposito del ricorso (18 ottobre 2013, venerdì) decorrono 182 (o 181) giorni, due (o uno) in piè del termine di legge, con conseguente accoglimento dell’eccezione di A. s.p.a.
Ogni altra doglianza rimane assorbita.
5. Sussistono eccezionali ragioni, legate alla situazione personale dell’opponente, per procedere alla compensazione fra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano, in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando,
ogni contraria ed ulteriore istanza domanda ed eccezione disattesa, così decide:
1) rigetta il ricorso in opposizione di U. G.;
2) compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio.
Così deciso il 25 marzo 2014.
Il giudice
Dott. Giorgio Mariani