Onere di Repechage – ( Tribunale di Bari, Sezione Lavoro, Ordinanza del 09 gennaio 2013 )
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI BARI, SEZIONE LAVORO
Il Giudice di Bari, in funzione di Giudice del Lavoro ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Nella causa iscritta al numero di RG 13699/2012 e proposta da D.S. con l’Avv. N.C. di Bari,
C.G.I. S.p.a. con l’Avv. Massimo T. Goffredo
Letti gli atti e sciolta la riserva di cui all’udienza del 20.12.2012, esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione:
uditi i procuratori delle parti;
con ricorso proposto in data 15.11.2012 ai sensi dell’art. 1, comma 47 e ss. della legge n.92/2012, D. S., premesso di avere lavorato, con la qualifica di operaia e le mansioni di addetta ai servizi mensa, con contratto part-time a tempo indeterminato, alle dipendenze della C.G.I. S.p.a. sin dall’ 1.8.2006, impugnava il licenziamento intimatole per giustificato motivo oggettivo in data 1.10.2012, chiedendo, in via principale, la reintegra di essa ricorrente nel posto di lavoro precedentemente occupato, unitamente al risarcimento del danno;
il presente procedimento, per essere stato introdotto successivamente alla entrata in vigore della legge n. 9212012 (18.7.2012) è soggetto al suddetto rito speciale e, sotto il profilo sostanziale – essendo stato intimato il provvedimento datoriale di recesso l’1.10.2012 – è regolato dall’art. 18 della legge n.300/1970 nella sua nuova formulazione;
la causa può essere decisa nel merito allo stato degli atti, ai sensi dell’art. 1, comma 49, L. n.92 del 2012, non apparendo indispensabile alcuna attività istruttoria.
Ciò detto, il provvedimento espulsivo adottato dalla società datrice, reca la seguente motivazione: “Come Le è noto, in data 31 luglio 2012 è terminata la gestione da parte della Ns. Società del servizio di ristorazione presso l’impianto “O.M. C. E.” di L. . In conseguenza di tanto, perciò, è venuta meno la posizione lavorativa da Lei occupata. Peraltro, per evitare la risoluzione del rapporto di lavoro con Lei intercorrente, Le avevamo proposto una diversa collocazione presso l’impianto mensa dell’I. di T. gestito dalla Ns. Società, ma Lei ha rifiutato tale soluzione alternativa alla cessazione del rapporto. Pertanto, preso atto del fatto che non esiste la possibilità di reperirLe un’equivalente e diversa collocazione aziendale, non possiamo, quindi, fare altro che risolvere il rapporto di lavoro con Lei intercorrente…”
Orbene, innanzitutto, è il caso di rilevare che la D. S. non ha in alcun modo contestato il fatto posto a base del licenziamento, né ha dedotto la pretestuosità della motivazione addotta a fondamento dello stesso: sicché può ritenersi circostanza pacifica tra le parti quella per cui si è verificata, alla data del 31.7.2012, la cessazione dall’appalto del servizio di ristorazione presso la OM C. E. ove la ricorrente svolgeva la propria attività lavorativa, senza alcun subentro di altra impresa, con conseguente soppressione del posto cui era addetta La lavoratrice licenziata.
Quanto all’ulteriore presupposto della dimostrazione della inutilizzabilità della lavoratrice in altre posizioni equivalenti, valgono, nella specie, le seguenti considerazioni.
La prova di detta inutilizzabilità, secondo La consolidata tesi dell’extrema ratio del licenziamento, integra, insieme a quella detta effettiva soppressione del posto, gli estremi del giustificato motivo oggettivo, e grava, quindi, sul datore di lavoro.
Tuttavia, secondo un principio più volte affermato dalla Suprema Corte, da un lato l’onere probatorio del datore di lavoro non va inteso in modo rigido e va contenuto nei limiti della ragionevolezza e delle contrapposte deduzioni, dall’altro vale onere può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria (cfr. Cass. n. 13134 dei 2000, Cass. 2009 n. 22417, Cass. n. 3040/2011).
Orbene, nella fattispecie in esame appare evidente – dal momento che la ricorrente ha in un primo momento rifiutato il reimpiego presso T., chiedendo di poter transitare sui servizi mensa siti nella provincia di B. (sede R.; stabilimento B.) e B. (C.), e successivamente ha condizionato la sua disponibilità su F. (I.) al pagamento delle spese di viaggio e della retribuzione per le ore necessarie allo spostamento (cfr. verbale di mancata conciliazione dinanzi alla Direzione Territoriale e del Lavoro) – che, benché la società resistente operi a livello nazionale nell’ambito del servizio della ristorazione collettiva, l’area di verifica della possibilità di repechage della D.S. sia, in concreto, sulla base delle stesse indicazioni della lavoratrice, limitata a quella della provincia di B. e B. .
Né, d’altronde, per le condivisibili argomentazioni svolte dalla difesa della società, possono ritenersi applicabili, all’ipotesi del trasferimento della sede lavorativa, i benefici economici previsti nella diversa ipotesi della trasferta.
Ciò detto, ritiene questo giudice che, a fronte di un allegazione certamente generica della lavoratrice – che si è limitata a segnalare gli impianti presso la sede R., presso lo stabilimento B. e presso le C., senza alcun indicazione circa le concrete possibilità di ricollocazione, ma secondo un criterio che parrebbe della mera distanza dal proprio luogo di residenza – nella specie l’onere probatorio del datore di lavoro possa ritenersi assolto, quantomeno mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie.
Ed invero, risulta documentalmente (cfr. doc. n. 2 allegato al fascicolo di parte resistente) che già in data 25.9.2012 la società C.G.I. S.p.a. ha inviato alle OO.SS. Nazionali, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, nonché alle Direzioni Territoriali del lavoro, la comunicazione di apertura di procedura di licenziamento collettivo, ai sensi degli arti 4 e 24, legge n.223 del 1991, nella quale si dà atto che a causa di un aumento complessivo dei costi medi “assieme all’erosione del risultato aziendale per l’anno fiscale 2012… all’aumento della pressione concorrenziale ed all’avversa dinamica dei costi di gestione…” essa società ha proceduto ad una profonda riorganizzazione, nel tentativo di recuperare efficienza e competitività sui mercati, prevedendo la riduzione del solo personale impiegato con la qualifica di operano di 665 unità.
Né il contenuto della suddetta comunicazione, dalla quale si evince per la società la necessità di fronteggiare una (non contingente) situazione sfavorevole, ha formato oggetto di alcuna contestazione.
Quanto, poi al dedotto profilo della disponibilità manifestata dalla ricorrente ad essere ricollocata nelle già indicate sedi, anche a mansioni inferiori, è appena il caso di rilevare che tale disponibilità doveva essere manifestata dalla lavoratrice anteriormente al licenziamento (Cass. n. 6552/2009).
Alla stregua delle precedenti considerazioni, la domanda deve essere rigettata, avendo la società datrice di lavoro assolto all’onere probatorio che le incombeva ai sensi dell’art. 5 della legge n.604/1966.
Le ragioni della motivazione e la natura della controversia giustificano la integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
letto l’art. 1, comma 49 della legge n.92/2012;
rigetta la domanda.
Spese compensate.
Bari. 7.1.2013
Il G.d.L.
Dott.ssa M. Procoli
- Conformi sull’onere di repechage, a carico del datore di lavoro,in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo:
- Conforme sulla non applicabilità a mansioni inferiori dell’onere di repechage, a carico del datore di lavoro, in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, salva la manifestata disponibilità del lavoratore, purché anteriore al licenziamento:
Cassazione civile, Sezione lavoro, 22 maggio 2012, n. 7989
“In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti (nel caso di specie in assenza di uno specifico organigramma produttivo, risulta preclusa a priori qualsiasi indagine intesa a verificare se all’epoca del licenziamento fossero o meno presenti posti di lavoro liberi ai quali il lavoratore licenziato avrebbe potuto essere adibito)”.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, 11 luglio 2011, n. 15157.
“In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto”.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, 8 febbraio 2011, n. 3040.
“In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche, organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. – il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari, l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile “repechage”, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti.”
Cassazione civile, Sez. lavoro, 22 ottobre 2009, n. 22147.
“In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, l’ultimazione delle opere edili per la cui realizzazione i lavoratori sono stati assunti non è sufficiente a configurare un giustificato motivo di recesso, salvo che il datore di lavoro non dimostri l’impossibilità di utilizzazione dei lavoratori medesimi in altre mansioni compatibili, con riferimento alla complessità dell’impresa e alla generalità dei cantieri nei quali è dislocata la relativa attività, dovendosi peraltro esigere dal lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile reimpiego, mediante l’indicazione di altri posti in cui poteva essere collocato, cui corrisponde l’onere del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti, da intendersi assolto anche mediante la dimostrazione di circostanze indiziarie, come la piena occupazione negli altri cantieri e l’assenza di altre assunzioni in relazione alle mansioni del dipendente da licenziare.”.
Cassazione civile, Sez. Lavoro, 22 novembre 2012, n. 20603.
“Quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell’impossibilità di “repechage” va fornita anche con riferimento a tali mansioni, ma occorre, in quest’ultimo caso, che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro.”
Cassazione civile, Sez. lavoro, 18 marzo 2009, n. 6552.
“Quando il datore di lavoro procede a licenziamento per giustificato motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori licenziati, la verifica della possibilità di “repechage” va fatta con riferimento a mansioni equivalenti; ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova dell’impossibilità di “repechage” va fornita anche con riferimento a tali mansioni, ma occorre, in quest’ultimo caso, che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, specie se il lavoratore abbia in precedenza agito in giudizio deducendo l’illegittimità del licenziamento”.