Procedimento sommario di cognizione ex art.702 bis c.p.c. – Inapplicabilità alle controversie in materia di lavoro
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE II LAVORO
Il Giudice, a scioglimento della riserva espressa all’udienza del 20/09/13 nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c. suindicato avente ad oggetto l’impugnativa del “trasferimento” della ricorrente adottato in data 24/09/12 dalla società convenuta, letti gli atti
L’art. 702 bis c.1 c.p.c., introdotto dalla L. n. 69/09, prevede che nelle cause in cui il Tribunale giudica in composizione in monocratica la domanda può essere proposta con ricorso al Tribunale competente, con esclusione sia delle controversie spettanti alla competenza di un ufficio giudiziario diverso dal tribunale sia di quelle in cui il tribunale deve giudicare in composizione collegiale ai sensi del l’art. 50 bis c.p.c. .
Secondo questo Giudice il dubbio che si è posto circa l’applicabilità di tale nuovo modello processuale alle cause di lavoro di cui all’art. 409 c.p.c. deve essere risolto nel senso della sua inapplicabilità, trattandosi di un rito concorrente ed alternativo al procedimento ordinario a cognizione piena.
Occorre a tal fine innanzitutto considerare, sul piano letterale, che il c. 1 dell’art. 702 bis prevede che il ricorso, sottoscritto a norma dell’art. 125 c.p.c., deve contenere le indicazioni di cui ai nn. 1-2-3-4-5-6 e l’avvertimento di cui al n. 7 del c.3 dell’art 163 c.p.c., che individua il contenuto dell’atto di citazione introduttivo del processo ordinario di cognizione.
Il medesimo articolo prevede, inoltre, che il convenuto deve costituirsi mediante comparsa di risposta nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi ed i documenti che offre in comunicazione nonché formulare la conclusioni e, a pena di decadenza, deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio; inoltre se il convenuto intende chiamare un terzo in garanzia deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice lo spostamento dell’udienza.
Come osservato da attenta dottrina, il contenuto degli atti introduttivi del procedimento sommario dì cognizione è quindi del tutto analogo a quello degli atti introduttivi del giudizio ordinario previsto dagli artt. 163 e 167 c.p.c. e presenta, inoltre, evidenti aspetti di diversità rispetto al contenuto degli atti introduttivi previsti nel rito del lavoro dagli artt. 414 e 416 c.p.c., in quanto diversamente da questi ultimi l’omessa indicazione specifica dei mezzi di prova e dei documenti da produrre non comporta alcuna decadenza o preclusione, né è previsto che il convenuto nella memoria di costituzione debba prendere posizione a i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, e tale diversità ha evidente rilievo nel caso in cui il giudice, ai sensi dell’art, 702 ter c. 3 c.p.c., ritenuto che le difese svolte dalle parti richiedono un’istruzione non sommaria, fissi l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., che costituisce altro inequivoco riferimento al processo ordinario di cognizione secondo il cui rito prosegue la causa.
In tal caso infatti, come rilevato dalla dottrina citata, il giudice adotta un’ordinanza, non impugnabile e senza regressione alla fase introduttiva o integrazione degli atti difensivi o rimessione in termini e quindi non sarebbe possibile esercitare facoltà o diritti o poteri processuali per i quali sia già maturata la decadenza, con conseguente pregiudizio del convenuto che ha subito la scelta del rito da parte del ricorrente.
In altri termini “non vale a superare il dato testuale l’obiezione,..secondo la quale la lettera delle disposizioni in argomento è suscettibile di un‘operazione ermeneutica in forza della quale la locuzione udienza di cui all’art. 183 c.p.c. possa essere interpretata come qualsiasi udienza che apre il procedimento ordinario, ivi compresa anche l’udienza ex artt. 420 c.p.c. . Va considerato invero che con la mera sostituzione dell’udienza del rito del lavoro, tendenzialmente unico alla prima udienza del rito ordinario, in assenza della previsione di un raccordo atto a consentire l’integrazione degli atti, mancherebbe il coordinamento, verificabile solo con riferimento all’udienza di cui all’art 183 c.p.c., con la disciplina delle preclusioni istruttorie. Queste ultime, infatti, sono atte a prodursi dopo la prima udienza esclusivamente nel processo ordinario di cognizione e non in quello speciale: ne deriva grave e incolmabile incertezza circa la maturazione delle medesima, e i relativi tempi, per il caso in cui la causa, introdotta con il rito sommario, nel quale non sono previsti limiti temporali per deduzioni istruttorie e produzione documentale, debba proseguire con il rito proprio delle controversie in materia di lavoro e di locazioni, in cui il modello processuale prevede il compimento delle preclusioni già con gli atti introduttivi. In un siffatto contesto, nel caso di processo iniziato nelle forme del procedimento sommario e proseguito secondo il rito speciale richiamato, il principio di preclusione che il legislatore ha voluto caratterizzasse detto rito potrebbe, di fatto, essere eluso, poiché solo dopo instaurazione del contraddittorio e, per di più, in base ad una valutazione discrezionale, il giudice potrà essere in grado di apprezzare se le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria (art. 702 ter, c.3 c.p.c.)” (Corte di appello di Lecce — 16/03/2011 — Cofàno/ soc. Unitessile).
Inoltre ulteriori elementi di diversità rispetto al rito del lavoro sono rappresentati dal fatto che l’art. 702 bis c.3 c.p.c. non stabilisce un termine massimo tra il deposito del ricorso e l’udienza di comparizione, come prevede invece l’art. 415 c.3 c.p.c. e dal fatto che l’art. 412 bis u.c. c.p.c., prima dell’abrogazione da parte della L. n. 183/10, non comprendeva il procedimento sommario di cognizione, imponendo quindi il tentativo conciliazione.
Poi anche dal disposto dell’art. 40 c.3 c.p.c. si ricava un principio di inderogabilità del rito del lavoro, che è destinato a prevalere nei casi di connessione di cause pur sottoposte a differenti riti, speciale del lavoro ed ordinario.
Per quanto riguarda l‘eventuale giudizio di appello giova anche osservare che il rito del lavoro si caratterizza per la formazione di un quadro probatorio non modificabile in appello se non in caso di indispensabilità ai fini della decisione (art. 437 c.p.c.) laddove l’art. 702 quater c.p.c. prevede, con esclusione del preventivo vaglio di indispensabilità, l’ammissione di nuovi mezzi di prova e di nuovi documenti quando il collegio li ritenga rilevanti ai fini della decisione.
Infine, come osservato anche dalla giurisprudenza di merito che si è occupata della questione, l’art. 54 della L. n. 69/09 contenente delega al governo per riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili aveva come obiettivo proprio quello di eliminare alcuni riti speciali di cognizione disciplinati dalla legislazione speciale e di ricondurli ad uno dei riti a cognizione piena, rito ordinario o rito del lavoro, o sommaria, procedimento sommario, disciplinati dal codice di procedura civile e secondo il c.4 dell’art. 54 citato, che prevede i principi ed i criteri direttivi ai quali avrebbe dovuto attenersi il Governo nell’esercizio della delega, il Governo avrebbe dovuto prendere in considerazione i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale affinché fossero ricondotti o al rito del lavoro, nel caso in cui prevalessero caratteri di concentrazione processuale o di officiosità dell’istruzione, o al procedimento sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis c.p.c., nel caso in cui prevalessero caratteri di semplificazione della trattazione o dell’istruzione della causa, restando comunque esclusa in tal caso la possibilità di conversione nel rito ordinario (prevista invece dall’art. 702 ter c. 3 c.p.c.), e negli altri casi, al procedimento ordinario a cognizione piena disciplinato nel libro II del c.p.c.; dunque il procedimento sommario di cognizione rappresenta, come affermato da attenta dottrina, “un vero e proprio modello, collocato accanto a quelli offerti dal rito del lavoro e, in via residuale, dal rito ordinario” e “tra i vari modelli sembra sussistere una sorta di impermeabilità“, in virtù della quale “le controversie rientranti in un modello non possono essere assoggettate agli altri“. Né vale “al fine di avallare la tesi dell’estensione del procedimento sommario alle controversie regolate dal rito speciale richiamare i principi giurisprudenziali enunciati dalla Cassazione circa l’interpretazione e applicazione delle norme in conformità del principio costituzionale di ragionevole durata del processo, trovando l’esigenza di celerità compiuta attuazione già nel processo del lavoro e delle locazioni, in ragione degli evidenziati connotati del rito“ (Corte di appello di Lecce già citata).
La valutazione complessiva di tali elementi induce a ritenere che il legislatore abbia voluto limitare l’applicabilità del procedimento sommario alle sole controversie che possono essere trattate, alternativamente e in maniera concorrente, con il giudizio ordinario a cognizione piena.
Il disposto dell’art. 702 ter c.2 c.p.c. prevede, poi, che il Giudice, se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’ art. 702 bis c.p.c., la dichiara inammissibile con ordinanza non impugnabile.
Ora deve considerarsi che tale declaratoria è utilizzabile non solo nei casi di errore circa l’individuazione dell’ufficio giudiziario o della composizione del giudice chiamato a decidere della controversia, ma anche in ogni altra ipotesi che non rientra tra quelle indicate nell’art. 702 bis c.p.c., e tale deve ritenersi una fattispecie compresa tra quelle previste dagli artt. 409 e ss. c.p.c. .
Inoltre deve ritenersi inapplicabile, in caso di errore nella scelta del rito, l’art. 426 c.p.c. che regolamenta solo il passaggio dal rito ordinario al rito speciale del lavoro, dovendosi peraltro ritenersi contraddittorio ritenere l’incompatibilità del procedimento sommario di cognizione e le controversie regolate dal rito del lavoro e contemporaneamente ritenere applicabile, nell’ambito del primo, una norma del secondo.
Il ricorso proposto deve conclusivamente essere dichiarato inammissibile.
Le spese di lite devono essere integralmente compensate tra le parti, sussistendo giusti motivi rappresentati dalla novità della questione trattata e dall’esistenza di differenti orientamenti giurisprudenziali.
Si comunichi alle parti.
Roma, 30 settembre 2013
N. 37462/12 RACC
Luca Redavid