Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 3 Settembre 2002 n. 12824

Enti di previdenza e assistenza
( Assicurazioni e pensioni sociali )
Enti di previdenza e assistenza
( competenza )

Massima e testo integrale

MASSIMA:
L’assicurazione E.N.P.A.L.S., e, quindi, l’obbligo contributivo sui compensi percepiti per l’attività svolta, vige esclusivamente per i soggetti appartenenti alle categorie indicate all’art. 3 del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947, ratificato con l. 29 novembre 1952, n. 2388, e dai successivi decreti ministeriali. Per i medesimi soggetti l’assicurazione E.N.P.A.L.S. vige anche ove l’attività svolta per la creazione di un prodotto artistico o ricreativo venga espletata in assenza di pubblico dal vivo e si concreti nella realizzazione di un supporto registrato o riprodotto destinato alla commercializzazione.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Vincenzo MILEO Presidente
Donato FIGURELLI Consigliere
Luciano VIGOLO
Natale CAPITANIO
Maura LA TERZA Rel. “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da
E.N.P.A.L.S. – ENTE NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA PER I LAVORATORI DELLO SPETTACOLO, in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLE BOTTEGHE OSCURE N.4, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO SPAGNUOLO VIGORITA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TIZIANO TREU, giusta procura notarile in atti;

Ricorrente

contro

SONY MUSIC ENTERTAINMENT (ITALY) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA L. G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati GIROLAMO ABBATESCIANNI, ROBERTO ROMEI, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 5827-99 del Tribunale di MILANO, depositata il16-06-99 R.G.N. 931-98;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24-04-02 dal Consigliere Dott. Maura LA TERZA;
udito l’Avvocato SPAGNUOLO VIGORITA;
udito l’Avvocato ROMEI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Giuseppe NAPOLETANO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Con ricorso al Pretore del lavoro di Milano la Sony Music Entertainment chiedeva accertarsi che non erano da lei dovuti i contributi chiesti dall’E.N.P.A.L.S., con la condanna alla restituzione di quanto già pagato; la pretesa dell’E.N.P.A.L.S. si fondava sul verbale di accertamento con cui si contestava la violazione degli artt. 4 comma 1 e 6 comma 1 del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947 per l’omesso versamento dei contributi relativi ai soggetti che avevano prestato la propria opera nella sala di registrazione per la produzione di supporti fonografici destinati alla vendita. Sosteneva la società ricorrente che i contributi debbono essere obbligatoriamente versati solo sui compensi costituenti retribuzione in senso proprio, cioè che siano il corrispettivo di una attività di spettacolo e quindi di attività svolta in pubblico, il che nella specie era da escludere.
Costituitosi l’E.N.P.A.L.S., il quale eccepiva la irripetibilità del pagamento già effettuato a seguito di domanda di condono e che i contributi richiesti si riferivano ai compensi erogati ai collaboratori obbligatoriamente iscritti alla sua gestione, il Pretore, con sentenza del 14 luglio 1998, accoglieva la tesi dell’E.N.P.A.L.S. sulla irripetibilità dei contributi già versati in esecuzione del condono; sull’appello della società soccombente la statuizione veniva riformata dal locale Tribunale che, con sentenza del 16 giugno 1999, dichiarava non dovuti i contributi e condannava l’E.N.P.A.L.S. alla restituzione di quanto già versato.
Il Tribunale, escluso preliminarmente – ai sensi dell’art. 81 comma 9 della legge 448-98 – che la irripetibilità del pagamento potesse derivare dal condono esercitato, affermava l’erroneità della tesi dell’E.N.P.A.L.S. per cui la obbligatorietà della iscrizione, che pure era pacifica per tutti i soggetti di causa, equivalesse all’automatico assoggettamento a contribuzione E.N.P.A.L.S. di tutte le somme ricevute a titolo di corrispettivo; secondo il Tribunale infatti l’art. 3 della D.L.C.P.S. del 1947 si limita a definire l’iscrizione di determinati soggetti in ragione della loro professionalità ed individua l’E.N.P.A.L.S. come erogatore di determinate prestazioni previdenziali, ma non determina invece il tipo di attività oggetto di contribuzione.
Infatti, escluse determinate categorie che sono “ontologicamente” appartenenti al settore dello spettacolo, come gli attori ed i ballerini, le altre categorie indicate dalla disposizione del 1947 possono svolgere la loro attività anche al di fuori del settore dello spettacolo, come gli elettricisti, i cui compensi, ove percepiti alle dipendenze di una impresa generica, sarebbero assoggettati a contribuzione Inps. Secondo il Tribunale la condizione che determina l’intervento della speciale gestione E.N.P.A.L.S. va allora ravvisata nello svolgimento da parte dell’impresa di un’attività di spettacolo, e tale elemento vale a individuare, all’interno dei soggetti iscritti, le prestazioni per le quali è dovuta la speciale contribuzione E.N.P.A.L.S.. I Giudici di merito affermavano poi che l’attività di spettacolo va intesa alla stregua dell’uso comune, come quella avente ad oggetto una manifestazione artistica o ricreativa che si svolge davanti ad un pubblico, mentre nella specie mancava il nesso immediato tra la produzione artistica o ricreativa ed il pubblico, perché non vi è pubblico nella sala di registrazione, ove si producono mezzi che non necessariamente vengono utilizzati per uno spettacolo.
Avverso detta sentenza l’E.N.P.A.L.S. propone ricorso affidato ad un unico complesso motivo.
Resiste la Sony Music Entertainment (Italy) spa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

L’Ente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 4 del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947 ratificato con la legge 2388-52 e dell’art. 6 del dpr 1420-71.
Premesso che la competenza assicurativa dell’E.N.P.A.L.S. è determinata non dal settore produttivo di appartenenza del datore di lavoro, ma dalla qualifica professionale del lavoratore che è riconducibile a categorie tassativamente previste per legge, di talché in relazione alle categorie inserite nella legge istitutiva – nonché nei decreti ministeriali successivi (purché appartenenti al settore dello spettacolo) – la valutazione dell’obbligo contributivo e quindi l’appartenenza al settore dello spettacolo sono state oggetto di decisione legislativa, sottratta al sindacato giudiziale, si eccepisce che il Tribunale erroneamente avrebbe ritenuto che l’obbligo contributivo nei confronti dell’E.N.P.A.L.S. sia condizionato allo svolgimento da parte dell’impresa di una attività di spettacolo, perché questo elemento non troverebbe alcun riscontro normativo. Sarebbe altrettanto erronea l’affermazione del Tribunale per cui l’attività di spettacolo ha la funzione di individuare, all’interno dei soggetti iscritti, le prestazioni per le quali vi è obbligo di contribuzione all’E.N.P.A.L.S., perché si richiederebbe indebitamente la ricorrenza di un ulteriore, ma inesistente requisito, e cioè l’appartenenza delle prestazioni al settore dello spettacolo. Quest’ultimo era stato poi limitato dal Tribunale alle attività con la presenza di pubblico, ma in tal modo si perverrebbe ad escludere dalla tutela figure storiche dello spettacolo come i doppiatori, i registi e gli sceneggiatori.
Il ricorso è fondato.

  1. Va premesso che l’assicurazione E.N.P.A.L.S., configurante un regime speciale rispetto a quello AGO, si struttura in un sistema che fa riferimento alle categorie professionali ed è proprio la categoria che delimita l’ambito di intervento e quindi l’arca dei soggetti tutelati; il D.L.C.P.S. del 1947 prevede infatti la iscrizione obbligatoria solo per determinate categorie ed è sufficiente l’appartenenza del lavoratore ad una di esse per far scattare l’obbligo del soggetto che ne utilizza le prestazioni (sia in regime di subordinazione, che in regime di autonomia) al versamento dei contributi all’E.N.P.A.L.S..
    È invero peculiare che nè il D.L.C.P.S. del 1947, nè le norme successive facciano alcun riferimento all’attività espletata dal soggetto utilizzatore, che si deve quindi considerare elemento irrilevante e non significativo, di talché l’obbligo contributivo nel confronti dell’E.N.P.A.L.S. nasce in tutti i casi in cui un soggetto appartenente alle categorie professionali indicate svolge attività di spettacolo. Ed invero l’obbligo contributivo a favore dell’E.N.P.A.L.S. è pacifico anche nei casi di utilizzazione di soggetti appartenenti a dette categorie nell’ambito di spettacoli organizzati da enti locali, che quindi non esercitano professionalmente detta attività.
    Il regime speciale di questi lavoratori si spiega con l’intento del legislatore di attribuire una protezione che tenga conto della specialità dell’attività lavorativa che, per gli iscritti nel citato elenco si caratterizzava, quanto meno all’epoca in cui il D.L.C.P.S. fu emanato, per la marcata discontinuità di occupazione, che rendeva opportuno l’apprestamento di regole tali da garantire un piè agevole e rapido conseguimento delle prestazioni pensionistiche.
    Nell’elenco di cui al DLCP del 1947 sono incluse alcune figure professionali che il Tribunale ritiene rientrare “ontologicamente” nel settore dello spettacolo, citando attori e ballerini.
    È condivisibile l’affermazione del Tribunale secondo cui per altri soggetti, invece, la categoria professionale indicata nella norma del 1947 funge da elemento necessario ma non sufficiente ai fini dell’assicurazione E.N.P.A.L.S., dovendosi verificare la ricorrenza di una ulteriore condizione, e cioè l’espletamento della prestazione nell’ambito dello spettacolo, come avviene per gli elettricisti, i falegnami, i pittori o anche i truccatori ed i parrucchieri. Ed è ovvio infatti che, ove dette professionalità non venissero esplicate per la preparazione di uno spettacolo, la tutela previdenziale sarebbe quella apprestata dall’Inps nell’ambito dell’assicurazione generale obbligatoria se dipendenti, ovvero nell’ambito dell’assicurazione apprestata per i lavoratori autonomi artigiani.
  2. Il Tribunale invero non precisa quali fossero le categorie professionali dei soggetti partecipanti all’attività della sala di registrazione, ma assume come dato pacifico che gli stessi rientrino tra quelle per le quali l’iscrizione all’E.N.P.A.L.S. è obbligatoria.
    La ragione della esclusione della pretesa dell’E.N.P.A.L.S. viene fondata nella sentenza impugnata sul rilievo che l’attività svolta in sala registrazione non costituirebbe spettacolo, perché questo si dovrebbe intendere, secondo l’uso comune, come quella attività che ha ad oggetto una manifestazione artistica o ricreativa che si svolge davanti ad un pubblico.
    La tesi del Tribunale, e cioè che elemento imprescindibile, per configurare spettacolo, è la materiale presenza del pubblico nel momento stesso del suo svolgimento, non appare condivisibile.
    È invero peculiare che nessuna norma in materia di assicurazione E.N.P.A.L.S., neppure quella piè recente (cfr. decreto legislativo 30 aprile 1997 n. 182, che pure provvede alla distinzione degli iscritti in tre gruppi diversi ed il successivo decreto del Ministro del lavoro 10 novembre 1997 che individua i soggetti appartenenti ai medesimi gruppi) rechi la definizione del termine “spettacolo”.
    Invero il termine spettacolo viene usato nel D.L.C.P.S. del 1947 nel titolo “Istituzione dell’Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per i Lavoratori dello Spettacolo” e poi al comma 2 dell’art. 3 laddove si prevede che “Con decreto del capo dello Stato, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, l’obbligo di iscrizione all’Ente potrà essere esteso ad altre categorie di lavoratori dello spettacolo non contemplate dal precedente comma”.
    Poiché da questa disposizione discende che coloro che fanno parte delle categorie elencate nel primo comma sono sicuramente “lavoratori dello spettacolo”, dalle medesime categorie si possono trarre utili indicazioni per individuare il concetto di spettacolo a cui il legislatore ha inteso fare riferimento.
    Ed infatti si può rilevare che gli appartenenti a talune delle categorie elencate nell’art. 3 del D.L.C.P.S., i quali, per quanto sopra si è detto, devono sicuramente essere considerati “lavoratori dello spettacolo”, svolgono un’attività in cui è esclusa la presenza del pubblico. Si tratta dei tecnici del montaggio e del suono, dello sviluppo e della stampa; costoro, non operano alla presenza del pubblico, ma su pellicole cinematografiche e colonne sonore ecc. e cioè su supporti che riproducono lo spettacolo: costoro sono lavoratori dello spettacolo, perché tali sono considerati dalla legge, eppure non operano in presenza del pubblico.
    Ma la presenza del pubblico va esclusa anche per le attività di altri soggetti appartenenti ad ulteriori categorie professionali previste nell’elenco (che sono pertanto sicuramente “lavoratori dello spettacolo”): si tratta dei doppiatori, degli operatori di ripresa cinematografica e degli stessi attori e generici cinematografici, poiché quando si gira un film non è presente il pubblico dei fruitori, e d’altra parte sarebbe indubbiamente contrario al senso comune escludere gli attori cinematografici dalla categoria dei lavoratori dello spettacolo.
    Pertanto non si ravvisa alcun elemento atto a dimostrare che per “spettacolo” secondo la legge del 1947 si debba intendere solo quello fatto dal vivo, ma si ravvisano anzi elementi di segno contrario, giacché la legge medesima definisce come lavoratori dello spettacolo categorie professionali che non svolgono la loro attività alla presenza del pubblico.
    Si deve allora concludere che secondo le disposizioni del 1947 sono lavoratori dello spettacolo tutti coloro che, appartenendo alle categorie professionali previste dalla legge, siano essi artisti o tecnici addetti alle attività ausiliarie, contribuiscono alla creazione di un prodotto di carattere artistico o ricreativo, destinato ad una pluralità di persone, passibile di essere fruito dal vivo, ovvero di essere riprodotto per la commercializzazione, come avviene per i film.
    Ed invero anche nell’accezione comune lo spettacolo non è solo quello che si svolge dal vivo, ma anche quello riprodotto o registrato, che è destinato alla utilizzazione da parte di una pluralità di persone, le quali ne possono godere singolarmente (ad es. il film riprodotto in cassetta) ovvero collettivamente (ad es. nelle sale cinematografiche).
    Peraltro seguendo l’interpretazione del Tribunale, stante la mancanza di pubblico dal vivo, sarebbe estranea allo “spettacolo” l’intera programmazione televisiva.
    Ne deriverebbe altresì una ben limitata tutela previdenziale del personale artistico perché ad es. il cantante o l’orchestrale avrebbero diritto al versamento dei contributi solo in caso di prestazioni rese dal vivo e non anche quando, pur svolgendo la medesima attività, lo spettacolo venisse registrato e senza poter supplire, in questi casi, alla carenza di contributi E.N.P.A.L.S. con nessuna altra forma di assicurazione.
    D’altra parte l’aspetto della commercializzazione, essendo sempre presente in ogni forma di spettacolo, non può fungere la elemento differenziatore, giacché nell’un caso il prodotto offerto al pubblico è lo spettacolo fruito di persona, mentre nell’altro caso il prodotto è costituito da un supporto che ne contiene la riproduzione.
    Si può allora affermare, anche sulla scorta di un orientamento già espresso (cfr. Cass. 11 maggio 1956 n. 2682) che per taluni dei soggetti a cui fa riferimento l’art. 3 del D.L.C.P.S. del 1947 l’appartenenza alla categoria vale di per sè ad integrare l’obbligo assicurativo presso l’E.N.P.A.L.S., senza necessità di ulteriori condizioni, perché lo svolgimento delle relative funzioni è volto immancabilmente a realizzare uno spettacolo: è il caso di tutti gli attori, dei cantanti, dei concertisti, dei registi, dei direttori d’orchestra, dei ballerini, ma anche di categorie non facenti parte del settore artistico come i tecnici di montaggio e del suono, dello sviluppo e stampa, degli operatori di ripresa, dei doppiatori. Per tutti costoro infatti sarebbe davvero arduo concepire lo svolgimento di attività che non si traducano in spettacolo.
    Per altre categorie invece l’obbligo assicurativo scatta solo quando la prestazione venga resa per la realizzazione di uno spettacolo: è il caso dei macchinisti, elettricisti, falegnami, tappezzieri, truccatori e parrucchieri, che sono assicurati all’E.N.P.A.L.S. solo ove svolgano l’attività professionale in un set cinematografico, teatrale o televisivo.
    Per converso non possono rientrare nella assicurazione E.N.P.A.L.S. figure professionali che pure collaborino artisticamente o tecnicamente alla realizzazione dello spettacolo come sopra inteso, ove non siano contemplate nè nell’elenco di cui al citato att. 3 del DLCP del 1947 nè nei decreti ministeriali successivamente emanati, secondo la previsione dal secondo comma della citata disposizione; ed infatti la determinazione dei soggetti protetti avviene, secondo il sistema della legge, attraverso la tassativa indicazione della categoria professionale.
    La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio ad altro Giudice che si designa nella Corte d’Appello di Brescia, la quale deciderà la causa attenendosi al seguente principio: l’assicurazione E.N.P.A.L.S., e quindi l’obbligo contributivo sui compensi percepiti per l’attività svolta, vige esclusivamente per i soggetti appartenenti alle categorie indicate dall’art. 3 del D.L.C.P.S. n. 708 del 1947 ratificato con la legge 29 novembre 1952 n. 2388, e dai successivi decreti ministeriali. Per i medesimi soggetti l’assicurazione E.N.P.A.L.S. vige anche ove l’attività svolta per la creazione di un prodotto di carattere artistico o ricreativo venga espletata in assenza di pubblico dal vivo e si concreti nella realizzazione di un supporto registrato o riprodotto destinato alla commercializzazione.
    Il Giudice del rinvio provvederà anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Brescia.
Così deciso in Roma il 24 aprile 2002.


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