I limiti legali alla ricerca e selezione di personale | ADLABOR
Chiunque si interessi alla gestione di risorse umane con un minimo di competenze sa che la Legge (Codice civile e, soprattutto, leggi statali e regionali) disciplina più o meno attentamente una serie di aspetti legati, appunto, alla gestione (ivi compresa l’amministrazione) del personale: dalle varie tipologie di controlli sui lavoratori alla risoluzione del rapporto, dal computo ed erogazione della retribuzione corrente e differita al calcolo e versamento delle ritenute fiscali e contributive, dalla tutela della salute e dell’incolumità del lavoratore, alla possibilità di mutarne mansioni e sede di lavoro.
Vi è però la diffusa opinione, anche fra gli addetti al settore, che uno dei pochi campi di attività, per così dire, “liberi” sia quello della ricerca e selezione.
Nulla di più errato! Anche per queste attività è intervenuto in modo massiccio -e talora non coordinato- il legislatore.
Come di consueto, con le note che seguono cercheremo di fare il punto della situazione, indicando quelli che sono, allo stato degli atti, i limiti giuridici alle attività connesse appunto alla ricerca e selezione di risorse umane.
- 1 – La cornice normativa
Molte e disparate sono le norme di legge che sono intervenute per fissare i limiti entro i quali i datori di lavoro e le società di ricerca e selezione possono agire legittimamente nel campo di cui ci stiamo occupando. L’obiettivo del legislatore, spesso dichiarato in modo inequivoco, è sempre stato quello di evitare discriminazioni nell’accesso al lavoro.
Tutte le norme, di cui citeremo nel testo gli estremi, saranno poi riportate in esteso in calce alle presenti note.
Le principali norme da prendere in considerazione sono senz’altro gli articoli 5, 8, 15 e 38 della Legge 300/1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) che prevedono rispettivamente limiti ai controlli sullo stato di salute del lavoratore (art. 5), alle indagini sulle opinioni del lavoratore, anche ai fini della sua assunzione -quando, cioè, è soltanto una persona coinvolta in un processo di selezione- (art. 8), all’adozione di atti discriminatori (art. 15) e alle relative sanzioni per la violazione della seconda delle due norme appena indicate (ar. 38)[1].
Inoltre, l’art. 3 del D.Lgs. 151/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità), che vieta qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso, allo stato di gravidanza, di maternità o paternità. Per le sanzioni conseguenti alla violazione di questo articolo occorrerà fare riferimento all’art. 41 del D. Lgs.198/2006, di cui accenneremo in prosieguo.
Ulteriori limiti vengono fissati anche dal D.Lgs. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) che, dopo aver precisato all’art. 4, primo comma, lettere b, d) ed e), cosa si debba intendere per “dati personali”, per “dati sensibili” e per “dati giudiziari” (definizioni che comprendono in tutta evidenza anche tutti quei dati ottenuti in fase di ricerca e selezione di personale), indica, in particolare agli articoli 26 e 27, le modalità con cui debbano essere gestiti tali dati. L’articolo 167 prevede specifiche sanzioni penali in caso di violazione di tali disposizioni. Per quanto riguarda specificamente gli annunci di lavoro e i divieti di indagini in fase di selezione, l’articolo 113 rinvia al già sopra citato art. 8 della Legge 300/1970.
Anche se riferiti essenzialmente alle società di ricerca e selezione di personale conto terzi, vanno comunque tenuti presenti gli articoli 9, 10 e 18 del D.Lgs. 276/2003, che prevedono rispettivamente divieti per quanto riguarda gli annunci di ricerca di personale in forma anonima (art. 9), divieti di indagini sulle opinioni e di trattamenti discriminatori in fase di preselezione (art. 10) e le sanzioni in caso di violazione delle norme appena citate (art. 18).
Importanti anche gli articoli 27-41 del D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità), il primo dei quali precisa i divieti di discriminazione all’accesso al lavoro. La tutela giudiziaria per la presunta violazione del divieto di discriminazione è disciplinata negli articoli da 36 a 41-bis dello stesso D.Lgs. 198/2006, con un’importante previsione contenuta nell’art. 40: l’inversione dell’onere della prova, in base alla quale “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni.., idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione.” Tale previsione normativa rappresenta comunque un’eccezione, in quanto di norma è il candidato a dover dimostrare e provare la discriminazione da lui subita: “Posto che la consulenza tecnica d’ufficio non costituisce un mezzo di prova, ma solo uno strumento di controllo dei fatti costituenti la prova, il lavoratore che adduca di aver subito condotte discriminatorie e persecutorie è gravato dal relativo onere probatorio, non essendo sufficiente riportarsi a episodi riferiti dal CTU.”[2].
Infine, deve essere tenuto presente anche l’articolo 41 del D.Lgs. 81/2008, che affida al solo medico competente gli accertamenti sanitari preassuntivi.
Per quanto concerne un aspetto particolare delle attività di selezione, cioè quello relativo all’accertamento dello stato di sieropositività, ricordiamo il divieto di indagini sullo stato di sieropositività previsto dall’art. 6 della Legge 135/1990, divieto poi ridimensionato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 218/1994.
In funzione delle specifiche attività soggette ai limiti fissati dal legislatore per la ricerca e la selezione di personale e del fatto che spesso sono stati presi in considerazione aspetti simili ma non eguali, abbiamo ritenuto di esaminarle accorpandole nelle seguenti aree: politica, sindacale, religiosa, personale, giudiziaria, familiare, sessuale, etnica, della salute.
- 2 – I limiti legali nelle attività di ricerca di personale
Evidenziamo subito che l’art. 9 del D.Lgs. 276/2003 vieta qualsiasi tipo di ricerca di personale effettuata in forma anonima, imponendo in particolare alle agenzie del lavoro ed agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati l’obbligo di indicare negli annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante reti di comunicazione elettronica gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento. Inoltre, la stessa norma impone agli stessi soggetti, in qualsiasi caso di ricerca di personale effettuato mediante annunci o inserzioni, di ottemperare all’obbligo di informativa concernente la tutela dei dati personali stabilita dall’art. 13 del D.Lgs. 196/2003.
Ciò premesso, in linea di massima, per chi svolge attività di ricerca di personale vigono i seguenti divieti, in base ai quali non è possibile effettuare qualsivoglia tipo di ricerca (inserzioni, annunci di lavoro e/o di preselezione[3] che possano configurarsi come discriminatorie nelle seguenti aree:
- Area politica: il divieto si riferisce sia a patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, in senso generale (art. 15 L. 300/1970), sia più specificamente di discriminazione riferita all’affiliazione ad un’organizzazione politica (art. 10 D.Lgs. 276/2003). Il divieto non sussiste quando la ricerca si riferisca a posizioni lavorative con caratteristiche tali da incidere sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa stessa (come, ad esempio, per specifiche e particolari posizioni lavorative all’interno di organizzazioni politiche che presuppongano la condivisione della stessa idea politica).
- Area sindacale: il divieto si riferisce sia a patti o atti diretti a fini di discriminazione sindacale in senso generale (art. 15 L. 300/1970 cit.), sia più specificamente di discriminazione riferita all’affiliazione sindacale (art. 10 D.Lgs. 276/2003, cit.). Il divieto non sussiste quando la ricerca si riferisca a posizioni lavorative con caratteristiche tali da incidere sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa stessa (come, ad esempio, per specifiche e particolari posizioni lavorative all’interno di organizzazioni sindacali od assimilate, come i patronati, che presuppongano la condivisione della stessa idea sindacale).
- Area religiosa e filosofica: il divieto si riferisce sia a patti o atti diretti a fini di discriminazione religiosa (art. 15 L. 300/1970 cit.) sia al credo religioso (art. 10 D.Lgs. 276/2003, cit.). Il divieto non sussiste quando la ricerca si riferisca a posizioni lavorative con caratteristiche tali da incidere sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa stessa (come, ad esempio, per posizioni lavorative all’interno di istituzioni religiose che presuppongano la condivisione dello stesso credo religioso). In taluni casi (ad esempio il buddhismo), non è semplice stabilire se determinate opinioni appartengano alla sfera religiosa o a quella filosofica. Ove si escluda che appartengano a quella religiosa, le opinioni filosofiche sono comunque tutelate come facenti parte dell’area delle convinzioni personali.
- Area delle convinzioni personali: premesso che non è ben chiaro cosa il legislatore abbia inteso esattamente per “convinzioni personali”, tanto che vari giudici hanno ritenuto che ci si trovi di fronte ad una categoria molto generica, è interessante il tentativo della Cassazione di definirle: “La nozione di convinzioni personali ha infatti un utilizzo variabile nelle diverse fonti normative del diritto antidiscriminatorio, ma certamente comprende categorie che vanno dall’etica, alla filosofia, dalla politica (in senso lato) alla sfera dei rapporti sociali e comprende pertanto anche l’affiliazione sindacale in quanto occasione per manifestare una concezione del lavoro e della dignità umana in esso realizzata”[4], vale anche per questa area quanto sopra detto per le aree politica e sindacale.
- Area personale e familiare: facciamo rientrare in questa area tutti i dati e le informazioni riferite allo stato civile (ad esempio lo stato matrimoniale o di famiglia, ex art. 25 e 27 D.Lgs. 198/2006 e art. 10 D.Lgs. 276/2003, cit.), all’età e all’ascendenza[5] (ancora art. 10 D.Lgs. 276/2003, cit.). Il divieto di discriminazione si riferisce, per quanto riguarda in particolare lo specifico argomento che stiamo trattando, alle attività di ricerca (anche a mezzo stampa o con qualsiasi altro mezzo, compresi i social forum) e di preselezione di personale. Non costituiscono atti di discriminazione vietata i riferimenti agli aspetti oggetto di tutela qualora, per la natura dell’attività lavorativa (ad esempio, nel caso dell’età, se la ricerca riguarda l’eventualità di assunzione con contratto di apprendistato, per il quale la legge indica dei precisi limiti di età minima e massima) o per il contesto in cui viene espletata, si tratti di caratteristiche essenziali e determinanti ai fini dello svolgimento dell’attività stessa o siano altresì giustificate oggettivamente da finalità legittime o riguardino forze armate, servizi di polizia, penitenziari o di soccorso. Inoltre, eventuali deroghe alle disposizioni in oggetto sono ammesse per mansioni di lavoro particolarmente pesanti, individuate attraverso la contrattazione collettiva. Si è posta la questione se anche l’aspetto fisico possa essere elemento di illecita discriminazione in fase di ricerca di personale[6]: difficile dare una risposta in assenza di specifiche norme di legge. Un’interpretazione estensiva dell’art. 10 del D.Lgs. 276/2003 potrebbe far ritenere che la discriminazione legata all’aspetto fisico sarebbe lecita solo nel caso in cui “si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa”, come ad esempio nel caso di candidati a ricoprire mansioni di pubbliche relazioni, di front office con clienti, oppure di modelle e modelli.
- Area sessuale: le norme che prevedono specifici limiti all’attività di ricerca di personale legati alla sfera sessuale sono i già citati articoli 25 e 27 del D.Lgs. 198/2006[7], in base ai quali costituisce “discriminazione diretta” qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole per le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e “discriminazione indiretta” qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto o comportamento che possa mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso. Viene così sancito il divieto di indicare nelle ricerche a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso. Le stesse norme prevedono però delle eccezioni laddove vi siano “requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari” oppure quando l’indicazione di un determinato sesso concerne la ricerca per “attività della moda, dell’arte e dello spettacolo, quando ciò sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione” (l’esempio che si può fare è quello di una ricerca di personale di sesso femminile per la presentazione di una collezione di abiti femminili) oppure, se previsto dalla contrattazione collettiva, per mansioni di lavoro particolarmente pesanti[8]. Riteniamo comunque applicabile anche l’art. 3 del D.Lgs. 151/2001, che vieta “qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso”.
- Area etnica e razziale: tra le principali le norme che pongono limiti nell’attività di ricerca di personale riferiti all’origine etnica, citiamo:
- l’art. 15 della Legge 300/1970, che sancisce la nullità di qualsiasi atto (quindi anche gli strumenti utilizzati per la ricerca di personale, come ad esempio le inserzioni) che abbia, tra le altre finalità, quella di discriminazione razziale;
- l’art. 43 del D.lgs. 286/1998 che indica come discriminatorio ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica. La norma si applica anche agli atti xenofobi, razzisti o genericamente ritenuti discriminatori compiuti nei confronti dei cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea presenti in Italia: “L’art. 43 comma 2 lett. e) D. L.vo 286/1998 definisce come atto di discriminazione del datore di lavoro qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una cittadinanza; pertanto un eventuale avviso pubblico di reclutamento di personale esterno discriminatorio va sospeso e modificato in modo tale che sia consentita la partecipazione anche a tutti i cittadini di Paesi terzi in possesso di un titolo di soggiorno che consenta di lavorare.”[9];
- Area della salute: nell’attività di ricerca di personale non vi sono norme specifiche che pongano limiti riferiti alle condizioni di salute, eccezion fatta per il divieto di discriminazioni in base all’indicazione dell’eventuale esistenza (o non esistenza) di handicap o disabilità previsto dall’art. 15, 3° comma, della Legge 300/1970. Riteniamo però che tale divieto non sussiste qualora la ricerca di personale sia finalizzata all’assunzione di persone con handicap o disabilità per ottemperare agli obblighi previsti dalla Legge 68/1999 sul collocamento obbligatorio di disabili[10]. L’indicazione, contenuta nei bandi dei concorsi pubblici, di specifica certificazione medica di idoneità all’impiego (c.d. “di sana e robusta costituzione fisica”) o di “incondizionata idoneità fisica specifica alle mansioni del profilo professionale e delle categoria a selezione”, pur essendo stata abolita dall’art. 42 comma 1, lettera d) del Decreto Legge 69/2013, convertito in Legge 98/2013, risulta invece tuttora presente in vari bandi di concorsi pubblici[11].
- Area giudiziaria e del contenzioso: eccezion fatta per l’art. 25 bis del DPR 313/2002, che prevede espressamente l’obbligo del datore di lavoro di richiedere il certificato penale del casellario giudiziale nel caso di ricerca di persone per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, non esiste una norma che vieti specificamente di richiedere, in fase di ricerca di personale l’assenza di condanne penali o la pendenza di procedimenti penali. Indirettamente, si può fare riferimento all’art. 8 dello Statuto dei lavoratori, che vieta al datore di lavoro, anche ai fini dell’assunzione, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, su “fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”. Dottrina e giurisprudenza hanno interpretato tale norma nel senso che l’azienda non può chiedere il certificato del casellario giudiziario al candidato per verificare la sua fedina penale, tranne nel caso in cui vi sia una norma di legge (come ad esempio, ex art. 25 bis del DPR 313/2002, per tutti coloro destinati a svolgere non occasionalmente mansioni a contatto con minori per i quali, c’è addirittura l’obbligo di consegnare il certificato penale per verificare che non si siano macchiati di reati contro i minori[12]) o una espressa previsione del contratto collettivo. Le pronunzie giurisprudenziali sul punto specifico sono limitatissime e, per certi versi, non omogenee. Così, infatti, per la Cassazione la richiesta del certificato penale per le condanne passate in giudicato è legittima, mentre non lo è per il certificato dei carichi pendenti: “La richiesta del certificato penale integra un limite rispetto alla previsione di cui all’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori che si giustifica con la rilevanza ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore della conoscenza di date informazioni relative all’esistenza di condanne penali passate in giudicato. Tale limite, in assenza di espressa previsione contrattuale, non può essere dilatato per via interpretativa fino a ricomprendere informazioni relative a procedimenti penali in corso (oggetto del certificato sul casellario giudiziale), ciò specie in considerazione del principio costituzionale della presunzione d’innocenza.”[13]. Più generica (nel senso che non distingue tra certificati relativi a condanne passate in giudicato e certificati riguardanti carichi pendenti) un lontana sentenza pretorile, comunque interessante perché identifica chiaramente le eventuali responsabilità penali: “In forza dell’art. 8 dello statuto dei lavoratori, deve considerarsi in via generale vietata la richiesta del certificato penale del lavoratore da parte del datore di lavoro, salvo che, per particolari mansioni o per la particolare natura del rapporto di lavoro sussista lo speciale interesse richiesto dall’art. 607 c.p.p. (ora abrogato, N.d.A.) La violazione dell’art. 8 dello statuto è integrata dalla semplice richiesta del certificato penale, indipendentemente dalla materiale acquisizione del documento, ed indipendentemente dalle finalità avute di mira dal datore di lavoro. Della violazione, incorsa in occasione di procedure irregolari di collocamento operaio, sono responsabili l’amministratore ed i dirigenti della società in quanto sia dimostrato che erano al corrente della situazione e che, nell’ambito dei rispettivi poteri, nulla fecero per rimuovere le cause di una evidente attività selettiva posta in essere in violazione dell’indicato art. 8”[14]. Resta comunque aperta la possibilità dei datori di lavoro di richiedere idonea certificazione nel caso in cui la ricerca di personale sia riferita a mansioni “rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore”, come ad esempio nel caso delle guardie giurate[15] o per i candidati all’assunzione nel settore bancario, possibilità prevista dal CCNL di settore.[16]
Per quanto riguarda poi l’eventuale contenzioso con precedenti datori di lavoro[17], un’interpretazione non rigida del termine “indagine” contenuta nell’art. 10 del D.Lgs. 276/2003 (che vieta alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di “effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso” circa “eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa. È altresì fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.”) può far ritenere che il divieto sia applicabile anche alle varie forme di ricerca di personale (come inserzioni ed annunci su stampa, mezzi radiotelevisivi ed internet).
Circa il trattamento dei dati giudiziari dei dipendenti il Garante Privacy, con provvedimento n. 267 del 15 giugno 2017, si era espresso negando l’autorizzazione ad un’azienda a richiedere ai propri dipendenti, raccogliere e trattare il certificato tratto dal casellario giudiziale, in quanto tali attività possono essere autorizzate solo qualora ciò sia “indispensabile per […] adempiere o esigere l’adempimento di specifici obblighi o eseguire specifici compiti previsti da leggi, dalla normativa dell’Unione europea, da regolamenti o da contratti collettivi, anche aziendali, e ai soli fini della gestione del rapporto di lavoro“[18].
- 3 – I limiti legali nelle attività di selezione delle risorse umane
Una volta cessata la fase della ricerca, si passa alla fase della selezione, cioè a quella serie di attività volte a identificare il candidato che, per i propri requisiti personali e competenze professionali, si avvicina maggiormente alle aspettative delle imprese. Tali attività vanno dal semplice screening epistolare, ai colloqui individuali e di gruppo, dagli assessment alla somministrazione di test attitudinali e psicoattitudinali[19], dai role playing agli accertamenti sanitari preassuntivi, per finire con le indagini preassuntive.
Come per le attività di ricerca, anche per quelle di selezione il legislatore ha previsto una vasta gamma di normative a tutela dei candidati.
- Area politica: principale norma di riferimento è l’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori, che vieta espressamente a chi effettua attività di selezione “ai fini dell’assunzione” (datore di lavoro o agenzie esterne) “di effettuare indagini sulle opinioni politiche”. Il termine “indagine” ricomprende qualsiasi atto (anche una semplice domanda) volto ad ottenere informazioni.
Un ulteriore limite viene previsto dall’art. 15 dello Statuto dei lavoratori, laddove si afferma la nullità di qualsiasi patto od atto diretto a subordinare l’occupazione a condizione che il candidato aderisca o non aderisca ad un partito o movimento politico, ciò che viene ritenuto dal legislatore una forma di illegittima discriminazione.
Infine, ricordiamo che le opinioni politiche sono considerate dall’art. 4 del D.Lgs. 196/2003 come dati sensibili ed il loro trattamento dovrà prevedere particolari procedure. Così, ad esempio, se il candidato abbia spontaneamente dichiarato le sue opinioni politiche o la sua affiliazione ad un partito o movimento, il trattamento di tale informazione andrà soggetta ad esplicito e specifico consenso espresso dall’interessato in forma scritta (art. 23) e previa autorizzazione del Garante privacy (art. 26).
- Area sindacale: anche per quanto riguarda quest’area, le principali norme di riferimento sono quelle indicate a proposito dell’area politica e cioè gli articoli 8 e 15 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori) e gli articoli 4, 23 e 26 del D.Lgs. 196/2003, con l’unica sostanziale differenza che per il trattamento dei dati riguardanti l’adesione di associazioni od organizzazioni a carattere sindacale o di categoria ad altre associazioni, organizzazioni o confederazioni a carattere sindacale o di categoria non vi è necessità né del consenso del candidato né dell’autorizzazione del Garante.
- Area religiosa: circa le limitazioni ed i divieti normativi concernenti le opinioni ed il credo religiosi, vale quanto detto a proposito nelle precedenti lettere a) e b). Sotto il profilo gestionale, organizzativo e di sicurezza del lavoro, però, questi tassativi divieti di indagini creano ai datori di lavoro – e, talvolta, agli stessi lavoratori – delle indubbie difficoltà. Basti pensare, ad esempio, a una selezione di personale addetto a lavori a turni avvicendati, con prestazioni da effettuarsi anche nelle giornate di venerdì, sabato e domenica: se il candidato è un fedele osservante della religione islamica – e il datore di lavoro non ne può venire a conoscenza – una volta assunto, potrà rifiutarsi di lavorare nella giornata di venerdì, oppure creare dei problemi di sicurezza del lavoro derivanti dalle regole imposte dalla sua religione durante il periodo di ramadan. Problemi del tutto analoghi potrebbero derivare in caso di assunzione di candidati di fede ebraica o cristiana avventista[20]. Un altro esempio è quello relativo al rispetto di un particolare regime alimentare che talune religioni impongono ai loro fedeli: il rifiuto del datore di lavoro di diversificare i menù del servizio di ristorazione aziendale, non offrendo in alternativa a quello ordinario, menù halal o kasher (con conseguente incremento dei costi aziendali) potrebbe addirittura configurarsi atto discriminatorio…
- Area personale, giudiziaria e familiare: come già detto a proposito dei limiti all’attività di ricerca di personale, anche per le attività di selezione ricomprendiamo in questa area tutti i dati e le informazioni riferite allo stato civile (ad esempio lo stato matrimoniale o di famiglia, ex art. 25 e 27 D.Lgs. 198/2006 e art. 10 D.Lgs. 276/2003, cit.), all’età e all’ ascendenza (ancora art. 10 D.Lgs. 276/2003, cit.), allo stesso aspetto fisico. Il legislatore, soprattutto, ha ritenuto di qualificare come atti discriminatori – e, pertanto, vietati – tutti quegli atti, come, evidentemente, le domande e le indagini, effettuate dalle agenzie per il lavoro e dagli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati incaricati dal datore di lavoro di svolgere la selezione, relative “alle convinzioni personali,… allo stato matrimoniale o di famiglia,… alla età,…nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro”[21]. Il divieto non si applica però a tutte quelle domande o indagini finalizzate ad accertare l’esistenza di caratteristiche “che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa”, come, ad esempio, quelle riferite all’età, se la ricerca riguarda l’eventualità di assunzione con contratto di apprendistato (per il quale la legge indica dei precisi limiti di età minima e massima) o per lo svolgimento di mansioni particolarmente pesanti, individuate attraverso la contrattazione collettiva. La lettera della norma indica come destinatari del divieto solo gli enti e le società che svolgono attività di selezione per conto dei datori di lavoro, per cui sembrerebbe che il divieto non si applichi a questi ultimi, ove effettuino direttamente la selezione. Il condizionale è d’obbligo, in quanto un giudice ben potrebbe ritenere vietate indagini e domande poste ai candidati dai datori di lavoro e relative alle convinzioni personali, allo stato matrimoniale o di famiglia, alla età, nonchè ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, interpretando in modo estensivo il divieto posto dall’art. 8 dello Statuto dei lavoratori laddove afferma che “È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione,…di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi,…nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.”. Per quanto riguarda gli accertamenti preassuntivi di candidate in gravidanza, che riteniamo di far rientrare nell’area personale, anziché in quelli dell’area sessuale o della salute, l’art. 41, comma 3, lettera b) del D.Lgs.81/2008 ne sancisce espressamente il divieto[22]. Non è chiaro, però, come il medico competente possa emettere un giudizio di idoneità alla mansione specifica nel caso di candidate selezionate per svolgere mansioni che prevedono trasporto e sollevamento di pesi, lavori pericolosi, faticosi ed insalubri, mansioni che, in base all’art. 7 del D.Lgs. 151/2001, non possono essere svolte da lavoratrici in gravidanza. Circa l’aspetto fisico, non possiamo che ribadire quanto affermato a questo proposito nel precedente § 2, punto e), e cioè che un’interpretazione estensiva dell’art. 10 del D.Lgs. 276/2003 potrebbe far ritenere che non si è in presenza di un atto discriminatorio se la scelta di un candidato anziché di un altro è dovuta quando “si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa”, come ad esempio nel caso di candidati a ricoprire mansioni di pubbliche relazioni, di front office con clienti, di modelle e modelli oppure di ragazze e ragazzi “immagine”.
- Area sessuale: molte sono le norme che prevedono limiti all’attività di selezione legati alla sfera sessuale. In ordine cronologico, citiamo subito l’art. 15 della Legge 300/1970 che sancisce la nullità di qualsiasi patto od atto finalizzato a discriminare il candidato in base al sesso o all’orientamento sessuale: “Dai precetti contenuti nell’art. 37, comma 1, cost., nell’art. 15 l. 20 maggio 1970 n. 300, nella l. 9 dicembre 1977 n. 903 e nella l. 10 aprile 1991 n. 125, deriva il dovere del datore di lavoro, esteso alla fase di formazione e conclusione dei contratti di lavoro, di astenersi dal discriminare i lavoratori (o gli aspiranti tali) per ragioni di sesso, e tale dovere, sussistendo nei confronti di soggetti determinati, o comunque determinabili, ha natura di obbligazione in senso tecnico, di fonte esclusivamente legale nel caso in cui riguardi la fase di formazione del contratto, di fonte contrattuale, dopo l’assunzione.”[23]. Il testo della norma è alquanto generico, prestandosi così a interpretazioni estensive: “Il licenziamento basato sull’intenzione della lavoratrice di sottoporsi a pratiche di fecondazione assistita rappresenta una discriminazione basata sul sesso. La discriminazione opera obiettivamente, ovvero in ragione del mero rilievo del trattamento deteriore riservato al lavoratore quale effetto della sua appartenenza alla categoria protetta ed a prescindere dalla volontà illecita del datore di lavoro. Va perciò distinta l’ipotesi del licenziamento discriminatorio ai sensi dell’art. 4 l. n. 604 del 1966 e dell’art. 15 l. n. 300 del 1970, che, come disposto dall’art. 3 l. n. 108 del 1990, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta, dalla ipotesi del licenziamento ritorsivo per il quale è invece necessaria la prova del motivo illecito unico e determinante.”[24]; quindi, in rapida successione, l’art. 3 del D.Lgs. 151/2001 che vieta qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso; il D.Lgs. 196/2003, che, in vari articoli (ad esempio: l’art. 4, comma 1, lett. d; l’art. 22, comma 7; l’art. 60) pone severi limiti a qualsiasi trattamento di dati relativi alla “vita sessuale”; l’art. 10 dl D.Lgs. 276/2003, che vieta espressamente alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, concernente il sesso o l’orientamento sessuale; gli articoli 25, 29, 38 e 40 del D.Lgs. 198/2006, Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, provvedimento che disciplina specificamente la materia. Da rilevare che l’art. 40 di quest’ultima norma pone a carico del datore, in sede giudiziaria, l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione, seppur con certe limitazioni: “In tema di comportamenti datoriali discriminatori, l’art. 40 del d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 – nel fissare un principio applicabile sia nei casi di procedimento speciale antidiscriminatorio che di azione ordinaria, promossi dal lavoratore ovvero dal consigliere di parità – non stabilisce un’inversione dell’onere probatorio, ma solo un’attenuazione del regime probatorio ordinario, prevedendo a carico del soggetto convenuto, in linea con quanto disposto dall’art. 19 della Direttiva CE n. 2006/54 (come interpretato da Corte di Giustizia Ue 21 luglio 2011, C-104/10), l’onere di fornire la prova dell’inesistenza della discriminazione, ma ciò solo dopo che il ricorrente abbia fornito al giudice elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, relativi ai comportamenti discriminatori lamentati, purché idonei a fondare, in termini precisi (ossia determinati nella loro realtà storica) e concordanti (ossia fondati su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto), anche se non gravi, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso. (Nel caso di specie, ove una dipendente di un istituto di credito aveva lamentato di essere stata discriminata nella progressione di carriera, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata che aveva accolto la domanda, ed ha ritenuto non soddisfatto l’onere probatorio, pur attenuato, gravante sulla ricorrente, reputando insufficiente a far presumere la discriminazione indiretta la produzione di due interpellanze parlamentari e di un parere interlocutorio del collegio istruttorio del Comitato nazionale di parità e pari opportunità, in quanto fonti prive dell’attendibilità scientifica richiesta dalla norma con il riferimento a dati statistici e – rispettivamente – dell’indicazione dei criteri di rilevazione dei dati posti a base della valutazione espressa).”[25]
- Area etnica e razziale: anche in questo caso, numerose sono le norme che pongono limiti all’attività di selezione del personale con riferimento all’etnia, razza, origine nazionale e gruppo linguistico. Le principali sono, in ordine cronologico: il più volte citato art. 15 della Legge 300/1970, che sancisce la nullità di qualsiasi atto che abbia, tra le altre finalità, quella di discriminazione razziale; l’art. 43 del D.lgs. 286/1998, che indica come discriminatorio ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica. Il legislatore ha ritenuto di precisare che la norma, riferita in via generale ai cittadini extracomunitari, si applica anche agli atti xenofobi, razzisti o genericamente ritenuti discriminatori compiuti nei confronti dei cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell’Unione Europea presenti in Italia; per quel che concerne la tutela della privacy, varie sono le norme contenute nel D.Lgs. 196/2003, come l’art. 13, in base al quale l’obbligo di informativa sul tipo e finalità del trattamenti dei dati personali (informativa invece non dovuta in caso di ricezione di curricula spontaneamente trasmessi dagli interessati ai fini dell’eventuale instaurazione di un rapporto di lavoro) scatta al momento “del primo contatto successivo all’invio del curriculum”; gli artt. 20-26, che pongono severe condizioni per la raccolta ed il trattamento dei dati sensibili (cioè quelli che l’art. 4 dello stesso D.Lgs. 196/2003 indica come i “dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica…omissis”) ed in particolare l’art. 20, che consente il trattamento dei dati sensibili raccolti lecitamente da parte di soggetti pubblici solo se autorizzato da espressa disposizione di legge; l’art. 22, che vieta la raccolta ed il trattamento di dati sensibili nell’ambito di test psico-attitudinali volti a definire il profilo o la personalità dell’interessato; l’art. 23, che stabilisce come i soggetti privati e gli enti pubblici economici debbono ottenere, per la raccolta, lo specifico consenso scritto del candidato e, per il relativo trattamento, anche l’autorizzazione del Garante (art. 26), previa notifica allo stesso se i dati sensibili sono registrati in banche dati a fini di selezione del personale per conto terzi (art. 37); l’art. 10 del D.Lgs 276/2003 che vieta alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonchè ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività
- Area della salute: nell’ambito delle attività di selezione (attività definite anche “preassuntive”, una certa importanza rivestono gli accertamenti sanitari riservati, in genere, alla ristretta rosa dei candidati finali, oppure soltanto al candidato che, al termine dell’iter di selezione, risulta quello più idoneo all’assunzione. La finalità di questi accertamenti è duplice: verificare che le condizioni generali di salute siano buone; verificare che non sussistano limitazioni di ordine psicofisico allo svolgimento delle mansioni per le quali il lavoratore è stato selezionato. Le norme di legge di riferimento sono essenzialmente le seguenti:
- l’art. 5 dello Statuto dei lavoratori, che prevede la facoltà (e quindi il diritto) del datore di lavoro di controllare” la idoneità fisica” del lavoratore, ma soltanto da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico. Non possiamo non rilevare subito che la norma si riferisce esplicitamente alla sola idoneità fisica, escludendo pertanto l’idoneità di tipo psicologico. Ciò determina qualche dubbio circa la legittimità, in fase di selezione, della sottoposizione del candidato a test psicoattitudinali[26];
- l’art. 1, comma 4, della Legge 68/1999, prevede che l’accertamento delle condizioni di disabilità che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili, è effettuato dalle commissioni delle ASL territorialmente competenti previste dall’art. 4 della legge 104/1992, n. 104, secondo le modalità indicate nel D.P.C.M. 13/01/2000. L’interpretazione letterale di tale norma porta a ritenere illegittime le visite mediche preassuntive di tipo generale. Per contro, poiché l’art. 10 della stessa legge 68/1999 prevede che il datore di lavoro non possa richiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni, riteniamo invece lecita, anzi, addirittura obbligatoria, la visita medica preventiva intesa “a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica” prevista dall’art. 41, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 81/2008 ed effettuata dal medico competente: “È illegittimo il rifiuto del lavoratore di sottoporsi a visita preassuntiva eseguita, conformemente alla previsione degli artt. 16 e 17 d.lg. n. 626 del 1994 (sostituito ora dal D.Lgs. 81/2008, N.d.A.), da parte di un medico di fiducia del datore di lavoro e finalizzata a verificare l’idoneità fisica e l’assenza di controindicazioni alla mansione specifica cui il lavoratore è destinato”[27]. Va segnalato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale tale tipo di visita medica preventiva deve essere specifica: “In tema di lavoratori disabili, il diritto del dipendente a che sia accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute, e la correlata previa sottoposizione a visita sanitaria, non sono limitati al caso di mansioni soggette a sorveglianza sanitaria ex art. 41 del d.lgs. n. 81 del 2008, ostandovi il principio di tutela della sicurezza e salute dei lavoratori, in uno al divieto di discriminazione sul lavoro delle persone affette da disabilità.”[28]
- l’art. 6 della legge 135/1990, che vieta ai datori di lavoro, pubblici e privati, “lo svolgimento di indagini (comprese ovviamente quelle di tipo sanitario) volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l’instaurazione di un rapporto di lavoro l’esistenza di uno stato di sieropositività”. Questo divieto non è però assoluto, in quanto la Corte Costituzionale ha stabilito che gli accertamenti per l’assenza di sieropositività sono leciti se il candidato, ove assunto, sarà addetto a mansioni che presentano rischi per la salute di terzi (ivi compresi, ovviamente, i colleghi di lavoro): “È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 32 cost., l’art. 5, comma 3, l. 5 giugno 1990 n. 135, nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell’assenza di sieropositività dall’infezione da Hiv come condizione per l’espletamento di attività che comportano rischi per la salute dei terzi. Riconosciuta legislativamente l’esistenza di attività e servizi che comportano rischi per la salute dei terzi, derivanti dall’essere gli operatori addetti portatori di una malattia diffusiva quale l’Aids, ne segue la necessità, a tutela del diritto alla salute di accertare preventivamente l’assenza di sieropositività per verificare l’idoneità dall’espletamento dei servizi che comportano questo rischio.”[29]
- l’art. 41 del D.Lgs. 81/2008, che prevede come il datore di lavoro, tramite il medico competente, possa effettuare una “visita medica preventiva in fase preassuntiva” (comma 2, lettera e-bis), visita che può essere svolta anche “in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL” (comma 2-bis). Il legislatore non ha però ritenuto di specificarne limiti e finalità, come invece precisato a proposito della “visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica” (comma 2, lettera a). In entrambi i due tipi di visite, nel rispetto delle procedure previste dall’accordo Stato-Regioni 7 luglio 2017, rientrano anche gli accertamenti preassuntivi e preventivi di assenza di tossicodipendenza e alcoldipendenza (comma 4), ma solo per i candidati destinati, in caso di assunzione a svolgere mansioni che presentano rischi per l’incolumità di terzi, così come indicate nell’allegato A al testo dell’accordo suddetto.
Sotto il profilo gestionale non possiamo che ribadire l’importanza e la liceità degli accertamenti sanitari preassuntivi, purchè effettuati nel rispetto delle norme di legge, sia per verificare che il candidato non presenti condizioni di salute tali da far ritenere probabili l’insorgenza di problematiche sanitarie incompatibili con lo svolgimento delle mansioni oggetto della selezione, sia, in caso di successiva assunzione, ai fini della verifica delle condizioni di salute del lavoratore al momento della cessazione del rapporto.[30]
- Area giudiziaria e del contenzioso: vale anche nel caso delle attività di selezione quanto detto a proposito dei limiti previsti in fase di ricerca di personale. Aggiungiamo soltanto che, circa i candidati per lo svolgimento di attività professionali o volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, il Ministero della Giustizia ha precisato come la richiesta del datore di lavoro “deve essere presentata al candidato prima di stipulare il contratto di lavoro e quindi prima dell’assunzione al lavoro”,[31] mentre in tutti gli altri casi in cui i datori ritengano sussistere validi motivi per la richiesta dei certificati penali, necessiterebbe la preventiva e specifica autorizzazione del Garante privacy[32].
- 4 – Le sanzioni
Qui di seguito indichiamo i principali di tipi di violazioni, con le relative sanzioni:
- per le agenzie per il lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati che, violando il divieto di effettuare in forma anonima comunicazioni, a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione relative ad attività di ricerca e selezione del personale sancito dall’art. 9 del D.Lgs. 276/2003, l’art. 19 dello stesso decreto prevede:
– la sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 a 12.000;
- effettuazione di visite mediche preassuntive non per il tramite di enti pubblici o del medico competente e lo svolgimento di indagini, anche a mezzo di terzi, su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore: in base all’art. 38 dello Statuto dei lavoratori, è sanzionata penalmente, salvo che il fatto non costituisca più grave reato:
- con l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno;
- nei casi ritenuti dal giudice più gravi, le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente e la sentenza penale di condanna sarà pubblicata;
- quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo (euro 7.745).
- l’aver effettuato, sia in fase di ricerca sia in fase di selezione di personale, atti discriminatori nei confronti di qualche candidato (subordinandone l’assunzione all’adesione, alla non adesione o alla rinuncia all’adesione ad una associazione sindacale, o discriminandolo per motivi politici, religiosi, razziali, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basati sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali vedrà applicate, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, le seguenti sanzioni penali:
- con l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno;
- nei casi ritenuti dal giudice più gravi, le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente e la sentenza penale di condanna sarà pubblicata;
- quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo (euro 7.745).
Per le agenzie per il lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati che, durante la loro attività di ricerca, preselezione e selezione di personale, abbiano posto in essere atti discriminatori, in base all’art. 18 del D.Lgs. 276/2003, alle sanzioni sopra elencate si aggiungono, nei casi più gravi[33]:
- la sospensione della autorizzazione
- la revoca dell’autorizzazione (in caso di recidiva).
Inoltre, in base all’art. 44 della legge 286/1998, il datore di lavoro che ha discriminato i candidati in base a motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, potrà vedersi condannato dal giudice:
- a cessare il comportamento pregiudizievole;
- a rimuovere gli effetti della discriminazione;
- a vedersi revocare eventuali benefici economici pubblici;
- a vedersi escludere per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto.
Infine, l’aver posto in essere atti discriminatori per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, ex art. 41 D.Lgs. 198/2006 determinerà le seguenti ulteriori sanzioni:
- la revoca di eventuali benefici economici e finanziari pubblici;
- l’esclusione fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto (nei casi più gravi o nel caso di recidiva);
- l’ammenda da 250 euro a 1500 euro.
- l’aver effettuato accertamenti sanitari per l’esistenza di uno stato di sieropositività su lavoratori destinati a svolgere mansioni che non presentano rischi per la salute di terzi determinerà, in base all’art. 6 della Legge 135/1990, l’applicazione delle seguenti sanzioni penali:
- l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno;
- nei casi ritenuti dal giudice più gravi, le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente e la sentenza penale di condanna sarà pubblicata;
- quando, per le condizioni economiche del reo, l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo (euro 7.745).
- l’aver trattato illecitamente dati personali (come ad esempio quelli sensibili e giudiziari), traendone per sé o per altri profitto o recando ad altri un danno, ai sensi dell’art. 167 del D.Lgs. 196/2003 comporterà:
- la reclusione da uno a tre anni.
- non aver richiesto il certificato penale del casellario giudiziale al soggetto che si intende impiegare al lavoro per lo svolgimento di attività professionali o volontarie che comportino contatti diretti e regolari con minori, comporterà per il datore di lavoro che lo ha poi assunto, ai sensi dell’art. 25-bis del DPR 212/2002:
- la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 10.000,00 a euro 15.000,00.
Considerazioni conclusive
Come affermavamo in premessa, l’idea che l’attività di ricerca e selezione di personale non sia disciplinata dalla legge è errata. Come abbiamo evidenziato, molte sono invece le norme che impongono ai soggetti che effettuano simili attività, sia direttamente, sia indirettamente, come le agenzie per il lavoro e le società ed enti pubblici e privati che le effettuano per conto di terzi, una serie di comportamenti tesi a garantire al candidato due diritti fondamentali: quello di non essere discriminato ingiustamente e quello di veder tutelata la propria privacy.
È bene pertanto che chi opera in questo campo prenda conoscenza delle norme e si adegui alle loro prescrizioni.
Normativa di riferimento
- Regio Decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza)
- 138: “1. Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti: 1° essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea; 2° avere raggiunto la maggiore età ed avere adempiuto agli obblighi di leva; 3° sapere leggere e scrivere; 4° non avere riportato condanna per delitto; 5° essere persona di ottima condotta politica e morale; 6° essere munito della carta di identità; 7° essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro. 2. Il Ministro dell’interno con proprio decreto, da adottarsi con le modalita’ individuate nel regolamento per l’esecuzione del presente testo unico, sentite le regioni, provvede all’individuazione dei requisiti minimi professionali e di formazione delle guardie particolari giurate. Costituisce requisito minimo, di cui al primo periodo, l’avere prestato servizio per almeno un anno, senza demerito, quale volontario di truppa delle Forze armate. 3. La nomina delle guardie particolari giurate deve essere approvata dal prefetto. Con l’approvazione, che ha validità biennale, il prefetto rilascia altresì, se ne sussistono i presupposti, la licenza per il porto d’armi, a tassa ridotta, con validità di pari durata. 4. Ai fini dell’approvazione della nomina a guardia particolare giurata di cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea il prefetto tiene conto dei controlli e delle verifiche effettuati nello Stato membro d’origine per lo svolgimento della medesima attivita’. Si applicano le disposizioni di cui all’ articolo 134-bis , comma 3. 5. Le guardie particolari giurate, cittadini di Stati membri dell’Unione europea, possono conseguire la licenza di porto d’armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di cui al decreto del Ministro dell’interno 30 ottobre 1996, n. 635. Si osservano, altresì, le disposizioni degli articoli 71 e 256 del regolamento di esecuzione del presente testo unico. 6. Salvo quanto diversamente previsto, le guardie particolari giurate nell’esercizio delle funzioni di custodia e vigilanza dei beni mobili ed immobili cui sono destinate rivestono la qualita’ di incaricati di un pubblico servizio.
Legge 20 maggio 1970 n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento – STATUTO DEI LAVORATORI)
- 5 – Accertamenti sanitari: “1. Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. 2. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. 3. Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico”
- 8 – Divieto di indagini sulle opinioni: “1. È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.”
- 15 – Atti discriminatori: “1. È nullo qualsiasi patto od atto diretto a: a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte; b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero. 2. Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.”;
- 38 – Disposizioni penali: “1. Le violazioni degli articoli 2, 5, 6, e 15, primo comma lettera a), sono punite, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con l’ammenda da lire 300.000 a lire 3.000.000 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno. 2. Nei casi più gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente. 3. Quando per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.4. Nei casi previsti dal secondo comma, l’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall’articolo 36 del codice penale.”
- Legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS)
- 6 – Divieti per i datori di lavoro: “1. È vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l’instaurazione di un rapporto di lavoro l’esistenza di uno stato di sieropositività. 2. Si applica alle violazioni delle disposizioni contenute nel comma 1 il sistema sanzionatorio previsto dall’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300.”
- Legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate).
- 4 – Accertamento dell’handicap: “1. Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità dell’intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all’articolo 3, sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all’articolo 1 della legge 15 ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in servizio presso le unità sanitarie locali. 1-bis). Nel caso in cui gli accertamenti di cui al comma 1 riguardino persone in età evolutiva, le commissioni mediche di cui alla legge 15 ottobre 1990, n. 295, sono composte da un medico legale, che assume le funzioni di presidente, e da due medici specialisti, scelti fra quelli in pediatria, in neuropsichiatria infantile o nella specializzazione inerente la condizione di salute del soggetto. Tali commissioni sono integrate da un assistente specialistico o dall’operatore sociale di cui al comma 1, individuati dall’ente locale, nonchè dal medico INPS come previsto dall’articolo 19, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, commi 3 e 4, della citata legge n. 295 del 1990.”
- Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero)
- 43 – Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi: “1. Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. 2. In ogni caso compie un atto di discriminazione: (omissis) e) il datore di lavoro o i suoi preposti i quali, ai sensi dell’articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificata e integrata dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, e dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, compiano qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza. Costituisce discriminazione indiretta ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa.”
- 44 – Azione civile contro la discriminazione: “1. Quando il comportamento di un privato o della pubblica amministrazione produce una discriminazione per motivi razziali, etnici, linguistici, nazionali, di provenienza geografica o religiosi, è possibile ricorrere all’autorità giudiziaria ordinaria per domandare la cessazione del comportamento pregiudizievole e la rimozione degli effetti della discriminazione. 2. Alle controversie previste dal presente articolo si applica l’articolo 28 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150. (commi 3,4,5,6,7 abrogati dall’articolo 34, comma 32, lettera e), del D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150). 8. Chiunque elude l’esecuzione di provvedimenti, diversi dalla condanna al risarcimento del danno, resi dal giudice nelle controversie previste dal presente articolo è punito ai sensi dell’articolo 388, primo comma, del codice penale (comma 9 abrogato dall’articolo 34, comma 32, lettera e), del D.Lgs. 1° settembre 2011 n. 150). 10. Qualora il datore di lavoro ponga in essere un atto o un comportamento discriminatorio di carattere collettivo, anche in casi in cui non siano individuabili in modo immediato e diretto i lavoratori lesi dalle discriminazioni, il ricorso può essere presentato dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale. [Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del presente articolo, ordina al datore di lavoro di definire, sentiti i predetti soggetti e organismi, un piano di rimozione delle discriminazioni accertate.]. 11. Ogni accertamento di atti o comportamenti discriminatori ai sensi dell’articolo 43 posti in essere da imprese alle quali siano stati accordati benefìci ai sensi delle leggi vigenti dello Stato o delle regioni, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, di servizi o di forniture, è immediatamente comunicato dal tribunale in composizione monocratica, secondo le modalità previste dal regolamento di attuazione, alle amministrazioni pubbliche o enti pubblici che abbiano disposto la concessione del beneficio, incluse le agevolazioni finanziarie o creditizie, o dell’appalto. Tali amministrazioni, o enti revocano il beneficio e, nei casi più gravi, dispongono l’esclusione del responsabile per due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie, ovvero da qualsiasi appalto. 12. Le regioni, in collaborazione con le province e con i comuni, con le associazioni di immigrati e del volontariato sociale, ai fini dell’applicazione delle norme del presente articolo e dello studio del fenomeno, predispongono centri di osservazione, di informazione e di assistenza legale per gli stranieri, vittime delle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
- Legge 12 marzo 1999, n. 68 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili)
- 1 – Collocamento dei disabili: (omissis) ”4. L’accertamento delle condizioni di disabilità di cui al presente articolo, che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili, è effettuato dalle commissioni di cui all’articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, secondo i criteri indicati nell’atto di indirizzo e coordinamento emanato dal Presidente del Consiglio dei ministri entro centoventi giorni dalla data di cui all’articolo 23, comma 1. Con il medesimo atto vengono stabiliti i criteri e le modalità per l’effettuazione delle visite sanitarie di controllo della permanenza dello stato invalidante.” (omissis).
- 10 – Rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti: (omissis) “2. Il datore di lavoro non può chiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni.” (omissis)
- Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 13 gennaio 2000 (Atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento obbligatorio dei disabili, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68)
- 1 – Commissione di accertamento: “1. L’accertamento delle condizioni di disabilità, che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili e l’effettuazione delle visite sanitarie di controllo della permanenza dello stato invalidante, di cui all’art. 1, comma 4, della legge 12 marzo 1999, n. 68, sono svolti dalle commissioni di cui all’art. 4, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, secondo i criteri e le modalità di cui all’art. 5 del presente decreto. 2. Fermo restando quanto previsto dall’art. 1, commi 3, 5 e 6 della legge 12 marzo 1999, n. 68, l’accertamento delle condizioni di disabilità che danno diritto di accedere al sistema per l’inserimento lavorativo dei disabili, nei confronti dei soggetti di cui all’art. 1, comma 1, lettere a) e c), della medesima legge n. 68/1999, è effettuato, eventualmente anche in più fasi temporali sequenziali, contestualmente all’accertamento delle minorazioni civili.”
- 5 – Diagnosi funzionale della persona disabile: “1. La diagnosi funzionale è la descrizione analitica della compromissione funzionale dello stato psicofisico e sensoriale della persona disabile. 2. La diagnosi funzionale si basa sui dati anamnestico-clinici, sugli elementi di cui al precedente art. 4, nonchè sulla valutazione della documentazione medica preesistente. 3. L’accertamento è eseguito secondo le indicazioni contenute nella scheda per la definizione delle capacità di cui all’allegato 1, utilizzando le definizioni medico-scientifiche, contenute nell’allegato 2. 4. L’accertamento delle condizioni di disabilità comporta la definizione collegiale della capacità globale attuale e potenziale della persona disabile e l’indicazione delle conseguenze derivanti dalle minorazioni, in relazione all’apprendimento, alla vita di relazione e all’integrazione lavorativa.”
- 8 – Visite sanitarie di controllo della permanenza dello stato invalidante: “1. La commissione di accertamento, su indicazione del Comitato tecnico, contenente anche la comunicazione della data di avvio dell’inserimento lavorativo della persona disabile, effettua visite sanitarie di controllo per la rispondenza agli obiettivi del collocamento mirato, aventi per finalità la verifica della permanenza dello stato invalidante e della misura delle capacità già accertate nonchè la validità dei servizi di sostegno e di collocamento mirato, indicati nella relazione conclusiva del primo accertamento. 2. La visita sanitaria di controllo è effettuata secondo i criteri e con le modalità indicati negli articoli 4 e 5 e si conclude con la formulazione da parte della commissione di accertamento di una nuova relazione conclusiva certificata. Detta relazione, sulle base delle risultanze della visita di controllo, modifica, ove necessario, le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 6 ed indica la nuova tipologia di collocamento mirato, la forma di sostegno necessarie e le eventuali ulteriori tipologie di inserimento lavorativo. 3. La frequenza delle visite sanitarie di controllo per ciascun soggetto disabile è stabilita dalla commissione di accertamento sulla base delle risultanze degli elementi di cui all’art. 4, della diagnosi funzionale, nonchè in relazione alle modalità del percorso di inserimento lavorativo, indipendentemente dalla forma giuridica che lo stesso assume. 4. La chiamata a visita di controllo è effettuata con immediatezza qualora vi sia la specifica richiesta da parte della persona disabile, ovvero qualora il legale rappresentante dell’azienda o dell’ente presso i quali la persona sia stata inserita rappresentino al Comitato tecnico, e per conoscenza alla commissione, l’insorgere di difficoltà che pongano in pregiudizio la prosecuzione dell’integrazione lavorativa.”
- Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53 – T.U. SOSTEGNO MATERNITÀ E PATERNITÀ)
- 3 – Divieto di discriminazione: “1. È vietata qualsiasi discriminazione per ragioni connesse al sesso, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, con particolare riguardo ad ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti.”
- 7 – Lavori vietati: “1. È vietato adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento di pesi, nonché ai lavori pericolosi, faticosi ed insalubri. I lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono indicati dall’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 1976, n. 1026, riportato nell’allegato A del presente testo unico. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della sanità e per la solidarietà sociale, sentite le parti sociali, provvede ad aggiornare l’elenco di cui all’allegato A. 2. Tra i lavori pericolosi, faticosi ed insalubri sono inclusi quelli che comportano il rischio di esposizione agli agenti ed alle condizioni di lavoro, indicati nell’elenco di cui all’allegato B. 3. La lavoratrice è addetta ad altre mansioni per il periodo per il quale è previsto il divieto. 4. La lavoratrice è, altresì, spostata ad altre mansioni nei casi in cui i servizi ispettivi del Ministero del lavoro, d’ufficio o su istanza della lavoratrice, accertino che le condizioni di lavoro o ambientali sono pregiudizievoli alla salute della donna. 5. La lavoratrice adibita a mansioni inferiori a quelle abituali conserva la retribuzione corrispondente alle mansioni precedentemente svolte, nonché la qualifica originale. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 13 della legge 20 maggio 1970, n. 300, qualora la lavoratrice sia adibita a mansioni equivalenti o superiori. 6. Quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, il servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio, può disporre l’interdizione dal lavoro per tutto il periodo di cui al presente Capo, in attuazione di quanto previsto all’articolo 17. 7. L’inosservanza delle disposizioni contenute nei commi 1, 2, 3 e 4 è punita con l’arresto fino a sei mesi.”
- Decreto del Presidente Della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti. – T.U. CASELLARIO GIUDIZIARIO)
- 25-bis – Certificato penale del casellario giudiziale richiesto dal datore di lavoro: “1. Il certificato penale del casellario giudiziale di cui all’articolo 25 deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale, ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori. 2. Il datore di lavoro che non adempie all’obbligo di cui all’articolo 25-bis del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre, n. 313, e’ soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da euro 10.000,00 a euro 15.000,00.”
- Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali – CODICE DELLA PRIVACY)
- 4. Definizioni: “1. Ai fini del presente codice si intende per: a) “trattamento”, qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati; b) “dato personale”, qualunque informazione relativa a persona fisica, identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale; c) “dati identificativi”, i dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato; d) “dati sensibili”, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale; e) “dati giudiziari”, i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale; (omissis)”;
- 15 – Danni cagionati per effetto del trattamento: “1. Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 del codice civile.2. Il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell’articolo 11.”
- 23. Consenso: “1. Il trattamento di dati personali da parte di privati o di enti pubblici economici è ammesso solo con il consenso espresso dell’interessato. 2. Il consenso può riguardare l’intero trattamento ovvero una o più operazioni dello stesso. 3. Il consenso è validamente prestato solo se è espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto, e se sono state rese all’interessato le informazioni di cui all’articolo 13. 4. Il consenso è manifestato in forma scritta quando il trattamento riguarda dati sensibili.”
- 26 – Garanzie per i dati sensibili: “1. I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento solo con il consenso scritto dell’interessato e previa autorizzazione del Garante, nell’osservanza dei presupposti e dei limiti stabiliti dal presente codice, nonché dalla legge e dai regolamenti. 2. Il Garante comunica la decisione adottata sulla richiesta di autorizzazione entro quarantacinque giorni, decorsi i quali la mancata pronuncia equivale a rigetto. Con il provvedimento di autorizzazione, ovvero successivamente, anche sulla base di eventuali verifiche, il Garante può prescrivere misure e accorgimenti a garanzia dell’interessato, che il titolare del trattamento è tenuto ad adottare. 3. Il comma 1 non si applica al trattamento: a) dei dati relativi agli aderenti alle confessioni religiose e ai soggetti che con riferimento a finalità di natura esclusivamente religiosa hanno contatti regolari con le medesime confessioni, effettuato dai relativi organi, ovvero da enti civilmente riconosciuti, sempre che i dati non siano diffusi o comunicati fuori delle medesime confessioni. Queste ultime determinano idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, nel rispetto dei principi indicati al riguardo con autorizzazione del Garante; b) dei dati riguardanti l’adesione di associazioni od organizzazioni a carattere sindacale o di categoria ad altre associazioni, organizzazioni o confederazioni a carattere sindacale o di categoria. b-bis) dei dati contenuti nei curricula, nei casi di cui all’articolo 13, comma 5-bis (1). 4. I dati sensibili possono essere oggetto di trattamento anche senza consenso, previa autorizzazione del Garante: a) quando il trattamento è effettuato da associazioni, enti od organismi senza scopo di lucro, anche non riconosciuti, a carattere politico, filosofico, religioso o sindacale, ivi compresi partiti e movimenti politici, per il perseguimento di scopi determinati e legittimi individuati dall’atto costitutivo, dallo statuto o dal contratto collettivo, relativamente ai dati personali degli aderenti o dei soggetti che in relazione a tali finalità hanno contatti regolari con l’associazione, ente od organismo, sempre che i dati non siano comunicati all’esterno o diffusi e l’ente, associazione od organismo determini idonee garanzie relativamente ai trattamenti effettuati, prevedendo espressamente le modalità di utilizzo dei dati con determinazione resa nota agli interessati all’atto dell’informativa ai sensi dell’articolo 13; b) quando il trattamento è necessario per la salvaguardia della vita o dell’incolumità fisica di un terzo. Se la medesima finalità riguarda l’interessato e quest’ultimo non può prestare il proprio consenso per impossibilità fisica, per incapacità di agire o per incapacità di intendere o di volere, il consenso è manifestato da chi esercita legalmente la potestà, ovvero da un prossimo congiunto, da un familiare, da un convivente o, in loro assenza, dal responsabile della struttura presso cui dimora l’interessato. Si applica la disposizione di cui all’articolo 82, comma 2; c) quando il trattamento è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento. Se i dati sono idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale, il diritto deve essere di rango pari a quello dell’interessato, ovvero consistente in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile; d) quando è necessario per adempiere a specifici obblighi o compiti previsti dalla legge, da un regolamento o dalla normativa comunitaria per la gestione del rapporto di lavoro, anche in materia di igiene e sicurezza del lavoro e della popolazione e di previdenza e assistenza, nei limiti previsti dall’autorizzazione e ferme restando le disposizioni del codice di deontologia e di buona condotta di cui all’articolo 111. 5. I dati idonei a rivelare lo stato di salute non possono essere diffusi.”
- 27. Garanzie per i dati giudiziari: “1. Il trattamento di dati giudiziari da parte di privati o di enti pubblici economici è consentito soltanto se autorizzato da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante che specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico del trattamento, i tipi di dati trattati e di operazioni eseguibili. Si applica quanto previsto dall’articolo 21, comma 1-bis (“1-bis. Il trattamento dei dati giudiziari è altresì consentito quando è effettuato in attuazione di protocolli d’intesa per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalità organizzata stipulati con il Ministero dell’interno o con i suoi uffici periferici di cui all’ articolo 15, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, che specificano la tipologia dei dati trattati e delle operazioni eseguibili”
- 113. Raccolta di dati e pertinenza: “1. Resta fermo quanto disposto dall’articolo 8 della legge 20 maggio 1970, n. 300”.
- 167. Trattamento illecito di dati: 1. (omissis). 2. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trarne per sè o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”;
- Decreto legislativo 10 settembre 2003 n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30
- 9 – Comunicazioni a mezzo stampa internet, televisione o altri mezzi di informazione: “1. Sono vietate comunicazioni, a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione, in qualunque forma effettuate, relative ad attività di ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale, intermediazione o somministrazione effettuate in forma anonima e comunque da soggetti, pubblici o privati, non autorizzati o accreditati all’incontro tra domanda e offerta di lavoro eccezion fatta per quelle comunicazioni che facciano esplicito riferimento ai soggetti in questione, o entità ad essi collegate perchè facenti parte dello stesso gruppo di imprese o in quanto controllati o controllanti, in quanto potenziali datori di lavoro. 2. In tutte le comunicazioni verso terzi, anche a fini pubblicitari, utilizzanti qualsiasi mezzo di comunicazione, ivi compresa la corrispondenza epistolare ed elettronica, e nelle inserzioni o annunci per la ricerca di personale, le agenzie del lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati devono indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento al fine di consentire al lavoratore, e a chiunque ne abbia interesse, la corretta e completa identificazione del soggetto stesso. 3. Se le comunicazioni di cui al comma 2 sono effettuate mediante annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante reti di comunicazione elettronica, e non recano un facsimile di domanda comprensivo dell’informativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 30 giugno, indicano il sito della rete di comunicazioni attraverso il 2003, n. 196 quale il medesimo facsimile è conoscibile in modo agevole.”
- 10 – Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori: “1. È fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonchè ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa. È altresì fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non possono in ogni caso impedire ai soggetti di cui al medesimo comma 1 di fornire specifici servizi o azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori svantaggiati nella ricerca di una occupazione.”;
- 18 – Sanzioni: “omissis) 5. In caso di violazione dell’articolo 10 trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonchè nei casi più gravi, l’autorità competente procede alla sospensione della autorizzazione di cui all’articolo 4. In ipotesi di recidiva viene revocata l’autorizzazione.”
- Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246 – CODICE DELLE PARI OPPORTUNITÀ)
- 25 – Discriminazione diretta e indiretta: “1. Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi disposizione, criterio, prassi, atto, patto o comportamento, nonché l’ordine di porre in essere un atto o un comportamento, che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga. 2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari. 2-bis. Costituisce discriminazione, ai sensi del presente titolo, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonchè di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti.”
- 27 – Divieti di discriminazione nell’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro: “1. È vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, nonchè la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale, anche per quanto riguarda la creazione, la fornitura di attrezzature o l’ampliamento di un’impresa o l’avvio o l’ampliamento di ogni altra forma di attività autonoma. 2. La discriminazione di cui al comma 1 è vietata anche se attuata: a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, nonchè di maternità o paternità, anche adottive; b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l’appartenenza all’uno o all’altro sesso. 3. Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento, aggiornamento e riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento, per quanto concerne sia l’accesso sia i contenuti, nonché all’affiliazione e all’attività in un’organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni. 4. Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva. (omissis)”
- 28 – Divieto di discriminazione retributiva: “1. È vietata qualsiasi discriminazione, diretta e indiretta, concernente un qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni, per quanto riguarda uno stesso lavoro o un lavoro al quale è attribuito un valore uguale. 2. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne ed essere elaborati in modo da eliminare le discriminazioni”.
- 29 – Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella progressione di carriera: ”1. È vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l’attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera”.
- 40 – Onere della prova: “1. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all’assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l’onere della prova sull’insussistenza della discriminazione.”
- 41 – Adempimenti amministrativi e sanzioni: “1. Ogni accertamento di discriminazioni in violazione dei divieti di cui al capo II del presente titolo, o di qualunque discriminazione nell’accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la progressione professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche complementari, collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, poste in essere da soggetti ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture, viene comunicato immediatamente dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o dell’appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva, possono decidere l’esclusione del responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto. Tale disposizione si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione accertata per l’adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni del presente comma non si applicano nel caso sia raggiunta una conciliazione ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1. 2. L’inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1, 2 e 3, 28, 29, 30, commi 1, 2, 3 e 4, è punita con l’ammenda da 250 euro a 1500 euro.”
- Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 (Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro – TESTO UNICO SICUREZZA SUL LAVORO)
- 41 – Sorveglianza sanitaria: “1. La sorveglianza sanitaria è effettuata dal medico competente: a) nei casi previsti dalla normativa vigente, [dalle direttive europee nonchè] dalle indicazioni fornite dalla Commissione consultiva di cui all’articolo 6; b) qualora il lavoratore ne faccia richiesta e la stessa sia ritenuta dal medico competente correlata ai rischi lavorativi. 2. La sorveglianza sanitaria comprende: a) visita medica preventiva intesa a constatare l’assenza di controindicazioni al lavoro cui il lavoratore è destinato al fine di valutare la sua idoneità alla mansione specifica; b) (omissis); c) (omissis); d) (omissis); e-bis) visita medica preventiva in fase preassuntiva; e-ter) (omissis); 2-bis. Le visite mediche preventive possono essere svolte in fase preassuntiva, su scelta del datore di lavoro, dal medico competente o dai dipartimenti di prevenzione delle ASL. La scelta dei dipartimenti di prevenzione non è incompatibile con le disposizioni dell’articolo 39, comma 3. 3. Le visite mediche di cui al comma 2 non possono essere effettuate: a) (omissis); b) per accertare stati di gravidanza; c) negli altri casi vietati dalla normativa vigente. 4. Le visite mediche di cui al comma 2, a cura e spese del datore di lavoro, comprendono gli esami clinici e biologici e indagini diagnostiche mirati al rischio ritenuti necessari dal medico competente. Nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento, le visite di cui al comma 2, lettere a), b), d), e-bis) e e-ter) sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti. 4-bis. Entro il 31 dicembre 2009, con accordo in Conferenza Stato-regioni, adottato previa consultazione delle parti sociali, vengono rivisitate le condizioni e le modalità per l’accertamento della tossicodipendenza e della alcol dipendenza. 5. Gli esiti della visita medica devono essere allegati alla cartella sanitaria e di rischio di cui all’articolo 25, comma 1, lettera c), secondo i requisiti minimi contenuti nell’Allegato 3A e predisposta su formato cartaceo o informatizzato, secondo quanto previsto dall’articolo 53. 6. Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite mediche di cui al comma 2, esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica: a) idoneità; b) idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni; c) inidoneità temporanea; d) inidoneità permanente. 6-bis. Nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 6 il medico competente esprime il proprio giudizio per iscritto dando copia del giudizio medesimo al lavoratore e al datore di lavoro. 7. Nel caso di espressione del giudizio di inidoneità temporanea vanno precisati i limiti temporali di validità. 8. (omissis). 9. Avverso i giudizi del medico competente, ivi compresi quelli formulati in fase preassuntiva, è ammesso ricorso, entro trenta giorni dalla data di comunicazione del giudizio medesimo, all’organo di vigilanza territorialmente competente che dispone, dopo eventuali ulteriori accertamenti, la conferma, la modifica o la revoca del giudizio stesso.”
A cura degli Avv.ti Massimo T. Goffredo e Vincenzo Meleca
[1] A proposito dell’applicabilità dell’art. 5 dello Statuto dei lavoratori ai candidati partecipanti ad una selezione, che, a rigor di logica non potrebbero essere definiti “lavoratori” (soprattutto nel casi di persone in cerca di prima occupazione), dottrina e giurisprudenza consolidati hanno condiviso la posizione a suo tempo assunta dalla Cassazione penale secondo la quale “Non è esatto che l’espressione “lavoratori” sia sinonimo di “lavoratori dipendenti” e che postuli cioè un rapporto di lavoro già costituito. È vero esattamente il contrario. Con tale termine, infatti, si fa riferimento anche a quanti all’occupazione aspirino. Come si desume intanto dalla stessa titolazione della legge n. 300-1970, “Statuto dei lavoratori”, che dedica un intero titolo, il titolo V, al “collocamento”, in cui il termine “lavoratori ” ricorre più volte con riguardo a quanti devono essere avviati al lavoro.”. Cfr. Cassazione penale sez. III, 10 novembre 1998, n. 1133, in Riv. it. dir. lav. 2000, II, 67
[2] Cass. 19 dicembre 2013 n. 28448, in Lav. nella giur. 2014, 280, con nota di Giuseppe Marino “Il lavoratore deve provare la condotta persecutoria”.
[3] Con il termine di preselezione (definita anche screening epistolare) si intende generalmente la fase in cui vengono soltanto valutate le candidature arrivate tramite posta ordinaria oppure via mail. In funzione delle caratteristiche richieste dall’azienda e di quelle dichiarate dai candidati si procederà poi alla convocazione di coloro che risultano, almeno sulla carta, in possesso delle caratteristiche ritenute più interessanti. È bene ricordare che tutti i dati raccolti nelle attività di preselezione idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale costituiscono dati sensibili e come tali andranno trattati con particolare attenzione, ai sensi degli artt. 20-26 del D.Lgs. 196/2003.
[4] Corte appello Roma, 9 ottobre 2012, in DL Riv. critica dir. lav. 2012, 3, 661. Vedi anche Tribunale Roma, sez. lav., 15 gennaio 2013, in Guida al diritto 2013, 8, 59, per il quale: “L’affiliazione sindacale rientra nelle «convinzioni personali», in relazione alle quali non sono ammesse né discriminazioni, né ritorsioni.”
[5] Per ascendenza si intende generalmente il complesso degli antenati familiari, a partire dal padre e dalla madre.
[6] Le ricerche di personale, sia su organi di stampa, sia su internet (è sufficiente digitare su un motore di ricerca le parole “ricerca personale bella presenza” per vedere quanto siano numerose), utilizzano spesso formule come “si ricerca personale bella presenza, inglese fluido, disponibile a spostamenti.”
[7] Tali norme non fanno altro che ribadire quanto sancito in precedenza dal D.Lgs. 216/2003, che, agli articoli 2 e 3, anziché il termine “sesso” utilizza i termini “orientamento sessuale”.
[8] Va evidenziato che, in caso di contenzioso, in base all’art. 40 del D.lgs. 198/2006, sarà onere di chi ha effettuato l’attività di ricerca o di selezione dimostrare che non vi è stata discriminazione.
[9] Tribunale Torino, sez. I, 12 giugno 2018
[10] A tal proposito è sufficiente ricercare in internet, digitando le parole “annunci ricerca personale disabile” per osservare come molte agenzie di ricerca di personale ricerchino espressamente persone con disabilità. Si veda, tra le più recenti, la ricerca fatta dalla ASL di La Spezia per 4 posti di assistente amministrativo riservati a personale disabile e pubblicata su https://www.workisjob.com/back-end/foto/2803-asl-la-spezia-concorso-per-categorie-protette.jpg
[11] Citiamo a mo’ d’esempio il bando di concorso pubblico dell’Azienda Unità Sanitaria Locale di Piacenza n.42 del 28.02.2018 per l’assunzione di un Dirigente farmacista, consultabile su: http://bur.regione.emilia-romagna.it/dettaglio-inserzione?i=fadda54f2d5d4ecf889706a2c76be8e5
[12] Il certificato penale richiesto dal datore di lavoro ai sensi dell’articolo 25 bis del DPR 313/2002, contiene le seguenti iscrizioni: 1) condanne per i reati previsti agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quater.1, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale; 2) sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori, ovvero l’interdizione perpetua da qualunque incarico nelle scuole di ogni ordine e grado, nonchè da ogni ufficio o servizio in istituzioni o strutture pubbliche o private frequentate prevalentemente da minori e la misura sicurezza del divieto di svolgere lavori che prevedano un contatto abituale con minori. Dall’entrata in vigore del Dlgs n° 74 del 12 maggio 2016 – in attuazione della decisione quadro GAI/315/2009 – G.U. 25 maggio 2016, il certificato del casellario giudiziale deve essere sempre accompagnato dal Certificato del casellario giudiziale europeo che contiene i provvedimenti definitivi di condanna in materia penale emessi dalle autorità giudiziarie degli altri Paesi membri dell’Unione Europea nei confronti di un cittadino italiano, richiedibile presso ciascun ufficio locale del casellario. Il certificato ha una validità di 6 mesi dalla data di rilascio. I criteri per l’accesso agli impieghi civili delle pubbliche amministrazioni sono disciplinati dal D.P.R. 9/5/1984 n. 487. Tale normativa, all’art. 2 (requisiti generali) vieta l’accesso al pubblico impiego “a coloro che sono esclusi all’ elettorato politico attivo, nonché coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione per insufficiente rendimento, ovvero siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’art. 127 primo comma, lettera d) del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10/1/19557 n. 3”.
[13] Cassazione civile, sez. lav., 17 luglio 2018, n. 19012, in Diritto & Giustizia, 2018
[14] Pretura Milano, 17 giugno 1980, in Riv. giur. lav. 1982, IV,148. Rileviamo che alcuni datori di lavoro ritengono di non condividere tale orientamento giurisprudenziale. Citiamo, solo a mo’ d’esempio, quanto affermato nel documento “Procedura di selezione, assunzione e gestione del personale” del 28 maggio 2015, in cui una nota azienda che gestisce i servizi di igiene ambientale per alcune decine di comuni lombardi precisa, al punto5.6 che “Ai fini dell’affidabilità etica del candidato deve essere richiesto il certificato penale e il certificato relativo ai carichi penali pendenti”.
[15] La qualifica di guardia giurata particolare viene riconosciuta dal Prefetto a coloro che intendono esercitare un’attività di vigilanza e custodia su beni mobili o immobili (guardie particolari alle dipendenze di istituti di vigilanza autorizzati o di privati). Per tale riconoscimento, l’aspirante deve possedere i requisiti di cui all’articolo 138 del T.U.L.P.S. In particolare, il citato articolo, rispettivamente ai punti 4 e 5, prevede come requisiti il non aver riportato condanna per delitto e l’essere persona di buona condotta morale.
[16]CCNL 31 marzo 2015 Per i quadri direttivi e per il personale delle aree professionali dipendenti dalle imprese creditizie, finanziarie e strumentali, Art. 38 – Obblighi delle Parti, comma 9: “Per l’assunzione l’impresa può chiedere all’interessato il certificato generale del casellario giudiziale di data non anteriore a 3 mesi ed il certificato dei carichi pendenti.”
[17] Un’interpretazione letterale della norma porta ad escludere dal divieto l’eventuale contenzioso del candidato con precedenti committenti, nel caso di rapporti di lavoro autonomo.
[18]Cfr. Provvedimento n. 267 del 15 giugno 2017 [doc. web n. 6558837] consultabile su: http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/6558837
[19] Rammentiamo che nel caso di somministrazione di test psicoattitudinali e di utilizzazione di role playing, è necessario che la loro gestione sia effettuata da uno psicologo regolarmente iscritto all’albo e abilitato. In caso contrario si configura il reato di esercizio abusivo della professione medica: “È ravvisabile il reato di esercizio abusivo della professione di psicologo nella condotta di chi cooperi nella selezione dei dipendenti di un ente ai fini della loro destinazione a particolati incarichi, mediante la stesura di profili psicologici individuali, previa osservazione dei candidati sotto i profili del controllo dell’ansia e dell’aggressività, nonché delle caratteristiche di socievolezza e di leadership. Nell’ambito del procedimento penale per il reato di esercizio abusivo della professione (art 348 c.p.), possono costituirsi parte civile anche gli ordini professionali, che, quali organi rappresentativi degli iscritti, assumano di avere subito un danno dal reato, per esserne derivata: in primo luogo, una lesione degli interessi patrimoniali degli iscritti medesimi, esposti alla concorrenza professionale di un soggetto non abilitato, e screditati nel loro status professionale a causa dell’attività di un soggetto non in possesso dei requisiti culturali e di competenza tecnica previsti dalla legge; in secondo luogo, una diretta lesione all’immagine dell’ordine, per avere questo subito una perdita di credibilità quale portatore dègli interessi della categoria rappresentata. (Fattispecie relativa a un procedimento penale per esercizio abusivo della professione di psicologo, relativamente al quale la Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva ammessa la costituzione di parte civile dell’ordine degli psicologi della Regione).” Cfr. Cassazione penale, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 22274, in Guida al diritto 2006, 31, 80
[20] Cfr. “La religione nel lavoro”, di Franco Melilli, su https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/economia/2014/5-luglio-2014/religione-lavoro-223517378002.shtml e “Ramadan, la Cgil chiede pause supplementari per gli operai islamici”, di Gianni Favero, su https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/notizie/cronaca/2014/3-luglio-2014/ramadan-cgil-chiede-pause-supplementari-gli-operai-islamici-223505423525.shtml
[21] Cfr. art. 10 D.Lgs. 276/2003
[22] Prima dell’emanazione del D.Lgs. 81/2008, il divieto di accertamento dello stato di gravidanza in fase di selezione veniva fatto discendere dall’art. 5 della legge 300/1970: “Il divieto di accertamenti sanitari da parte del datore di lavoro, di cui all’art. 5 l. n. 300 del 1970, non opera soltanto nei confronti di coloro il cui rapporto di lavoro si è già costituito, ma anche nei confronti di quanti aspirano all’assunzione (fattispecie nella quale lavoratrici aspiranti all’assunzione erano state sottoposte, a loro insaputa, a test per la rilevazione di eventuale stato di gravidanza).” (Cassazione penale, sez. III, 10 novembre 1998, n. 1133, in Riv. it. dir. lav. 2000, II, 67)
[23] Cassazione civile, sez. lav., 25 settembre 2002, n. 13942, in Orient. giur. lav. 2002, I, 788. Cfr. anche Trib. Bergamo 6 agosto 2014. In Riv. It. Dir. Lav. 2015, 1, II, 106 (con nota di M. Ranieri, “Da Philadelphia a Taormina: dichiarazioni omofobiche e tutela antidiscriminatoria”, 105): “Le dichiarazioni rese da un noto avvocato nel corso di una popolare trasmissione radiofonica con cui si manifesta la volontà di non assumere nel proprio studio professionale persone omosessuali hanno carattere discriminatorio poiché volte a dissuadere determinati soggetti dal presentare le proprie candidature integrando una limitazione delle condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro.” .
[24] Cassazione civile, sez. lav., 5 aprile 2016, n. 6575, in Diritto delle Relazioni Industriali 2016, 3, 855. Cfr anche Tribunale Prato, 21 novembre 2007, in DL Riv. critica dir. lav. 2008, 2, 574, che ritiene discriminatoria per motivi legati al sesso la clausola del CCNL che esclude, ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio ai fini di taluni istituti contrattuali, i periodi di astensione facoltativa per maternità
[25] Cassazione civile, sez. lav., 5 giugno 2013, n. 14206, in Giustizia Civile Massimario 2013
[26] Per molto tempo tale norma fu ritenuta applicabile solo ai lavoratori già in forza e non ai candidati all’assunzione, anche con l’interpretazione favoravole della Corte di Cassazione penale (cfr. sentenze 28. 11. 1974 n. 9172. in Riv. dir. lav. 1975, II, 231), 18.2.1974 n. 288 e 24. 3. 1975 n. 706, in Mass. giur. lav. 1976, 751). finché la sezione lavoro non si dissociò da tale orientamento con decisione 4 maggio 1984 n. 2729 (in Giust. civ. Mass. 1984, fasc.5), per affermare il principio esattamente opposto: “L’art. 5 L. 20 maggio 1970, n. 300, agli effetti del divieto di accertamento sull’idoneità del lavoratore tramite medici di fiducia del datore di lavoro – e del conseguente obbligo di ricorso a sanitari di enti pubblici o istituti specializzati di diritto pubblico – pone sullo stesso piano sia il lavoratore occupato sia l’aspirante ad un posto di lavoro. Anche per quest’ultimo – la cui posizione è anzi più debole rispetto a quella del lavoratore occupato – sussiste invero l’esigenza di garantire la libertà, la dignità e la riservatezza, alla stregua del medesimo criterio che impronta anche le disposizioni della legge in tema di divieto di indagini sulle opinioni (art. 8) e di nullità degli atti discriminatori(art. 15)”. La decisione fu successivamente confermata (cfr. e pluribus, da Cass. sez. lav. 26.2.1985, n. 1674, Cass. sez. lav. 5.11. 1985, n. 5387 e Cass. sez. lav. 19.3.1986, n. 1917) che per oltre un decennio fecero sì che di formasse una giurisprudenza sostanzialmente consolidata, almeno in campo giuslavoristico. In campo penale infatti tale orientamento non fu condiviso dalla terza sezione penale della Cassazione, che con sentenza 28.10.1997 n. 2635 (in Dir. relaz. ind. 1999, 387), affermò come “L’art. 5 st. lav. che sanziona, tramite l’art. 38, i controlli del datore di lavoro sull’idoneità dei lavoratori eseguiti da medici non appartenenti alle previste strutture pubbliche, si applica esclusivamente a coloro che prestano attività e non già a coloro che aspirano a diventare lavoratori. La parificazione sotto il profilo sanzionatorio – del divieto di controlli per lavoratori assunti ed assumendi – prevista da talune leggi (ad esempio, art. 8 l. n. 300 del 1970 in tema di divieto d’indagini sulle opinioni; art. 6 l. n. 135 del 1990 sulla prevenzione e lotta contro l’Aids) rafforza questa interpretazione, proprio perché la differenza terminologica è espressamente stabilita ed evidenzia l’ineliminabile diversità concettuale e lessicale tra le due categorie. L’estensione del divieto ai candidati all’assunzione, in ipotesi di controversia di lavoro sarebbe corretta e condivisibile perché, in materia civile, è consentita l’analogia in “bonam partem”. Quando si discute dell’applicazione di una pena, come in fattispecie, non è invece applicabile l’analogia, e, pertanto, non è possibile sanzionare comportamenti che il legislatore ha lasciato fuori dalla previsione punitiva (conseguentemente la Corte ha ritenuto costituenti reato gli accertamenti di sieropositività per gli assumendi, escludendone la ricorrenza per i test di gravidanza e di tossicodipendenza degli stessi candidati all’assunzione).”
[27] Cassazione civile, sez. lav., 2 dicembre 2005, n. 26238, in Or. giur. lav. 2005, 4, I, 830
[28] Cassazione civile, sez. lav., 15 marzo 2017, n. 6771, in Mass. Giust. Civ. 2017
[29] Corte Costituzionale, 2 giugno 1994, n. 218, in Foro it. 1995, I, 46
[30] Ricordiamo che il comma 2, lettera e) del citato art. 41 prevede appunto che il medico competente effettui una specifica visita medica alla cessazione del rapporto di lavoro
[31] Cfr. Nota Ministero della Giustizia 3 aprile 2014 “Nota di chiarimento sulla portata applicativa delle disposizioni dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 39 del 2014 in materia di lotta contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile” consultabile su https://giustizia.it/giustizia/protected/1000959/0/def/ref/NOL1000961/ , Circolare del Ministero della Giustizia 3 aprile 2014, n. 107811 e Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali 11 aprile 2014, n. 9. La richiesta non è necessaria nel caso di successione di appalti in cui il personale che viene preso in carico dall’appaltatore subentrante risulta impegnato nella medesima attività avente contatto diretto con minori, purché lo stesso appaltatore subentrante abbia acquisito la documentazione di cui all’art. 2 D.Lgs. 39/2014 già in possesso del precedente datore di lavoro/appaltatore. Cfr. Risposta ad interpello del Ministero del Lavoro 24 settembre 2015 n. 22.
[32] Cfr. Garante Privacy – Autorizzazione al trattamento dei dati giudiziari da parte di privati, di enti pubblici economici e di soggetti pubblici – n. 529 del 15 dicembre 2016
[33] Singolare il fatto che, per la violazione del divieto di aver effettuato comunicazioni, a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione relative ad attività di ricerca e selezione del personale in forma anonima, divieto sancito dall’art. 9 dello stesso D.Lgs. 276/2003 per le agenzie del lavoro e soggetti ad esse assimilati, non sono previste sanzioni.