Patto di non concorrenza – Validità ed opportunità | ADLABOR | ISPER HR Review
Nel nostro ordinamento è prevista la possibilità di stipulare, tra datore di lavoro e lavoratore, un patto che limiti la possibilità, per il lavoratore, di andare ad operare per un concorrente. Però la normativa non stabilisce specifici criteri o parametri precisi per i contenuti del patto se non in termini generali. Ciò rende gli accordi sottoponibili ad un vaglio di legittimità e correttezza che rende aleatoria la tenuta del patto.
La valutazione sull’opportunità della stipulazione di patti di non concorrenza va quindi effettuata in ragione dell’interesse di parte datoriale di tutelare adeguatamente il know how aziendale ovvero l’avviamento commerciale , a fronte di un esborso economico , tenendo presente la difficoltà di far rispettare il patto con gli strumenti dell’attuale disciplina normativa. In concreto la stipulazione di un patto di non concorrenza sarà opportuna ove le informazioni aziendali da tutelare siano particolarmente sensibili e a fronte di ciò lo sforzo economico, rappresentato dal corrispettivo del patto, potrebbe non essere rilevante. Quando invece il know how aziendale da tutelare non è significativo può essere inutile un patto di non concorrenza che a fronte di un contenuto economico adeguato al vincolo imposto al lavoratore non sortisca poi l’effetto voluto e cioè quello di impedire al lavoratore di portare alla concorrenza le informazioni acquisite nel corso del rapporto.
Peraltro non è inusuale che il corrispettivo del patto venga erogato in corso di rapporto magari imputando a tale voce una parte della retribuzione che il lavoratore comunque richiede all’atto dell’assunzione , mascherando così sotto la voce patto di non concorrenza quello che rappresenterebbe, sostanzialmente, un superminimo. Ed in questo senso vi sono alcune pronunce giurisprudenziali che, a fronte di un corrispettivo del patto erogato mensilmente per 13 mensilità all’anno, lo hanno qualificato come componente retributiva escludendo che potesse valere ai fini di indennizzo del patto di non concorrenza. Ma al di là delle ragioni di opportunità anche sotto il profilo contenutistico il patto presenta delle specificità.
L’articolo 2125 del codice civile, che disciplina il patto di non concorrenza del prestatore di lavoro, prevede precise condizioni per la sua validità. Innanzitutto deve essere formulato per iscritto , deve prevedere un corrispettivo e il vincolo deve essere contenuto entro limiti di oggetto, luogo e durata non superiore ai cinque anni per i dirigenti e ai tre per gli altri lavoratori.
La giurisprudenza si è ripetutamente pronunciata sui requisiti di legittimità del patto. In particolare è stato espresso il principio che il patto deve comunque consentire al lavoratore la possibilità di esplicare la propria attività e non comprimere eccessivamente la sua capacità reddituale, pur riducendo, entro specifici limiti, la facoltà del lavoratore di collocarsi sul mercato.
E a fronte di una compressione delle opportunità di ricollocazione è previsto il riconoscimento di un corrispettivo che deve essere congruo rispetto ai limiti, di tempo e di luogo, stabiliti nel patto.
In ordine all’entità del corrispettivo la legge nulla dice mentre la giurisprudenza non ha dettato criteri univoci. Il parametro più realistico è quello di legare la misura del corrispettivo del patto alla retribuzione del lavoratore interessato fissandone una percentuale più o meno elevata in funzione dell’estensione temporale e geografica del vincolo. In alcuni casi è stato ritenuto adeguato un corrispettivo del 40/50% dell’ultima retribuzione per ogni anno di durata del patto. Naturalmente la valutazione va effettuata in funzione dell’interesse aziendale ad impedire che il lavoratore gravato dal patto possa passare alle dipendenze di un concorrente diretto ed in tal caso solo un corrispettivo adeguato potrà consentire un sufficiente affidamento a che la tenuta del patto superi anche il vaglio giudiziario.
Non va però trascurata la considerazione che, nel caso in cui il lavoratore, risolto il rapporto, vada ad operare per un concorrente sarà necessario agire giudizialmente per chiedere il rispetto del patto e la conseguente inibizione alla collaborazione con il concorrente. Ma per quanto si possa agire con procedure d’ urgenza i tempi tecnici per arrivare ad una pronunzia favorevole non sono limitatissimi per cui, soprattutto nel caso in cui ciò che si vuole preservare con il patto di non concorrenza sono informazioni tecnologiche o produttive aziendali, l’intervallo temporale tra la scoperta dell’attività concorrenziale e la eventuale pronunzia giudiziale può consentire ampiamente al lavoratore di trasferire al concorrente le informazioni riservate .
Ne consegue che il patto di non concorrenza ha una sua utilità concreta quando è rivolto verso personale con funzioni commerciali o comunque esterne, funzioni che non si possono espletare se non, ad esempio, andando a visitare la clientela . In tal caso l’ex datore di lavoro può scoprire facilmente la violazione del patto e agire di conseguenza. Ma quando le informazioni riservate da tutelare sono di natura tale da rimanere all’interno dell’azienda è facile per l’ex dipendente trasferire rapidamente al concorrente i dati con la conseguenza che anche un eventuale inibitoria giudiziale a proseguire la collaborazione con l’azienda concorrente non avrebbe effetti pratici positivi. Ed è facile aggiungere che l’escamotage più semplice per bypassare il divieto di concorrenza è quello per cui il lavoratore fa figurare di essere passato alla concorrenza con un incarico , e magari in un settore , diverso da quello oggetto del patto. E non si dimentichi che il datore di lavoro concorrente, che assume un lavoratore gravato da patto, se ha un consistente interesse ad acquisire la collaborazione o anche solo le informazioni da quel lavoratore , spesso gli garantisce la copertura economica degli oneri conseguenti alla violazione del patto quali la restituzione del corrispettivo o addirittura lo manleva dal pagamento di una penale.
In definitiva, in considerazione dell’attuale normativa e degli orientamenti giurisprudenziali piuttosto oscillanti, non vi è certezza che un patto di non concorrenza, ancorché fornito dei più congrui requisiti, possa garantire il datore di lavoro dal pericolo di veder trasferire alla concorrenza le informazioni aziendali sensibili. Sarà quindi opportuno valutare approfonditamente l’opportunità di gravare un collaboratore di un patto di non concorrenza che, se da un lato può rappresentare un deterrente nei confronti del lavoratore, dall’altro non ha una tenuta tale, ove contestato e sottoposto al vaglio giudiziario, da garantire la sua tenuta in ogni caso.
Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 27 aprile 2021