Lavoro part-time – Mancata indicazione della durata della prestazione e della collocazione temporale dell’orario di lavoro – Risarcimento del danno | ADLABOR | ISPER HR Review
Il lavoro part-time è un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato o determinato, che si caratterizza per un orario di lavoro inferiore rispetto all’orario a tempo pieno.
Ai sensi dell’art. 5, comma 2 e 3, del D.lgs. n. 81/2015, nel contratto di lavoro a tempo parziale (part-time) deve essere indicata in modo puntuale la durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario di lavoro con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno (quando l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione della collocazione temporale può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite).
Qualora il contratto di lavoro part-time non indichi la durata della prestazione lavorativa o la collocazione temporale dell’orario di lavoro, ex art. 10, comma 2, del D.lgs. n. 81/2015, si avranno le seguenti conseguenze:
- se non viene determinata la durata della prestazione lavorativa, su domanda del lavoratore è dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla pronuncia del giudice;
- se l’omissione riguarda la sola collocazione temporale dell’orario, “il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale, tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché’ delle esigenze del datore di lavoro”.
In entrambi i casi, per il periodo antecedente alla pronuncia del giudice, il lavoratore ha diritto, “in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno”.
Tuttavia, il Legislatore non ha specificato come l’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno vada quantificata. La giurisprudenza, in tema di risarcimento di tale danno, ha precisato che “il lavoratore ha in entrambi i casi [in caso di mancata indicazione della durata della prestazione o della collocazione temporale dell’orario di lavoro] diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa “, configurandosi una responsabilità di natura contrattuale …… (v. Cass. n. 27553 del 2016)” (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro civile, Ordinanza 20 marzo 2018, n. 6900).
Inoltre, secondo il Tribunale di Milano la quantificazione equitativa del danno può identificarsi con il 10 % della retribuzione percepita dal lavoratore nel periodo in cui questo ha svolto la prestazione lavorativa in assenza dell’indicazione della durata della prestazione o della collocazione temporale dell’orario di lavoro. Infatti, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 2172/2021, ha chiarito che: “per effetto della violazione del citato art. 5, commi 2 e 3, del d.lgs. 81/15, in base a quanto previsto dall’art. 10, comma 2, d.lgs. 81/15, andrà accertato il diritto dello [omissis] alla liquidazione di una somma a titolo di risarcimento del danno, da quantificare equitativamente, ai sensi degli artt. 1226 c.c. e 432 c.p.c.. In linea con i precedenti giurisprudenziali di questo Tribunale, prodotti dalla difesa di parte ricorrente, si ritiene di ragione quantificare il risarcimento del danno nella misura del 10% della retribuzione percepita dallo [omissis] nel periodo interessato dagli accertamenti [omissis] da maggiorarsi di interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo” (v. Trib. di Milano sent. n. 2193/2021 e Trib. di Milano sent. n. 2347/2021).
Va però ricordato che l’articolo 6 del DLGS 81/2015, al comma 4, prevede la possibilità della pattuizione per iscritto di clausole elastiche che consentono la variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa o della variazione in aumento della sua durata. La disciplina delle clausole elastiche è rimandata alla contrattazione collettiva che, di norma, prevede una specifica indennità e le modalità di preavviso e comunicazione. In mancanza di una regolamentazione collettiva la legge prevede un indennizzo del 15% della retribuzione globale di fatto comprensiva dell’incidenza su istituti retributivi indiretti e differiti.
Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 9 febbraio 2022