Mobbing (orizzontale) – Responsabilità del datore di lavoro – Art. 2087 c.c. | ADLABOR | ISPER HR Review
Il mobbing consiste in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti dell’ufficio o dell’unità produttiva in cui è inserito o da parte del superiore gerarchico, con intento di persecuzione ed emarginazione finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo, in alcuni casi anche al fine di indurlo alle dimissioni.
La giurisprudenza ha identificato i seguenti requisiti per la configurabilità del mobbing lavorativo:
- una serie di comportamenti persecutori (illeciti o anche leciti se considerati singolarmente) che, con intento vessatorio, siano attuati contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore, di un preposto o di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi;
- l’evento lesivo della salute, della personalità o della dignità del dipendente;
- il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità;
- l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutte le condotte lesive” (Corte di Cassazione Civile, Ordinanza 2 dicembre 2021 n. 38123).
Se il mobbing è attuato da parte di colleghi prende il nome di mobbing orizzontale1.
In questi casi il datore di lavoro potrebbe risponderne, ex art 2087 c.c.2, in quanto egli è tenuto a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
Il datore di lavoro potrebbe essere quindi chiamato a rispondere dei comportamenti vessatori, protratti nel tempo, di alcuni suoi dipendenti nei confronti di un altro dipendente in quanto non ha impedito tali comportamenti, non ha tutelato la personalità morale del lavoratore all’interno del luogo di lavoro.
Infatti, secondo la più recente giurisprudenza (Corte di Cassazione n. 27913/2020), sussiste la responsabilità del datore che, dopo essere venuto a conoscenza dell’esistenza del mobbing posto nei confronti di un proprio dipendente da parte di altri colleghi, non ha indagato a fondo la questione, né ha adottato i provvedimenti, anche disciplinari.
La condotta datoriale determinante il mobbing è caratterizzata quindi da una causalità omissiva, dovendo il datore di lavoro rispondere per la mancata adozione di misure atte a prevenire i comportamenti persecutori con intento vessatorio.
“Nel caso in esame, sebbene il datore di lavoro non si sia reso protagonista diretto delle condotte vessatorie subite dalla (OMISSIS), tuttavia lo stesso non può andare esente da responsabilità rispetto ai propri obblighi di tutela previsti dall’articolo 2087 c.c..
Il datore … omissis… sebbene avesse udito le grida e sebbene fosse stato informato tanto dal (OMISSIS) quanto dall’appellata, non ha mai reagito a tutela dell’integrità morale di quest’ultima” ed altresì che “Appare, inoltre, inverosimile che lo stesso non fosse a conoscenza dei comportamenti tenuti dalla dipendente (OMISSIS), in quanto molte circostanze gli sono state riferite direttamente dalla (OMISSIS)”. Con ciò, implicitamente sottolineando la posizione di “garante” che spetta inderogabilmente al datore di lavoro”.
Perciò, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali, sarebbe opportuno che il datore di lavoro consapevole dei comportamenti vessatori, non consoni ai luoghi di lavoro, si attivi e adotti i provvedimenti più opportuni per farli cessare.
Ai fini dell’accertamento della responsabilità del datore di lavoro, non configurando l’art. 2087 c.c. un’ipotesi di responsabilità oggettiva3, “sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, incombe l’onere di provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale fra questi due elementi, gravando invece sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato le suddette circostanze, l’onere di dimostrare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e, tra queste, di aver vigilato circa l’effettivo uso degli strumenti di cautela forniti al dipendente (cfr. Cass. 29 febbraio 2013, n. 2038; 17 febbraio 2009, n. 3786; 13 agosto 2008, n. 21590; 23 aprile 2008, n. 10529; 14 aprile 2008, n. 9817)” (Tribunale, Modena, Civile, Sentenza 2 febbraio 2021 n. 58).
Tuttavia, per essere esente da responsabilità, il datore di lavoro, in caso di giudizio, deve provare di non essere a conoscenza dell’attività persecutoria in quanto: “Nel c.d. mobbing orizzontale, perpetrato da uno o più dipendenti del datore di lavoro, ai danni di un proprio collega, è configurabile la responsabilità del datore di lavoro che abbia omesso di proteggere un suo dipendente, ogniqualvolta lo stesso, pur consapevole dei comportamenti scorretti attuati ai danni del sottoposto, ometta di attivarsi ed adottate i provvedimenti più opportuni al fine di determinarne la cessazione.
Sul datore di lavoro grava l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per impedire la condotta illecita” (Tribunale Firenze, Civile, Sentenza 12 giugno 2019 n. 579).
A riprova di ciò: “Ai fini della configurabilità del “mobbing orizzontale”, addebitabile in astratto al datore di lavoro quale condotta omissiva in violazione dell’art. 2087 c.c., con conseguente prova liberatoria a suo carico ex art. 1218 c.c., è necessario che il datore medesimo abbia avuto conoscenza dell’attività persecutoria, quindi necessariamente dolosa, posta in essere dai propri dipendenti nel contesto dell’ordinaria attività di lavoro” (Corte di Cassazione, Civile, Ordinanza 20 gennaio 2020 n. 1109).
Concludendo, il datore di lavoro non è tenuto a risarcire il dipendente mobbizzato se dimostra di non essere stato a conoscenza dell’attività persecutoria o di aver adempiuto con la massima diligenza al proprio obbligo di tutela della salute del lavoratore, attuando ogni precauzione ragionevolmente necessaria a determinare la cessazione dei comportamenti vessatori.
Ma non dimentichiamo che l’onere processuale, in caso di contenzioso, di provare l’ignoranza di condotte mobbizzanti o di aver adottato tutti gli accorgimenti possibili è comunque a carico del datore di lavoro per cui occorrerà porre particolare attenzione e sensibilità nel caso in cui si abbiano anche solo sospetti di condotte improprie da parte dei propri dipendenti.
Note
[1] Il mobbing perpetrato dal datore di lavoro, dai superiori gerarchici, prende il nome di mobbing verticale (c.d. “bossing”).
[2] Art 2087 c.c.: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
[3] La responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.
Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 27 aprile 2022