Competitivita 768; Sistema Economico Nazionale (Accordo Interconfederale 19 Giugno 2003)
Per lo sviluppo, l’ occupazione e la competitività del sistema economico nazionale:
priorità condivise in materia di politiche per la ricerca, la formazione, le infrastrutture e il mezzogiorno
PREMESSA
CGIL, CISL, UIL e CONFINDUSTRIA, sottoscrivono il presente Accordo con la duplice finalità di consolidare, da un lato, una prassi di relazioni industriali finalizzate allo sviluppo economico del paese e alla crescita occupazionale, dall’ altro per avanzare su alcuni specifici argomenti dettagliate proposte di merito.
Anche alla luce della situazione economica interna ed internazionale, le parti sottolineano l’ urgenza e la necessità di politiche pubbliche, a livello comunitario e nazionale, finalizzate non solo alla riduzione dell’ inflazione e alla riduzione del debito ma anche al rafforzamento della competitività e a favore degli investimenti, necessari complementi dell’ impianto del Protocollo del luglio 1993 sulla politica dei redditi.
La competitività del sistema economico è infatti in questo momento la principale questione che il nostro paese deve affrontare. I dati della perdita di competitività (bassi tassi di crescita e di sviluppo della produttività, perdita di quote commerciali, bassi tassi di occupazione, rallentamento della crescita del reddito pro capite) che si è gradualmente cumulata a partire dalla metà del decennio scorso, sono ormai ampiamente noti.
Solo una crescita piè forte e di migliore qualità, unita a robusti incrementi del livello di occupazione, potranno risolvere gran parte dei nodi strutturali e migliorare ulteriormente le condizioni sociali del nostro paese. È importante che tutte le forze politiche, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni di rappresentanza delle imprese,condividano questi obiettivi. Riportare il nostro paese su un percorso di sviluppo richiede infatti uno sforzo in termini di migliore allocazione delle risorse disponibili, di maggiore efficienza del loro utilizzo, di maggiori investimenti in capitale fisico e sulle persone, di modernizzazione e qualificazione dei mercati tra cui quelli finanziari, dei servizi e del lavoro, di ampliamento della concorrenza, di maggiore efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione.
In questo spirito, Confindustria, CGIL, CISL e UIL hanno trovato una posizione comune su alcuni punti essenziali di politica di sviluppo: ricerca, formazione, infrastrutture e Mezzogiorno.
Questi punti non esauriscono tutte le tematiche di una manovra complessiva di politica economica, rispetto alla quale rimangono le diverse posizioni delle quattro organizzazioni, che al riguardo mantengono la naturale autonomia di azione e di confronto fra di loro e con le forze politiche.
Si formula tuttavia l’ auspicio che le quattro priorità condivise costituiscano un’ utile base per il confronto tra le parti sociali e il Governo e che quest’ ultimo ne recepisca i contenuti nel nuovo Documento di Programmazione Economico e Finanziaria e nella Legge Finanziaria 2004. Analogo confronto andrà svolto con i Gruppi parlamentari.
Le priorità individuate sono tra loro integrate. Al cuore dei problemi italiani di sviluppo e competitività vi è infatti l’ esigenza di un nostro modello di specializzazione produttiva, oggi piè debole nei settori ad elevato contenuto di innovazione e di ricerca, in misura crescente esposto alla competizione di prezzo, e in prospettiva anche a quella sulla media qualità, da parte dei paesi di nuova industrializzazione.
Adattare ai nuovi contesti tale modello richiede un salto nel livello degli investimenti, pubblici e privati, in ricerca e sviluppo. Lo sviluppo e l’ applicazione efficiente delle nuove tecnologie richiede una diffusa formazione e riqualificazione delle persone che lavorano, nonché un elevato livello di istruzione a partire dai giovani.
In un quadro in cui le piccole e medie imprese costituiscono la base fondamentale del nostro sistema economico, l’ accrescimento tecnologico richiede in prospettiva anche piè imprese di maggiori dimensioni. Occorre creare le condizioni generali affinché, come avviene nella maggior parte dei paesi, le imprese di piccole dimensioni crescano proprio in virtè del loro successo. Sono processi di lungo periodo. Per questo sono di fondamentale importanza gli investimenti in infrastrutture capaci di migliorare il contesto in cui si insediano le attività economiche a partire da quelle di comunicazione e di trasporto, che facciano ampio ricorso alle tecnologie dell’ informazione per accrescere la capacità del nostro sistema di piccole imprese di fare rete su scala nazionale e in tal modo accrescere la propria competitività.
Per quanto riguarda, infine la tutela e la valorizzazione del patrimonio produttivo esistente, è opportuna l’ attività svolta dagli osservatori di settore previsti dai CCNL, anche in relazione con quelli operanti o in via di insediamento presso il competente Ministero, per un attento monitoraggio delle prospettive di settori, territori e distretti. Inoltre per far fronte alle emergenze va rafforzato il ruolo del Comitato per l’ Occupazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri come tavolo di diagnosi e pronto intervento nelle situazioni di crisi aziendale o settoriale.
RICERCA E INNOVAZIONE
Le proposte mirano a definire una politica di medio-lungo periodo della Ricerca e Innovazione che, attraverso un giusto equilibrio tra ricerca fondamentale e ricerca applicata, assicuri al nostro paese un’ autonoma capacità di innovazione derivante dalle nuove conoscenze scientifiche. Le proposte operative riguardano la fissazione di obiettivi di medio periodo di spesa pubblica per la R&S, le modalità per assicurare risorse adeguate al rilancio della Ricerca e Innovazione, attraverso l’ elevamento graduale della percentuale sul PIL della spesa per la ricerca e la riattivazione del finanziamento delle leggi in materia.
Parallelamente, sono proposti interventi per qualificare la spesa, i meccanismi di valutazione dei progetti, e i collegamenti tra settore pubblico e privato. Le misure indicate riguardano la qualificazione della domanda pubblica, una maggiore efficienza del sistema degli incentivi pubblici alla ricerca privata attraverso interventi di defiscalizzazione e di finanziamenti su progetti di R&S, la riforma del sistema pubblico della Ricerca, adeguate politiche regionali di diffusione delle innovazioni, l’ attrazione di imprese ad alta e media tecnologia nel Mezzogiorno, la creazione di nuove imprese nei settori ad alta tecnologia, la revisione della normativa sui brevetti, lo sviluppo della società dell’ informazione.
FORMAZIONE
Gli obiettivi prioritari proposti riguardano essenzialmente: il sostegno delle scelte professionali e formative dei giovani e degli adulti, la definizione di un sistema integrato in grado di migliorare l’ intera gamma degli strumenti di collaborazione tra scuola, formazione e mondo del lavoro. Occorre poi rispondere alla domanda di professionalità delle imprese e dei lavoratori, rafforzare l’ area tecnico – professionale del sistema formativo, promuovere l’ integrazione tra scuola, università, formazione e lavoro nella formazione permanente, razionalizzare l’ utilizzo delle diverse indagini sui fabbisogni professionali e formativi realizzate dalle parti sociali e da altri soggetti istituzionali; favorire un allargamento e un utilizzo strategico delle risorse per la formazione continua nel cui ambito potranno operare con maggiore efficacia anche gli interventi promossi da Fondimpresa; realizzare un sistema efficace e flessibile, nazionale e decentrato di accreditamento delle strutture formative, di definizione degli standard e di certificazione delle competenze delle persone. Vengono inoltre adottati alcuni obiettivi quantitativi da verificare periodicamente secondo scadenze concordate.
INFRASTRUTTURE
Gli investimenti infrastrutturali rappresentano un passaggio fondamentale per una strategia tesa a restituire competitività al sistema Italia. Particolare importanza assumono, in una logica di coesione economica e sociale europea, le grandi opere infrastrutturale di collegamento transeuropeo e le connesse opere nazionali di interesse europeo, la cui importanza strategica dovrà imporre calendari, responsabilità e risorse precisi e predeterminati.
Contestualmente vanno rafforzate le condizioni di legalità e sicurezza negli appalti e la regolarità delle condizioni di lavoro.
Insieme a tali grandi interventi, pari importanza assumono gli investimenti sulle reti idriche ed energetiche e su quelle di comunicazione elettronica a banda larga: queste ultime, in particolare, devono trovare collocazione in una vera e propria politica delle telecomunicazioni che dovrà salvaguardare soprattutto la capacità di R&D, di progettazione e di industrializzazione.
Per quanto riguarda le politiche del settore energetico, le parti ritengono ormai mature le condizioni per la costituzione, in tempi brevi, di un tavolo di concertazione per definire una strategia condivisa, coerente con le evoluzioni della domanda e dell’ offerta e con l’ esigenza di promuovere la ricerca, l’ innovazione e la qualità ambientale, con particolare attenzione alla evoluzione degli assetti istituzionali per effetto delle modifiche costituzionali.
Le parti si propongono di esercitare un ruolo attivo nel governo delle liberalizzazioni, in un quadro di regole definite nei servizi pubblici e per l’ autotrasporto.
MEZZOGIORNO
Gli Obiettivi del Consiglio Europeo di Lisbona, la prospettiva dell’ allargamento e la creazione dello spazio euromediterraneo costituiscono lo scenario in cui si deve inserire la politica di sviluppo del Mezzogiorno dei prossimi anni, puntando alla chiusura dei principali indicatori di divario, primo tra tutti il divario infrastrutturale e di servizi pubblici tra Mezzogiorno e resto del Paese.
Al di la della tipologia degli investimenti, è fondamentale rafforzare l’ integrazione delle fonti finanziarie individuando le opere che ci si impegna già da ora a finanziare con il prossimo ciclo di programmazione dei fondi strutturali, in maniera tale da assicurare copertura e coerenza dei tempi.
La promozione di investimenti immateriali (formazione e ricerca) e di migliori condizioni di contesto per favorire gli investimenti (in particolare credito, legalità ed efficienza della Pubblica Amministrazione) sono parti essenziali di tale strategia, così come il sostegno forte alla promozione ed al consolidamento dell’ imprenditorialità, che deve passare attraverso il necessario riordino degli incentivi che realizzi un quadro di convenienze di natura permanente e sia finalizzato all’ attrazione degli investimenti.
Le parti firmatarie sottolineano la necessità di un rafforzamento e di una razionalizzazione degli strumenti di programmazione territoriale negoziata per la promozione dello sviluppo locale all’ interno di Accordi di Programma Quadro da aprire al coinvolgimento del partenariato economico e sociale. All’ interno di tale assetto territoriale deve trovare collocazione il nuovo strumento del Contratto di localizzazione, orientato alla attrazione degli investimenti che dovrà essere, superata la prima fase di sperimentazione, una delle principali priorità dell’ azione in favore del Mezzogiorno.
al punto di vista delle risorse, il punto di riferimento è costituito dal “Quadro finanziario unico pluriennale”, che definisce il profilo dei valori programmatici di spesa in conto capitale di cassa della Pubblica Amministrazione fino al 2008 per ciascuna fonte finanziaria (risorse ordinarie, aggiuntive “aree depresse”, comunitarie) precisando che la spesa per gli investimenti nel Mezzogiorno dovrà essere costantemente al di sopra del 45% della spesa totale nei prossimi anni.
POLITICHE AMBIENTALI
Gli obiettivi dello sviluppo, della competitività e della crescita dell’ occupazione, devono essere perseguiti tenendo conto anche della sostenibilità ambientale, integrando le relative politiche nelle dinamiche di mercato.
Accanto agli investimenti finalizzati alla modernizzazione delle politiche ambientali per il sistema economico e produttivo del paese, occorrerà promuovere e sviluppare i nuovi strumenti gestionali indicati dalla Commissione Europea, primo fra tutti la certificazione ambientale.
A tal fine le parti si adopereranno congiuntamente per promuovere e realizzare interventi informativi e formativi verso le rispettive rappresentanze sui temi della certificazione ambientale. Le parti solleciteranno altresì il Governo ad individuare le modalità piè efficienti di realizzazione degli interventi di diretta valenza ambientale, in particolare riguardo alla attività di bonifica dei siti industriali inquinati, alla gestione delle risorse idriche, allo sviluppo di un sistema integrato di gestione dei rifiuti, agli interventi per la difesa del suolo, capaci di favorire lo sviluppo di una dimensione industriale di queste attività.
Infine, le parti sono interessate a proseguire il confronto sulle politiche ambientali, mirato anche a favorire la possibile definizione di proposte comuni in occasione del D.P.E.F. e della Legge Finanziaria e di specifiche questioni anche di carattere internazionale.
Roma, 19 giugno 2003
PRINCIPI DI RIFERIMENTO
I processi di globalizzazione in corso stanno rapidamente mutando gli scenari di evoluzione sociale ed economica, i paradigmi e le regole che hanno presieduto allo sviluppo. L’ accresciuta competitività sul mercato nazionale e internazionale è collegata alla crescita esponenziale delle conoscenze – in termini di scienza, cultura, innovazione e trasferimento tecnologico – che fanno del cosiddetto “capitale immateriale” un fattore decisivo. Le imprese sono spinte a introdurre processi di medio-lungo periodo di innovazione e di crescita delle professionalità dei lavoratori per realizzare prodotti qualitativamente competitivi, che integrino nuove soluzioni tecnologiche e nuovi materiali.
Nel medio periodo è ormai chiaro che solo un processo di ricerca e di innovazione continuo ed intenso è in grado di assicurare una crescita quantitativa e qualitativa dell’ occupazione ed un aumento della produttività e del reddito pro capite.
La collocazione del nostro paese in coda alle piè recenti graduatorie compilate dalla Commissione Europea, denuncia uno sviluppo senza ricerca e un ulteriore allontanamento dai grandi paesi industrializzati, non solo per quanto attiene ai settori high tech ma anche ai settori tradizionali che specializzano il sistema produttivo italiano D’ altro canto le Finanziarie degli ultimi anni non hanno contribuito a recuperare il gap rispetto ai principali paesi industriali. Nel biennio 2002-2003 le risorse per la ricerca hanno subito una significativa riduzione.
Per collocare stabilmente l’ Italia tra i paesi maggiormente industrializzati, favorendo la qualità e la sostenibilità dello sviluppo, è necessario adottare una piè chiara ed efficace politica industriale, centrata sulla ricerca e innovazione tecnologica, come motore dello sviluppo. Una politica che miri ad introdurre ottimali condizioni di contesto, nel settore pubblico e in quello privato, e corretti meccanismi di incentivazione, per avviare un circolo virtuoso di crescita qualitativa e quantitativa del nostro sistema produttivo.
Del resto le piè recenti statistiche dell’ Istat relative alla spesa per R&S delle imprese e la crescente propensione delle piccole e medie imprese italiane a partecipare ai programmi di agevolazione alla ricerca, nazionali e europei, indicano una maggiore sensibilità all’ innovazione tecnologica.
Nel nostro paese, come in tutti i paesi avanzati, la domanda di ricerca e innovazione è stata trainata prevalentemente dalle grandi imprese, pubbliche e private, per loro natura le piè idonee a introdurre innovazioni radicali e nuove professionalità. Una politica industriale centrata sulla ricerca e sull’ innovazione deve pertanto porsi l’ obiettivo della crescita dimensionale delle imprese italiane In questo quadro vanno inoltre individuate misure tese a incentivare l’ apertura del capitale di rischio.
Con tali politiche, il nostro paese deve collocarsi con maggiore decisione e autorevolezza all’ interno delle scelte dell’ Unione Europea per la costruzione – decisa a Lisbona e recentemente riconfermata dalla Commissione Europea – di uno “Spazio europeo della ricerca” volto ad avviare un governo unitario delle strategie scientifiche e tecnologiche. L’ Europa della ricerca mira a raccordare le scelte dei paesi membri, per costruire sinergie e massa critica adeguate a far fronte alla difficile competizione con gli altri attori internazionali e a promuovere una ricerca piè interdisciplinare, piè internazionale e con un maggiore collegamento tra ricerca di base e ricerca applicata.Un forte sostegno alla ricerca fondamentale, infatti, è necessario anche per un’ innovazione tecnologica di qualità, in grado di sostenere la competitività delle imprese nei mercati internazionali.
Ciò richiede che anche il nostro paese incrementi le risorse destinate complessivamente alla Ricerca & Innovazione e incentivi un rapporto stabile tra ricerca pubblica e imprese all’ interno di un sistema nazionale integrato e centrato su un processo di programmazione degli obiettivi strategici – autonomia nella gestione – valutazione dei risultati.
In questo quadro, occorre promuovere sia una maggiore cultura della valutazione, che pervada tutto il sistema della ricerca pubblica e privata, con riferimento soprattutto alla gestione delle risorse per il supporto all’ innovazione, sia una cultura della collaborazione tra il mondo della ricerca e il mondo delle imprese.
Il sistema produttivo del nostro paese è caratterizzato da una presenza eccezionale e ben piè alta che in altri paesi dell’ UE, della piccola e piccolissima impresa. Pertanto – ferma restando la necessità di rafforzare l’ attività di ricerca svolta dalle grandi imprese private e di salvaguardare i patrimoni di conoscenze acquisiti dalle imprese pubbliche operanti nei settori ad alta tecnologia – ciò richiede che si realizzino interventi specifici per il sostegno a questo decisivo settore, sia in termini di politiche regionali e locali per lo sviluppo dell’ innovazione, in coerenza con il nuovo assetto federalista scaturito dalla riforma del titolo V della Costituzione, sia in termini di specifiche modalità di sostegno economico, piè rapide ed efficaci.
Non si tratta quindi soltanto di rifinanziare le leggi di sostegno alla ricerca e innovazione e di rivedere i meccanismi di valutazione ed erogazione finanziaria – cosa certamente necessaria – ma anche di introdurre interventi che favoriscano nel territorio la nascita di sedi di incontro tra domanda di innovazione e competenze disponibili, aggregazioni di imprese finalizzate all’ innovazione, processi sia negoziali sia gestiti in autonomia che favoriscano l’ integrazione delle risorse pubbliche e private. Fondamentale in questo senso è l’ obiettivo di costruire un sistema integrato a rete, all’ interno del quale le imprese, soprattutto piccole e medie – associate o consorziate in relazione ad un comune obiettivo di innovazione – possano trovare nelle università, negli enti e nei centri di ricerca pubblici le risorse immateriali indispensabili per innovare prodotti e conquistare competitività.
In sintesi, un disegno di programmazione, sostenuto da un forte investimento economico dovrebbe ridefinire una complessiva governance del sistema, costituendo una sede di relazioni integrate di indirizzo. Un’ adeguata governance dovrebbe esplicitare la missione ed i macro obiettivi del “sistema ricerca” traducendoli in competenze, funzioni e regole certe, in un quadro complessivo di unitarietà di obiettivi.
Occorre infatti, superare l’ attuale frammentarietà delle competenze e duplicazioni degli interventi sia tra Ministeri, sia tra il livello nazionale e il livello regionale.
Dal punto di vista strategico è necessario operare in due direzioni:
- tradurre in obiettivi e filoni di impegno integrato le aree di ricerca pubblica, concentrando risorse in pochi grandi progetti di respiro europeo
- tradurre in concreto l’ auspicato meccanismo di sinergie fra sistema pubblico e privato, fra ricerca e innovazione, fra ricerca, innovazione e territorio.
Sull’ insieme di tali temi – relativi ai processi di riforma istituzionale e alle priorità delle politiche di sostegno economico alle imprese – al fine di integrare le politiche industriali e di sviluppo tra i diversi Ministeri, tra Stato e Regioni e con la domanda espressa dalle parti sociali, è opportuno costituire presso il MIUR un tavolo stabile di confronto, composto, oltre che dal MIUR stesso, dagli altri Ministeri maggiormente coinvolti, dalla rappresentanza delle Regioni e delle Autonomie Locali, e dalle parti sociali maggiormente rappresentative.
OBIETTIVI
- Definire una politica di medio-lungo periodo della Ricerca e Innovazione che, attraverso un giusto equilibrio tra ricerca fondamentale e ricerca applicata, assicuri al nostro paese un’ autonoma capacità di innovazione derivante dalle nuove conoscenze scientifiche, in stretto raccordo con le politiche dell’ UE.
- Nell’ ambito di una chiara priorità assegnata alla ricerca e innovazione, assicurare la certezza delle risorse umane e finanziarie e degli strumenti disponibili creando le condizioni ottimali per favorire investimenti in Ricerca & Innovazione, procedendo al riequilibrio Nord-Sud e stimolando il protagonismo degli attori locali.
- Confermare e rafforzare la partecipazione del nostro paese ai progetti europei – a partire dal VI Programma Quadro – e internazionali.
- Garantire il finanziamento delle Linee Guida per il Piano Nazionale della Ricerca, assicurando il rilancio sia della ricerca fondamentale, sia di quella applicata e in questo quadro rafforzare la nostra presenza nei settori ad alta tecnologia. Occorre anche verificare i finanziamenti del Piano Spaziale Nazionale, che può consentire importanti ricadute sulle infrastrutture e sul sistema produttivo.
- Promuovere la ricerca e l’ innovazione in settori particolarmente strategici per il miglioramento della qualità della vita dei cittadini, quali la salute, l’ ambiente, l’ energia, l’ agricoltura e l’ alimentazione, i beni culturali.
- Rafforzare i settori ad alta intensità di conoscenza e tecnologia, mobilitando e coordinando i soggetti che promuovono il trasferimento tecnologico.
- Favorire l’ evoluzione del nostro sistema produttivo operante nei settori tradizionali verso linee di prodotto e fasi produttive a maggiore intensità tecnologica.
- Migliorare l’ efficienza del sistema di ricerca pubblica e di alta formazione, assicurando un livello qualitativo adeguato del sistema nazionale, valorizzando e potenziando le eccellenze, favorendo la diffusione di una cultura di collaborazione con il sistema privato. Gli interventi mirati a migliorare l’ efficienza della ricerca pubblica non devono, d’ altro canto, ridurne l’ autonomia e la creatività scientifica.
- Incrementare il numero degli addetti (ricercatori e tecnici), per superare il gap con i principali paesi avanzati, anche con politiche formative adeguate a incentivare la scelta verso il mondo della ricerca.
- Assicurare la disponibilità delle competenze necessarie attraverso un eccellente sistema di istruzione e formazione, che preveda l’ integrazione tra conoscenze e abilità, sia decentrato e consenta la personalizzazione dell’ offerta formativa, attraverso l’ esigibilità dei crediti formativi comunque acquisiti, in un’ ottica di “life long learning”, come raccomanda l’ Unione Europea.
L’ insieme di tali obiettivi richiede un profondo cambiamento delle politiche adottate in questi ultimi anni
PROPOSTE
Il Consiglio Europeo di Barcellona ha fissato l’ obiettivo di una spesa per R&S complessiva, pubblica e privata, pari al 3% del Pil nella media europea, entro il 2010 e confermato dal recente Piano di Azione della Commissione Europea. Coerentemente con tale obiettivo, è necessaria una politica di programmazione che preveda risorse adeguate e gradualmente crescenti per qualificare il sistema di ricerca pubblico e stimolare la spesa di ricerca del settore privato.
- In questo contesto, affinché sia credibile il raggiungimento dell’ obiettivo dell’ 1% di spesa pubblica rispetto al Pil entro il 2006 , fissato nelle Linee Guida per il Pnr, approvato dal Governo nell’ aprile del 2002, è fondamentale che siano stabiliti, fin da ora, per ogni anno di legislatura, gli obiettivi di spesa pubblica per R&S, prevedendo, a partire dal 2004, percentuali pari a 0,75%, 0,85%, e 1% del Pil. È necessario infatti procedere a una programmazione della spesa su base pluriennale, piuttosto che prevedere stanziamenti annuali legati alla disponibilità della legge finanziaria. Ciò permetterebbe alle aziende e al mondo della ricerca pubblica di programmare i propri investimenti e le proprie attività a fronte di uno scenario definito. In termini finanziari la spesa pubblica per R&S deve aumentare di un ammontare compreso tra i 6 e i 14 miliardi di euro a seconda delle ipotesi di crescita del Pil, entro il 2006. Questo è un obiettivo molto ambizioso che, se non vuole essere velleitario, presuppone precise scelte di priorità e il superamento degli incentivi a pioggia che rappresentano un onere per la finanza pubblica senza produrre risultati.
- Occorre definire le priorità strategiche del sistema Paese, privilegiando i comparti di frontiera su cui il nostro paese è in grado di competere e le tecnologie avanzate a carattere diffusivo, con maggiori ricadute, sui quali concentrare volumi critici di finanziamento, a partire dal sostegno alle grandi imprese e alle imprese high tech.
- Il Paese deve dotarsi di uno strumento di “assessment” delle competenze della ricerca pubblica e privata e delle potenzialità di sviluppo scientifico e tecnologico. Ogni due anni il MIUR deve pubblicare una mappa delle competenze e delle eccellenze del sistema scientifico e tecnologico, realizzata secondo criteri di analisi e di valutazione coerenti con gli standard comunitari.
- Occorre prevedere specifici strumenti di sostegno alla nascita di reti locali di innovazione realizzate dalle istituzioni in collaborazione con le associazioni di imprese, anche piccole e medie. In quest’ ambito un rilievo particolare va assicurato alle iniziative derivanti dai processi di programmazione negoziata.
- L’ imposta aggiuntiva sul consumo dei tabacchi, introdotto dalla recente Legge Finanziaria, va finalizzata al finanziamento dei Fondi esistenti per il supporto alla Ricerca pubblica e privata.
- Destinare l’ otto per mille assegnato allo Stato, dell’ imposta derivante dalla dichiarazione dei redditi di cittadini e imprese, a progetti di ricerca di alto contenuto scientifico miranti al miglioramento della qualità della vita.
- Occorre valorizzare il ruolo delle Fondazioni bancarie, che già negli ultimi anni hanno mostrato crescente interesse alla ricerca, incentivando il loro contributo all’ integrazione della ricerca pubblica e privata.
QUALIFICARE LA DOMANDA PUBBLICA
Assicurare una costante e rilevante domanda della Pubblica Amministrazione, relativa a prodotti e servizi ad alta tecnologia nei settori pubblici (energia, ambiente, acqua, sanità, beni culturali, difesa, trasporti etc.), prevedendo un adeguato coordinamento. Al tempo stesso occorre attivare la domanda pubblica, migliorandone la qualità, nei settori ad alta tecnologia, a partire da quello dell’ Aerospazio e delle Telecomunicazioni, in stretto raccordo con i programmi europei.
Rendere piè efficiente il sistema degli incentivi pubblici alla ricerca privata
La drammatica situazione dei fondi per il sostegno alla ricerca privata richiede un tempestivo aumento delle risorse destinate a questo obiettivo. Occorre rendere piè efficiente l’ intero sistema di agevolazione, sia assicurando strumenti semplificati per progetti di minori dimensioni, sia migliorando il funzionamento degli strumenti a valutazione per i progetti di dimensioni maggiori
- Interventi di defiscalizzazione
Va ampliato l’ utilizzo della leva fiscale per finanziare investimenti in R&S. Se utilizzata in modo efficiente, tale strumento introduce un meccanismo virtuoso che genera le risorse necessarie al suo stesso mantenimento. Si propone di:
- Introdurre, specialmente per le piccole e medie imprese e per i progetti di minori dimensioni inferiori ad una soglia da definire – e coerentemente con la legge delega di riforma del sistema fiscale, uno strumento di agevolazione fiscale a carattere permanente per le imprese che investano in ricerca e sviluppo. Tale strumento dovrà mirare a fornire un supporto semplificato e certo per le piccole e medie imprese, con modalità che attestino il carattere di innovazione del progetto e la congruità dell’ impegno di spesa.
- Introdurre un’ agevolazione fiscale per gli utili reinvestiti per le imprese che, attraverso adeguata certificazione, eseguita da enti registrati presso l’ autorità competente, mostrino di investire in ricerca e sviluppo risorse proprie superiori alla media dei tre anni precedenti. Va valutata l’ opportunità di modulare l’ agevolazione in base alla dinamicità dei soggetti beneficiari.
- Ampliare la concessione di vantaggi fiscali automatici alle aziende per le committenze di progetti di ricerca e innovazione a Università e Enti Pubblici di ricerca, già previsti dalla Legge 297/99.
- Potenziare le agevolazioni fiscali automatiche per le imprese che assumono nuovi ricercatori, già previste dalla Legge 297/99.
- Ampliare la detraibilità delle erogazioni da parte delle persone fisiche a favore degli enti di ricerca senza scopo di lucro, registrati presso un apposito albo del MIUR.
- Ridurre del 50% l’ aliquota di tassazione di fondi mobiliari chiusi, che investono in partecipazioni in nuove imprese operanti in settori ad alta tecnologia.
- Al fine di favorire l’ internazionalizzazione della ricerca pubblica e privata italiana vanno ampliati e diffusi gli accordi bilaterali reciproci per agevolazioni fiscali a favore di ricercatori stranieri, per i primi anni della loro permanenza.
- Interventi di finanziamento diretto alle imprese I principali strumenti di agevolazione diretta per progetti di ricerca e sviluppo delle imprese, i fondi FAR e FIT, da oltre due anni, per le Regioni del Centro-Nord, hanno ormai esaurito le risorse. Oltre all’ indispensabile rifinanziamento di tali fondi, occorre rivederne i meccanismi di funzionamento per assicurare un maggiore grado di efficienza, sia nella valutazione della qualità dei progetti, sia nei tempi di processamento delle domande. Occorre inoltre rendere effettivamente operativa la possibilità di operare attraverso piani pluriennali di finanziamento, come in altri paesi europei, superando il meccanismo dei finanziamenti annuali che comporta instabilità e tagli legati alla congiuntura economica.
Tenendo conto delle diverse finalità dei due Fondi, si propongono i seguenti interventi di modifica:- l’ accesso agli strumenti a valutazione dei fondi Far e Fit deve essere riservato ai progetti di dimensioni medio-grandi (di importo superiore ad una soglia da definire);
- uniformare la regolamentazione e le procedure, a partire dalla valutazione istruttoria, dall’ ammissibilità dei costi e dai criteri di imputazione territoriali, ora diversi;
- si considera opportuno mantenere una preselezione dei progetti, prima di procedere all’ assegnazione dell’ esperto, fornendo al Comitato Tecnico Scientifico adeguate risorse e strumentazione;
- ampliare, tra le forme di agevolazione previste, i contributi in conto interesse e le garanzie per il finanziamento bancario;
- bandi di finanziamento riservati a consorzi di piccole imprese, in collaborazione con università e centri pubblici di ricerca;
- prevedere meccanismi di attento monitoraggio relativo alla disponibilità dei fondi. In caso di esaurimento delle risorse l’ operatività di questi strumenti deve essere dichiarata sospesa. Per i progetti già approvati e privi di finanziamento dovranno prevedersi interventi adeguati per risolvere la situazione pre-esistente e entrare nel nuovo sistema di regole;
- definire e rispettare tempi certi per l’ espletamento delle pratiche di esame e valutazione delle proposte;
- unificare, ampliare e aggiornare l’ Albo degli esperti istituito presso il MIUR e presso il MAP, anche per ricomprendere discipline e competenze oggi assenti. Va prevista inoltre la possibilità che il Comitato Tecnico Scientifico possa affidare, motivando, il referaggio anche a docenti e ricercatori esterni di università e Enti Pubblici italiani e stranieri, nonché ad esperti italiani e stranieri, garantendo comunque l’ imparzialità del giudizio
- monitorare gli esiti dei progetti di ricerca, pubblici e privati, piè rilevanti, che hanno ottenuto finanziamenti, allo scopo di avviare una valutazione della capacità dei soggetti beneficiari di realizzare gli obiettivi enunciati;
- definire in modo trasparente i criteri di valutazione del CTS dei progetti di ricerca presentati sul FIT e sul FAR, indicando una soglia minima di idoneità;
- esaminare e rafforzare le procedure per il monitoraggio e la verifica dei progetti, oggi affidata ad uno stesso referee, e le condizioni per il pagamento delle diverse tranches di finanziamento;
- monitorare l’ operato dei soggetti incaricati delle istruttorie finanziarie (banche concessionarie) richiedendo uniformità di standard qualitativi del servizio e criteri comuni di valutazione;
- rendere completa ed efficiente la banca dati dei soggetti pubblici e privati che hanno ottenuto i finanziamenti, rendendone pubblico l’ accesso. Anche attraverso questo strumento va monitorato l’ impatto di tali finanziamenti in termini di tassi di innovazione;
- brevetti, produttività, competitività e occupazione.
- Interventi di finanziamento diretto alle imprese I principali strumenti di agevolazione diretta per progetti di ricerca e sviluppo delle imprese, i fondi FAR e FIT, da oltre due anni, per le Regioni del Centro-Nord, hanno ormai esaurito le risorse. Oltre all’ indispensabile rifinanziamento di tali fondi, occorre rivederne i meccanismi di funzionamento per assicurare un maggiore grado di efficienza, sia nella valutazione della qualità dei progetti, sia nei tempi di processamento delle domande. Occorre inoltre rendere effettivamente operativa la possibilità di operare attraverso piani pluriennali di finanziamento, come in altri paesi europei, superando il meccanismo dei finanziamenti annuali che comporta instabilità e tagli legati alla congiuntura economica.
RIFORMA DEL SISTEMA PUBBLICO DELLA RICERCA
La riforma del sistema universitario e degli Enti Pubblici di Ricerca deve puntare ad un potenziamento, oltre che alla razionalizzazione dell’ organizzazione, favorendo l’ elevazione complessiva del sistema dell’ alta formazione e della ricerca attraverso la circolarità delle esperienze e del personale e una piè intensa collaborazione nazionale, comunitaria ed internazionale che consenta di raggiungere un’ adeguata massa critica. Il sistema deve puntare a migliorare il patrimonio delle competenze, valorizzando le eccellenze e favorendo la crescita di giovani ricercatori. A tale proposito:
- occorre prevedere procedure che garantiscano il funzionamento del circuito programmazione-autonomia-valutazione; a tal fine è necessario che l’ Autorità politica si faccia carico di elaborare linee programmatiche credibili, confrontate con le forze sociali e con la comunità scientifica, ed adeguatamente finanziate; che la Comunità scientifica, nelle sue articolazioni, goda di effettiva autonomia; che siano elaborati criteri di valutazione della performance dei gruppi di ricerca e dei singoli ricercatori basati su standard internazionali e metodologie che garantiscano dal rischio di autoreferenzialità. Occorre favorire sia per i ricercatori degli EPR, sia per i docenti universitari una politica normativa e contrattuale che consenta di premiare in termini retributivi e di carriera sia il merito scientifico, sia l’ impegno nelle attività didattiche e istituzionali, valorizzando inoltre le attività in collaborazione con il sistema produttivo e la partecipazione a spin off;
- occorre un impegno straordinario per l’ inserimento di giovani ricercatori per recuperare il gap quantitativo che ci separa dagli altri paesi sviluppati. Ciò implica un potenziamento degli organici, che, ferma restando la necessità di garantire una selezione basata sul merito, assicuri una crescita delle risorse umane coerente con lo sviluppo scientifico e tecnologico del Paese. Tale esigenza è accentuata dal fatto che nel prossimo decennio una larga parte dell’ attuale personale di ricerca raggiungerà limiti di età, creando un vuoto generazionale irrecuperabile nel medio periodo;
- va sostenuta e incentivata la mobilità dei ricercatori dal sistema pubblico alle imprese per la realizzazione di progetti di ricerca e innovazione, attraverso misure normative e contrattuali che prevedano sia incentivi per le imprese, sia la valorizzazione delle competenze acquisite dal ricercatore in termini retributivi e di carriera;
- si ritiene indispensabile una riforma dei principali enti pubblici di ricerca che punti a: rifocalizzazione complessiva degli obiettivi; riorganizzazione dei meccanismi di funzionamento; partecipazione della Comunità scientifica; valorizzazione delle eccellenze e delle competenze; valutazione dei risultati dell’ attività di ricerca in sé, ma anche delle sue possibilità di trasferimento al sistema produttivo e dei servizi;
- le risorse aggiuntive disponibili vanno concentrate sui migliori progetti, coerenti con le scelte strategiche del Piano Nazionale della Ricerca. Ciò non deve significare riduzione dell’ autonomia scientifica dei ricercatori, condizione imprescindibile per l’ efficienza dell’ intero sistema, ma anzi permettere una ulteriore valorizzazione delle eccellenze;
- affinché sia effettivamente attuata, la riforma richiede una revisione dei sistemi di governo attualmente operanti. In particolare, è fondamentale creare uno stretto ed esplicito collegamento tra la necessaria autonomia dell’ università e degli enti pubblici di ricerca e la responsabilità nella gestione delle risorse e nella selezione delle competenze, verificata attraverso una valutazione esterna e non autoreferenziale dei risultati ottenuti, coerentemente con gli obiettivi e le regole definite in fase di programmazione.
IL LIVELLO TERRITORIALE DELLA POLITICA DELLA RICERCA E INNOVAZIONE
Le Regioni nel rispetto del nuovo ordinamento introdotto dalla riforma federalista, insieme alle Autonomie Locali, devono potenziare il loro ruolo di programmazione, di governo e di finanziamento dei processi e degli strumenti di diffusione per l’ innovazione nell’ ambito di politiche concertate per lo sviluppo locale, con particolare attenzione alle piccole e piccolissime imprese e, piè in generale, alla fertilizzazione del sistema produttivo e dei servizi. A tal fine le Regioni dovranno destinare maggiori risorse alla politica della ricerca e innovazione e prevedere processi stabili di confronto con le parti sociali.
Per il livello territoriale della politica della R&I si individuano le seguenti priorità:
- Favorire l’ emergere della domanda di innovazione, a partire dall’ analisi dei fabbisogni e delle potenzialità territoriali dei sistemi produttivi, sostenendo e incentivando i processi di aggregazione.
- Favorire la costruzione di reti regionali e territoriali per l’ innovazione tra università, enti e centri di ricerca pubblici e privati focalizzando le eccellenze e le competenze in un processo di integrazione tra territori. A questo scopo va potenziato e ristrutturato il sistema dei centri tecnologici a supporto delle imprese, anche sperimentano modelli organizzativi innovativi (es i Centri di Competenza realizzati in Campania e i costituendi Centri di Competenza Tecnologica previsti nell’ ambito del Piano Operativo Nazionale, nelle regioni del Mezzogiorno).
- Procedere alla verifica dei risultati dei progetti realizzati con contributi pubblici a cui collegare, sia per i soggetti pubblici che privati, la possibilità di presentare altri progetti.
- Sostenere la diffusione nelle università e negli EPR di azioni di promozione del trasferimento tecnologico e di azioni propedeutiche alla creazione di nuove imprese high tech. Definire azioni concrete ed innovative, in collaborazione con i privati, per l’ incentivazione degli spin-off.
- Promuovere – raccordando i soggetti del sistema formativo, del sistema di trasferimento tecnologico e le associazioni imprenditoriali – programmi dedicati alla formazione di tecnici e alla diffusione di cultura soprattutto nei sistemi di piccole imprese, per sollecitare la capacità di gestione dell’ innovazione e per ricollocare l’ impresa nel contesto nazionale e internazionale.
Sull’ insieme delle politiche delle Regioni e delle Amministrazioni locali per la costruzione di un sistema territoriale di innovazione e di ricerca, è necessario aprire il confronto con la Conferenza dei Presidenti delle Regioni, con l’ ANCI e con l’ UPI, con l’ obiettivo di pervenire ad un accordo quadro che individui obiettivi prioritari, risorse, sedi e strumenti di riferimento, in grado di creare sinergie tra i diversi livelli istituzionali e tra i territori, in coerenza con la domanda sociale di innovazione e di professionalità.
IL MEZZOGIORNO
Per quanto riguarda il Mezzogiorno, è da tenere presente che la scelta delle imprese che investono in queste aree, preferendole, ad esempio, a quelle dei paesi dell’ Est, è dovuta alle opportunità di contenuti tecnologici piè avanzati e ad alto valore aggiunto. Pertanto dovrà adottarsi una politica di riequilibrio delle risorse umane e finanziarie e di sostegno, a livello territoriale, per l’ affermazione di reti tecnologiche e di infrastrutture in grado di fertilizzare il territorio e di attrarre imprese anche ad alta e media tecnologia, favorendone l’ insediamento.
Ciò è coerente con l’ impostazione che, a partire dai Patti territoriali d’ Area, dalle politiche per i distretti e piè recentemente con i PIT, ha perseguito la costruzione e l’ adozione di strumenti che orientino, attraverso la concertazione, le scelte dei territori.
In tal senso vanno riprese e rafforzate le “Strategie Regionali per l’ Innovazione” predisposte in attuazione del disposto del Quadro Comunitario di Sostegno Obiettivo 1 2000-2006 dei fondi strutturali europei.
Per quanto riguarda gli strumenti, appaiono da preferire quelle forme di aiuto che, permettono ad un tempo efficienza amministrativa e capacità politica di orientamento delle scelte. A tale proposito, si segnala l’ esperienza (finanziata da fondi strutturali Obiettivo 1) del “Pacchetto Integrato di Agevolazioni” (PIA) che, pur se migliorabile sotto l’ aspetto gestionale, consente alle imprese, attraverso un’ unica domanda, di ottenere agevolazioni per un programma organico e completo di interventi riferito ad attività di ricerca ed innovazione tecnologica ed ai conseguenti investimenti per l’ industrializzazione dei risultati nell’ ambito di proprie unità produttive. A tali programmi possono essere collegati anche investimenti in formazione e/o servizi specialistici.
- Occorre introdurre anche in Italia misure dirette a favorire la creazione di nuove imprese nei settori a maggiore intensità tecnologica. In questa direzione, fra le possibili linee di intervento, va ripensata la politica dei Parchi scientifici e Tecnologici, la politica dei Bic e degli Incubatori.
- Va riconsiderata a questo scopo la finalizzazione delle risorse e degli strumenti gestiti da Sviluppo Italia.
- Va costruito un meccanismo pubblico-privato, che permetta alle idee piè promettenti di raggiungere un primo livello di avanzamento, indispensabile per collocarsi con successo sui mercati dei capitali di rischio.
RIVEDERE LA NORMATIVA SUI BREVETTI
- Per facilitare la collaborazione pubblico-privato è necessario rivedere la politica brevettuale recentemente adottata che trasferisce la titolarità dei brevetti dall’ ente pubblico di ricerca ai singoli ricercatori. In conseguenza di tale normativa, peraltro, le imprese stanno riducendo la collaborazione in attività di ricerca con università ed Epr, poiché non hanno la garanzia che gli eventuali brevetti ottenuti siano poi sfruttabili industrialmente.
- Occorre incentivare la ricerca pubblica a dotarsi di competenze e strutture necessarie per sfruttare in modo piè efficiente i risultati della propria attività.
- Occorre diffondere una cultura brevettale anche tra le imprese italiane, sia incentivando e sostenendo l’ attività di brevettazione, sia agevolando l’ accesso a banche brevetti e licenze a disposizione delle imprese, comprendenti anche opportunità provenienti da paesi esteri.
SVILUPPO DELLA SOCIETÀ DELL’ INFORMAZIONE
- Introdurre strumenti di supporto mirati a integrare le esigenze della domanda con la produzione di nuovi servizi ad alto valore aggiunto, ad esempio sostenendo progetti trasversali per la produzione di servizi nel campo della logistica, della gestione di infrastrutture e del territorio, della salute, dell’ ambiente, della sicurezza e della formazione, della mobilità, del supporto ai disabili.
- Adottare specifiche iniziative di sostegno delle piccole e medie imprese con aiuti all’ introduzione di nuove tecnologie, supporto alla formazione delle professionalità, facilitazione dell’ accesso al mercato della pubblica amministrazione per la fornitura di beni e servizi, supporto alla digitalizzazione dei distretti industriali.
- Accelerare e razionalizzare lo sviluppo dell’ e-governement in una logica di semplificazione e riduzione dei costi.
- Definire un piano nazionale, e le relative linee di finanziamento, per il pieno consolidamento di una Società dell’ Informazione in coerenza con quanto indicato nel piano e-Europe 2005.
PRIORITÀ DEL SEMESTRE ITALIANO DI PRESIDENZA EUROPEA
L’ obiettivo definito nel Consiglio Europeo di Barcellona, di raggiungere un livello medio di spesa complessiva, pubblica e privata, per Ricerca e Innovazione pari al 3% del Pil, deve diventare una delle priorità del prossimo semestre di Presidenza italiana dell’ Unione Europea. A questo scopo si suggeriscono alcune azioni da promuovere in sede comunitaria nei prossimi mesi:
- Sostenere un’ interpretazione del Patto di Stabilità che, fatta salva la stabilità macroeconomica, consenta di escludere la spesa pubblica per la ricerca nel calcolo dell’ indebitamento rilevante per il rispetto dei parametri concordati.
- Prevedere una diversa formulazione della regolamentazione relativa agli aiuti di stato che tenga conto delle precise esigenze delle PMI e favorisca un piè agevole accesso alla ricerca.
- Ipotizzare regimi fiscali condivisi dagli Stati membri a sostegno della ricerca, innovazione e formazione.
- Monitorare l’ effettiva partecipazione delle PMI al VI Programma Quadro ed eventualmente verificare l’ opportunità di introdurre correzioni.
POLITICHE PER LA FORMAZIONE E LA VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE UMANE
La formazione è una delle leve cardine per il rilancio di un’ efficace politica di sviluppo, dei diritti di cittadinanza e di coesione sociale, per la competitività delle imprese e per la crescita della professionalità delle persone.
La popolazione adulta italiana mostra una percentuale di diplomati crescente, anche se ancora si registra un forte gap rispetto alla media europea. Infatti solo il 42% della popolazione adulta ha un diploma di scuola secondaria, contro il 62% della Francia e del Regno Unito e l’ 81% della Germania e una media europea del 59%.
Il tasso di diploma sfiora il 70% dei 19enni. Il confronto internazionale tuttavia ci pone al disotto della media europea. La Francia ha un tasso di diploma pari all’ 81%, la Germania pari all’ 89%.
Il tasso di dispersione scolastica italiano è il piè alto d’ Europa ed è nell’ ordine del 30% nella fascia di età 14 -19 anni, mentre il tasso medio europeo è inferiore al 20% e quello tedesco è inferiore al 10%.
I piè recenti risultati della rilevazione europea sulla formazione del personale nelle imprese (Eurostat) mostrano una tendenza alla crescita della percentuale di imprese che hanno svolto formazione tra il 1993 e il 1999. Tuttavia la posizione relativa dell’ Italia (con il 23,9% di imprese con formazione e con un aumento di circa il 50% rispetto al 1993) rimane ancora arretrata rispetto agli altri partner europei.
La sintonia degli accordi tra le parti sociali con le politiche e gli orientamenti dell’ Unione Europea hanno sempre rappresentato una bussola per la definizione degli obiettivi ed i risultati da raggiungere ed ancora una volta si intende partire da queste indicazioni per il futuro.
Nel nuovo quadro politico e in una fase in cui le relazioni industriali attraversano un processo di complessa ridefinizione, il progressivo dispiegamento delle politiche dell’ U.E. sollecita Governo e Parti sociali a nuove responsabilità nel campo dell’ istruzione e della formazione.
Il Vertice di Lisbona del 23 e 24 marzo del 2000 ha posto le basi fondamentali per il rilancio dei sistemi di istruzione e formazione, indicando alcune priorità da raggiungere:
- attribuire una priorità all’ apprendimento durante tutto l’ arco della vita, in particolare per le fasce piè deboli;
- aumentare gli investimenti pro capite in risorse umane;
- elevare il livello di istruzione per tutti i giovani ed offrire un ampia gamma di opportunità formative;
- definire nuove competenze di base;
- aumentare la mobilità, anche con l’ uso di incentivi appropriati;
- migliorare l’ occupabilità dei giovani, attraverso sistemi di alternanza diffusi, e degli adulti, con il sostegno alla formazione continua.
I RISULTATI
In questi anni alcuni primi importanti risultati sono stati raggiunti, proprio grazie all’ impegno delle parti sociali ed in coerenza con la strategia comunitaria. Si possono considerare avviati:
- la qualificazione e la realizzazione di percorsi di formazione in alternanza;
- la costruzione di un sistema di formazione continua, anche attraverso la costituzione dei Fondi interprofessionali, che dovranno trovare ora una rapida fase di implementazione;
- la sperimentazione di modelli bilaterali di rilevazione sistematica dei fabbisogni formativi;
- il collegamento delle dinamiche dei processi formativi alle reali esigenze del sistema sociale e produttivo.
IL METODO
Un nuovo impulso al ruolo delle parti sociali, sia a livello nazionale che a livello locale, può favorire una piè efficace realizzazione delle riforme degli assetti normativi ed organizzativi dei sistemi di formazione.
I processi di riforma, che hanno caratterizzato gli ultimi anni, hanno avuto come obiettivi da un lato una maggiore integrazione tra le varie tipologie formative e dall’ altro il decentramento dei livelli decisionali.
L’ integrazione, rispetto alla quale resta ancora molto da fare, ha implicato un maggiore coinvolgimento del sistema sociale e produttivo nella formazione, in termini di connessione con la domanda di competenze e di partecipazione.
Di fronte a questo scenario, le parti sociali ribadiscono l’ impegno a livello centrale e ritengono necessario che i loro rappresentanti locali rafforzino i rapporti con le istituzioni, anche attraverso gli Organismi Bilaterali Regionali, in relazione all’ attribuzione alle Regioni di maggiori competenze sull’ istruzione e sulla formazione.
Gli OBR avranno inoltre il compito di coordinarsi con gli Organismi Nazionali, eventualmente costituiti a livello settoriale, anche con l’ obiettivo di dare attuazione alle iniziative di competenza di Fondimpresa, di cui gli OBR rappresentano la rete territoriale.
Le parti sociali, anche attraverso gli OBR, potranno concorrere alla realizzazione di iniziative che favoriscano la competitività delle imprese, rafforzino le competenze dei lavoratori, contribuiscano allo sviluppo dei sistemi formativi, anche attraverso l’ assistenza alle imprese e ai lavoratori che si qualificano per individuare i fabbisogni di professionalità a livello regionale, che sviluppino in un contesto territoriale i risultati delle ricerche già realizzate bilateralmente dalle parti sociali.
Sulla base del percorso sin qui compiuto, le parti sociali ritengono prioritario orientare le politiche formative e i relativi finanziamenti verso la domanda del sistema produttivo, per realizzare in Italia un sistema di formazione coerente con lo sviluppo, la competitività delle imprese e la valorizzazione delle competenze dei lavoratori. In questo quadro assumono particolare rilievo i seguenti obiettivi:
- sviluppare sedi e strumenti finalizzati all’ orientamento, per sostenere le scelte professionali e formative dei giovani e degli adulti, attraverso interventi integrati tra i sistemi formativi e i nuovi servizi per l’ impiego, individuando per questi opportuni standard di qualità, in base ai quali si instauri un piè stretto rapporto di collaborazione tra pubblico e privato;
- definire un sistema integrato, dai licei alla formazione professionale e all’ università, in grado di migliorare l’ intera gamma degli strumenti di collaborazione tra scuola, formazione e mondo del lavoro, a partire dall’ estensione del numero di qualificati e diplomati, da una migliore qualificazione della formazione nell’ apprendistato e dal potenziamento di forme di alternanza studio-lavoro;
- rispondere alla domanda di professionalità delle imprese e dei lavoratori anche con l’ obiettivo di far emergere e potenziare le forme di “apprendimento informale”;
- rafforzare l’ area tecnico-professionale del sistema formativo, per rispondere alle nuove domande professionali delle imprese e dei giovani;
- portare a regime la formazione tecnica superiore, mantenendo lo stretto legame con i fabbisogni formativi delle imprese e dei lavoratori;
- promuovere l’ integrazione tra scuola, università, formazione e lavoro nella formazione permanente, utilizzando anche gli strumenti contrattuali e normativi esistenti (150 ore, congedi formativi individuali ex lege 53/2000 ecc.), per il raggiungimento di qualifiche professionali riconosciute;
- individuare, attraverso un confronto con le istituzioni (Ministeri e Regioni) criteri coerenti di utilizzazione delle diverse indagini sui fabbisogni professionali e formativi realizzate dalle parti sociali e da altri soggetti istituzionali;
- promuovere un confronto con Governo e Regioni per favorire un allargamento e un utilizzo strategico delle risorse per la formazione continua (FSE, Leggi nazionali e regionali), nel cui ambito potranno operare con maggiore efficacia anche gli interventi promossi da Fondimpresa. In questo quadro dovranno essere promossi e favoriti adeguati interventi formativi a sostegno delle fasce deboli, dei lavoratori coinvolti in processi di mobilità, dei lavoratori ultraquarantacinquenni, con particolare attenzione al rafforzamento delle pari opportunità uomo-donna e alle problematiche connesse a salute e sicurezza nei posti di lavoro;
- realizzare un sistema efficace e flessibile, nazionale e decentrato di accreditamento delle strutture formative, di definizione degli standard e di certificazione delle competenze delle persone, a partire dal documento redatto dal tavolo tecnico Regioni – Parti Sociali;
- utilizzare la prossima scadenza (2004) della riprogrammazione del Fondo Sociale Europeo per attivare efficaci strumenti che permettano alle parti sociali di conoscere e valutare in tempo reale l’ effettivo andamento qualitativo e quantitativo dell’ utilizzo dei finanziamenti europei e per semplificare drasticamente le procedure di accesso ai finanziamenti regionali, nazionali e comunitari, ampliando e qualificando le misure finalizzate alla formazione e alle politiche attive del lavoro, anche attraverso la riorganizzazione delle sedi della concertazione territoriale in modo snello ed efficace;
- attivare un tavolo bilaterale per affrontare le implicazioni del presente documento sulle materie strettamente attinenti ai rapporti tra le parti sociali, a partire dalla promozione di un’ iniziativa pubblica sul dialogo sociale in merito ai temi della formazione, nell’ ambito del semestre italiano di presidenza dell’ UE, e dalla costituzione di un gruppo tecnico bilaterale per la costruzione di un “Thesaurus” delle definizioni dei piè importanti concetti della formazione, che si ritrovano in tutte le riforme in atto e che potranno valere in tutte le sedi del dialogo sociale.
L’ ITALIA AL 2010
Le parti sociali chiedono alla Conferenza Stato Regioni, al Parlamento e al Governo di adottare un documento di prevalente interesse nazionale sull’ impegno dell’ Italia per il conseguimento degli obiettivi previsti dal Vertice di Lisbona del 2000, prevedendo il raggiungimento entro il 2010 di almeno i seguenti obiettivi, che le parti sociali fanno propri e si impegnano a verificare periodicamente secondo scadenze concordate:
- L’ 85% dei giovani di 20 anni dovrà conseguire un diploma di istruzione o formazione o una qualifica professionale.
- Il tasso di partecipazione degli adulti all’ istruzione e alla formazione dovrà aumentare del 30%.
- Il numero di aziende italiane che dedicano un preciso investimento (in termini di costi diretti e indiretti) alla formazione dovrà crescere del 30%.
- Il tasso di abbandono scolastico nella fascia di età 14-19 anni dovrà essere dimezzato.
Inoltre devono essere fissati obiettivi nazionali per: - Aumento pro capite degli investimenti pubblici e privati nelle risorse umane.
- Aumento del numero di studenti che frequentano corsi di istruzione e formazione professionale.
- Aumento del numero di studenti che frequentano corsi di istruzione e formazione tecnica superiore.
- Aumento del numero di diplomati e qualificati.
- Aumento del numero di laureati.
- Aumento del numero di adulti che frequentano corsi EDA.
- Aumento del numero degli occupati in formazione continua.
Per il conseguimento di questi obiettivi risulta essenziale il rafforzamento delle infrastrutture formative del Mezzogiorno e la diffusione di esperienze di alternanza scuola-lavoro.
Le parti sociali chiedono alla Conferenza Stato-Regioni, al Parlamento e al Governo di definire con rigore gli obiettivi nazionali, che l’ Italia intende perseguire, per migliorare la competitività del sistema formativo e rafforzare l’ inclusione sociale.
Si impegnano a realizzare un monitoraggio annuale sull’ effettivo, progressivo raggiungimento di tali obiettivi da considerare come parte integrante di un complessivo “piano di rientro” verso gli standard europei nel campo della formazione, da cui attualmente il nostro paese è lontano.
Ritengono irrinunciabile il confronto con il Governo per l’ attuazione delle leggi di riforma in atto.
Richiedono che nell’ ambito dell’ utilizzo del Fondo Sociale Europeo vengano premiate non solo le Regioni che dimostrano maggiore capacità di spesa, ma anche le Regioni che perseguono gli obiettivi fissati.
Chiedono, infine, che nel D.P.E.F. vengano indicate risorse adeguate al progressivo conseguimento degli obiettivi di miglioramento dei risultati del sistema formativo, compreso uno specifico riferimento all’ esigenza di trasferire l’ intero ammontare delle risorse dello 0,30% ai fondi interprofessionali per la formazione continua.
POLITICHE PER LE INFRASTRUTTURE E LA COMPETITIVITA’ TERRITORIALE
Il presente documento si propone, attraverso il metodo del confronto e dell’ esame congiunto dei diversi temi fra le parti sociali, di giungere a proposte condivise, da sottoporre ai diversi livelli istituzionali per le opportune azioni di programmazione e di carattere legislativo.
OBIETTIVI
Competitività e infrastrutture: la necessità di una politica di rilancio
L’ attuale fase recessiva e le sue incerte prospettive stanno facendo emergere in misura ancor piè evidente i rilevanti problemi di competitività di cui soffre da tempo il nostro Paese e, in particolare, il Mezzogiorno.
Nell’ ambito dei vari fattori (Ricerca e sviluppo, politica fiscale, mercato del lavoro, capitale umano, investimenti produttivi) necessari per offrire alle imprese ed all’ insieme del sistema paese le necessarie opportunità indotte dallo sviluppo della concorrenza su mercati in profonda trasformazione , le infrastrutture rappresentano una variabile determinante per la competitività di stati, regioni ed imprese.
Il rilancio infrastrutturale, come elemento fondamentale dello sviluppo e della competitività è stato ripetutamente richiesto dalle parti economiche e sociali. Il Governo, pur assumendo questo problema, ha attuato alcuni interventi programmatori e legislativi che necessitano di una verifica delle parti sociali e l’ adozione degli opportuni correttivi.
Le finalità di una nuova politica di infrastrutturazione del nostro paese possono essere così sintetizzate:
- Fabbisogni infrastrutturali
Già attualmente il nostro paese soffre mediamente di una notevole perifericità rispetto alle principali polarità economiche europee. Anche le regioni piè sviluppate del Nord Italia si trovano in una situazione intermedia tra perifericità e accessibilità, mentre le regioni del Centro e, soprattutto quelle del Sud soffrono di una vera e propria marginalità territoriale.
Il processo di allargamento ad Est rischia di peggiorare questa situazione rafforzando l’ asse Est- Ovest al di sopra delle Alpi. D’ altronde, per evitare l’ esclusione dell’ area mediterranea, occorre rivolgere la massima attenzione alla costituzione, nel 2010, dell’ area di libero scambio euro-mediterranea.
Per l’ Italia è indispensabile ridimensionare l’ impatto degli ostacoli naturali agli scambi (catene montuose, mare, estensione allungata del territorio) attraverso una politica articolata di programmazione che sfrutti tutte le opportunità, attuali e future, soprattutto a livello comunitario, nel quadro dei principi della libera circolazione delle merci e delle persone, nonché della coesione socio economica territoriale e della sostenibilità ambientale.
È in questo quadro che debbono essere confermate le priorità di collegamento trans-europeo (Corridoi V e VIII), di infrastrutturazione dei TEN prioritari (Alta Velocità Lione-Torino-Milano- Verona-Venezia-Trieste; collegamento ferroviario Verona-Brennero-Monaco, con estensione dell’ alta velocità Milano-Bologna-Verona e Bologna-Napoli), attualmente in corso di esame da parte della UE.
Parimenti, in una logica di stretta integrazione vanno avviati alla realizzazione, come progetti nazionali di interesse europeo, i collegamenti Genova-Asse Torino-Trieste, il Passante di Mestre; il completamento “sistemico” in termini di autostrade, ferrovie e porti delle dorsali Tirrenica e Adriatica; le Autostrade del mare. Queste opere, come è noto, determinerebbero anche un significativo riequilibrio infrastrutturale dell’ Italia nei confronti dell’ Europa e al suo interno, tra Nord e Sud ed Est e Ovest del Paese.
Si tratta di grandi infrastrutture che interessano soprattutto il nostro Paese e, per questo, l’ impegno del Governo e delle istituzioni interessate deve essere assolutamente prioritario e definito mediante un calendario preciso di scadenze per le progettazioni, gli affidamenti dei lavori, l’ apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere e l’ entrata in funzione. In questo ambito occorre utilizzare ampiamente l’ opportunità che sarà offerta dal semestre di presidenza italiana dell’ U.E. - La competitività di sistema
Il “Sistema Italia” potrà accrescere la propria capacità di sviluppo, la propria competitività, la qualità della vita dei suoi cittadini, se riuscirà anche a colmare i ritardi nella propria dotazione complessiva di reti ed infrastrutture.
Il quadro di riferimento della politica infrastrutturale nazionale deve essere orientato verso l’ Europa e l’ area euromediterranea sia in riferimento alla qualità e quantità delle infrastrutture disponibili, sia in riferimento ai servizi offerti all’ utenza (imprese e cittadini), sia in riferimento alle politiche settoriali ed alle strategie adottate. In questo quadro vanno individuate politiche dei trasporti mirate a sviluppare i collegamenti marittimi e la rete ferroviaria e a fluidificare la mobilità all’ interno dei grandi nodi urbani. A tal fine è necessario il riequilibrio delle risorse complessive incluse quelle provenienti dal capitale privato.
L’ individuazione dei fabbisogni infrastrutturali deve integrare tre profili fondamentali: l’ offerta, la domanda e l’ efficacia, intesa in relazione sia all’ aumento della competitività del sistema produttivo sia alla crescita degli standard di vita dei cittadini.
I ritardi piè importanti da colmare riguardano il Mezzogiorno su diversi settori di base (risorse idriche, trasporti ed energia) che presentano notevoli carenze di infrastrutturazione e di capacità di servizio (stato di efficienza delle reti, cadute e limitazioni di erogazioni etc.). Per il complesso del paese sono individuabili particolari carenze per l’ energia e per le telecomunicazioni.
Per questo sono indispensabili interventi finalizzati a rafforzare le infrastrutture di base, in particolare energia, risorse idriche, reti di comunicazione elettronica a banda larga.
Si rilevano quindi indispensabili interventi finalizzati a:- l’ attuazione organica dei sistemi idrici, soprattutto nel Mezzogiorno (reti, approvvigionamento, distribuzione riduzione degli sprechi, trattamento);
- il potenziamento e l’ ammodernamento delle reti energetiche e la riduzione dei costi energetici (reti di trasporto interno e interconnessioni con l’ estero, capacità di generazione e di importazione, fonti alternative, efficienza e risparmio);
- lo sviluppo delle reti innovative di comunicazione elettronica (reti fisse a banda larga, reti mobili UMTS, wireless e reti radiotelevisive digitali).
ASSETTO ISTITUZIONALE E GIURIUDICO AMMINISTRATIVO
Per il successo di una efficace politica di infrastrutturazione materiale ed immateriale del Paese risulta fondamentale una adeguata opera di contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata e di rafforzamento delle condizioni di legalità e di sicurezza nelle quali si sviluppano le attività economiche e la vita dei cittadini.
A tale proposito, al di là del rafforzamento dell’ attività investigativa e di contrasto sul territorio, appare utile il rafforzamento di una piè diretta partecipazione delle parti socio economiche nell’ accompagnamento degli investimenti, attraverso la sperimentazione di specifici Protocolli di Legalità capaci di migliorare, con il concorso di tutti gli attori interessati, le varie attività di contrasto.
Particolare importanza assume inoltre la previsione di risorse pubbliche ordinarie da dedicare specificamente a questo tema, risorse che devono sommarsi a quelle riservate per il Mezzogiorno nell’ ambito del PON Sicurezza per lo sviluppo dei fondi strutturali europei.
Le parti economiche e sociali sottolineano, inoltre, l’ importanza della diffusione ed estensione in tutte le province dello sportello unico e del documento unico di regolarità contributiva, rilasciato congiuntamente da INPS e INAIL. Così come stabilisce l’ art. 2 della legge 266/2002, tale diffusione deve realizzarsi entro l’ anno, attraverso la stipulazione di convenzioni nazionali; in particolare per il settore edile tale convenzione dovrà essere stipulata con il sistema nazionale delle Casse Edili.
QUESTIONE DELLA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
La politica delle infrastrutture ha conosciuto cambiamenti rilevanti – nel suo assetto istituzionale – in particolare con la riforma del Titolo V della Costituzione Italiana. In questo ambito sono emerse criticità – nella realizzazione delle opere infrastrutturali sovra-regionali – riguardo alle competenze e al quadro normativo.
CGIL, CISL, UIL e Confindustria sottolineano, quindi, l’ importanza della definizione di principi di legislazione in grado di ridefinire l’ attuale impostazione. Essi dovrebbero evitare i rischi di blocchi derivanti da reciproche interdizioni, in via legislativa e amministrativa, tra Stato e Regioni e favorire il soddisfacimento di fondamentali esigenze di unitarietà e di coesione.
POLITICHE DI PROGRAMMAZIONE SETTORIALE
La crescita di dotazioni infrastrutturali del paese dovrà, proprio al fine di soddisfare il profilo dell’ efficacia, essere intrecciata con una programmazione settoriale di lungo periodo contrassegnata da principi di sostenibilità ambientale.
Alcuni elementi critici dell’ attuale funzionamento delle reti e delle infrastrutture non sono risolvibili unicamente aumentando la stessa dotazione infrastrutturale, ma anche intervenendo, con politiche appropriate, nei singoli settori di attività che utilizzano reti ed infrastrutture.
Non è utile, quindi, incoraggiare la saturazione delle strade e delle autostrade, ma al contrario vanno attuate politiche di liberalizzazione e riorganizzazione del settore dell’ autotrasporto (come previsto dal Protocollo sottoscritto il 5 settembre 2002 dalle principali rappresentanze degli autotrasportatori e dal Governo), della logistica, della distribuzione urbana e del rapporto tra ciclo produttivo e territorio.
È in questa logica che va collocata l’ individuazione delle priorità di intervento nei vari settori – oltre quelli prima specificati – del trasporto, nell’ ambito delle linee fissate dal PGT.
POLITICHE DEL SETTORE ENERGETICO
Le scelte di politica energetica sono assolutamente determinanti per la capacità competitiva del Sistema Paese e la qualità della vita. Gli squilibri rilevabili sia a livello complessivo che territoriale, della produzione, del trasporto, dei consumi e dell’ impatto ambientale vanno affrontati con una strategia necessariamente complessa e articolata, che non escluda “a priori” nessuna opportunità di azione, ma che ne valuti attentamente i vantaggi, i costi e le compatibilità per la collettività, le imprese e il Paese, nel suo insieme e a livello territoriale.
Per queste ragioni, le parti economiche e sociali chiedono un serio approfondimento sulle priorità da assumere e le azioni da intraprendere, mediante la costituzione, entro tempi brevi, di un tavolo di concertazione, per definire una strategia condivisa, in grado di intervenire sull’ evoluzione della domanda e dell’ offerta di energia, incoraggiando l’ innovazione, valorizzando le capacità nazionali di ricerca, favorendo lo sviluppo di un mercato dei prodotti a crescente qualità ambientale.
I temi sui quali si propone di procedere ad un approfondimento congiunto, sulle priorità e sulle azioni da intraprendere nel prossimo triennio, riguardano:
- efficienza e risparmio energetico;
- sviluppo delle fonti alternative e obiettivi di Kyoto;
- diversificazione delle fonti, produzione e importazione;
- politiche fiscali, tariffarie e di incentivazione;
- sistema energetico nazionale, centrali di produzione e reti di trasporto;
- ruolo delle Authority (certezza del quadro regolatorio) e struttura del mercato.
POLITICHE DELLE TELECOMUNICAZIONI
Una sua specificità presenta poi il tema della infrastrutture di comunicazione elettronica, poiché questo settore è in fase avanzata di liberalizzazione, ma è anche investito da una seria crisi, seguita al periodo di euforia “dotcom”. L’ assenza di una politica infrastrutturale in questo settore non si rivela tanto nella crisi degli operatori di servizi, che pur coinvolge quelli meno solidi, ma soprattutto nella situazione di crisi che sta travolgendo le aziende manifatturiere nel nostro paese, con riflessi negativi importanti anche sull’ attività di ricerca e sviluppo (che molti attori europei – ad es.: Siemens, Alcatel – hanno in Italia e stanno pensando di riaccentrare nei paesi di origine).
È verosimile ritenere che nell’ arco di qualche anno il mercato mondiale delle TLC sia in grado di recuperare tassi di sviluppo significativi, ma il “governo” dello sviluppo sarà appannaggio dei Paesi che avranno saputo salvaguardare le capacità di Ricerca e di Progettazione. Analoga prospettiva è ipotizzabile per le attività di produzione o integrazione di tecnologie, con le conseguenti ricadute in materia di occupazione, in particolare su quella piè qualificata.
La maggiore diffusione delle infrastrutture di TLC ed il loro miglioramento qualitativo, che attualmente si sostanzia in diffusione dei sistemi di accesso a Larga Banda, sono condizioni indispensabili per il miglioramento del livello di competitività del sistema paese; il grado di sviluppo e di attrattività di un paese dipende anche da questo fattore, che è lo strumento fondamentale per ridurre, anche all’ interno del paese, il “digital divide”.
Se non si saranno preservate le capacità di R&D, di progettazione di industrializzazione, l’ Italia diverrà un’ area di domanda nei confronti di produttori e detentori di tecnologie all’ estero.
Il problema assume però tratti del tutto peculiari rispetto a quello che riguarda gli altri settori infrastrutturali citati, poiché in questo caso le decisioni e i capitali degli investimenti sono di pertinenza del settore privato e l’ assetto normativo ha già sperimentato le misure di liberalizzazione: è dunque necessario elaborare delle linee di politica industriale di sviluppo che tengano conto di queste caratteristiche e delle indicazioni della Comunità Europea al riguardo.
Per il consolidamento e lo sviluppo del settore vanno individuati i seguenti obiettivi e priorità su cui concentrare l’ attenzione in Italia:
- dare certezze e fiducia alle imprese del settore, operatori o produttori di tecnologie che siano, cogliendo l’ occasione dell’ armonizzazione delle regolamentazioni nazionali con l’ insieme delle direttive U.E. per varare un nuovo codice delle comunicazioni. Esso dovrà favorire l’ investimento industriale e di rete di tutti gli operatori e realizzare la concorrenza anche tra infrastrutture e non solo tra operatori di servizi e contenuti;
- riesaminare a fondo il finanziamento della ricerca applicata nell’ ICT per una sua maggiore efficacia;
- facilitare la cablatura dei centri urbani e delle aree maggiormente periferiche;
- sviluppare i contenuti digitali e multimediali nei pubblici servizi on-line;
- stimolare la domanda di infrastrutture, applicazioni e servizi di larga banda, incluse le applicazioni di e-Government;
- verificare gli obiettivi fissati per l’ attuazione della DTV (digitale terrestre), avviare e sostenere il processo di passaggio al DAB (digital broadcasting);
- il sostegno agli investimenti in ICT.
REGOLE E MERCATI
In Europa il processo di integrazione si basa sulla carta dei diritti, sullo sviluppo della concorrenza e sulla regolamentazione dei mercati in grado di offrire servizi efficienti a costi sempre piè favorevoli all’ utenza. È in questo contesto che i diversi settori di infrastrutturazione e gli operatori all’ interno di ciascuno di essi devono agire.
La liberalizzazione dei mercati deve, quindi, svilupparsi sulla base di regole precise e trasparenti, che escludano fenomeni di “dumping” sociale ed economico, sia all’ interno sia all’ esterno del Paese.
Nell’ ambito del processo di liberalizzazione e di integrazione dei mercati si deve tuttavia considerare che, per quelle infrastrutture individuate come monopoli naturali, vanno definite precise regole di accesso.
In altri casi i servizi offerti hanno la caratteristica di servizio universale o sociale per cui l’ apertura al mercato deve necessariamente tenere conto dell’ esistenza di obblighi di servizio pubblico.
DISCIPLINA DELLA LIBERALIZZAZIONE E REGOLAZIONE DI SETTORE
La grande articolazione dei servizi offerti e la diversa tipologia esistente di infrastrutture e di reti, rendono necessario proseguire una politica che disciplini la liberalizzazione del mercato.
Le politiche di regolazione della concorrenza debbono attuarsi nell’ ambito di specifiche politiche industriali. Esse dovranno essere realizzate attraverso:
- il superamento della frammentazione delle gestioni;
- la definizione di standard qualitativi uniformi e di costi trasparenti;
- il mantenimento della proprietà pubblica di reti e infrastrutture motivata da obiettivi di efficacia, sicurezza e tutela del servizio universale;
- la separazione del governo dei servizi dalla loro gestione;
- la fine degli affidamenti diretti senza tempo, attraverso la definizione di un periodo transitorio di non elevata durata;
- la scelta della gara come mezzo esclusivo di affidamento della gestione operativa dei servizi;
- la definizione di incentivi per lo sviluppo di un mercato concorrenziale.
Pertanto, è necessario continuare a prevedere l’ esistenza di funzioni autoritative di supervisione e controllo (authority) preservandone il loro carattere di autorità indipendenti, in grado di tutelare l’ utenza e sanzionare eventuali comportamenti abusivi nonché assicurare una concorrenza regolata fra le imprese.
I processi di privatizzazione, laddove si rendessero opportuni, dovranno essere finalizzati a piani industriali che garantiscano lo sviluppo e la crescita dell’ attività in questione ed un verificabile miglioramento della gestione del servizio offerto e della sua qualità. UNA POLITICA DELLE RISORSE
Altro aspetto problematico è quello riguardante le risorse finanziarie, fondamentale per un effettivo rilancio infrastrutturale.
Sulle risorse pubbliche ordinarie, dopo la sensibile contrazione verificatasi negli anni 1992-93, è stato avviato un lento recupero dei livelli di finanziamenti pubblici, ma che si è bruscamente interrotto nel 2001. Nel 2002, con l’ avvio del Programma delle Grandi opere, non si è verificato un significativo incremento; le risorse si sono complessivamente stabilizzate sui livelli già conseguiti, ma dovendo far fronte alle esigenze ordinarie e a quelle straordinarie dal programma della legge-obiettivo. Anche con la finanziaria 2003, questo schema non è stato sostanzialmente modificato, ma l’ avvio di importanti opere del programma straordinario rischia di erodere ulteriormente la quota di risorse da destinare agli interventi ordinari, che restano rilevanti, anche perché necessari a costruire un quadro coerente di infrastrutturazione complessiva del paese che si compone di grandi opere, ma anche di opere di minore dimensione.
In questo quadro le parti sociali chiedono:
- una sostanziale ripresa del trend crescente del volume complessivo di risorse;
- l’ utilizzo prioritario delle risorse esistenti per il completamento delle opere per le quali i cantieri sono già aperti;
- che una parte delle risorse sia vincolata a lavori di gestione e manutenzione delle strutture esistenti.
Dal punto di vista finanziario, condizione ineludibile di efficienza è la integrazione delle fonti finanziarie, tenendo conto dell’ apporto delle risorse nazionali, di quelle dei grandi Enti di Spesa, delle risorse comunitarie e delle risorse dei privati.
Solo una vera integrazione finanziaria è in grado infatti di garantire il rispetto degli impegni nazionali sulla addizionalità, di conseguire una vera aggiuntività della spesa e di conseguire l’ obiettivo di crescita degli investimenti pubblici, a partire da quelli nelle aree in ritardo di sviluppo: il D.P.E.F. 2002 fissava infatti l’ impegno a portare al 45 % la quota destinata al Mezzogiorno di spesa in conto capitale nel periodo 2002-2008, di cui almeno il 30% “ordinaria” (includendo, fra gli altri, Ferrovie dello Stato, ANAS e gli altri enti preposti alla realizzazione delle infrastrutture).
Diventa perciò fondamentale realizzare una vera integrazione delle fonti finanziarie, sia in fase di programmazione che in fase di spesa, che può essere garantita solo da un monitoraggio “attivo” da realizzare con il concorso delle parti socio economiche, che dovrà essere in grado di destinare territorialmente le risorse liberate dai progetti “volano” e di orientare anche la riprogrammazione di metà percorso dei fondi strutturali per il Mezzogiorno.
A tale proposito, due dovranno essere i criteri guida, da definire col contributo della concertazione socio economica, che dovranno guidare sia il percorso di valutazione delle misure che la successiva selezione progettuale: l’ efficacia e la fattibilità progettuale, tecnica e finanziaria.
Particolarmente importante è, inoltre, l’ attivazione di un monitoraggio che coinvolga realmente le parti economiche e sociali, finalizzato alla verifica delle realizzazioni.
E’ evidente, tuttavia, che il ragionamento sull’ aspetto finanziario riporta tutta la questione su una pre-condizione imprescindibile: la garanzia di stanziamenti in conto capitale coerenti nel tempo, individuati annualmente nel D.P.E.F.. L’ individuazione di un pilastro pubblico (in cui le risorse straordinarie siano aggiuntive rispetto a quelle ordinarie) è, infatti, l’ unica condizione per l’ utilizzo virtuoso della finanza comunitaria e per l’ attivazione del capitale privato.
A tal fine, è essenziale affrontare il problema del finanziamento pubblico delle infrastrutture, come i TEN, a cui vanno necessariamente aggregati i grandi progetti nazionali di interesse europeo. È ampiamente dimostrato che, finora, la maggior parte dei TEN non sono stati realizzati per la mancanza di finanziamenti pubblici, che, soprattutto nelle regioni periferiche e in ritardo di sviluppo, sono assolutamente decisivi. Una interpretazione piè flessibile del patto di stabilità, nel rispetto di principi condivisi e del ruolo delle Istituzioni Comunitarie, in modo da permettere di riservare un trattamento particolare alle spese per investimenti nelle grandi infrastrutture di interesse europeo nel calcolo dei deficit nazionali, è una questione che deve essere assolutamente posta all’ attenzione della Commissione e degli altri Stati membri.
Le parti economiche e sociali ravvisano, infine, l’ esigenza di un tavolo per uno specifico monitoraggio della cantierazione delle opere e dei flussi di finanziamento riguardanti le SpA pubbliche presenti nel settore, a livello finanziario (Patrimonio e Infrastrutture) e operativo (ANAS, FS, …).
POLITICHE PER IL MEZZOGIORNO LO SCENARIO
CGIL, CISL, UIL e Confindustria intendono con questo documento condividere alcune prime soluzioni operative rispetto alle risorse e agli strumenti per la promozione e l’ attrazione degli investimenti nel Mezzogiorno.
Gli obiettivi del Consiglio Europeo di Lisbona, che prevedono di accrescere il tasso di occupazione in Europa ad una percentuale che si avvicini il piè possibile al 70% entro il 2010, continuano ad essere non solo condivisi, ma anche qualitativamente validi e politicamente perseguibili soprattutto ad una condizione: che ciò si verifichi nelle Regioni meridionali, con l’ obiettivo di puntare ad un tasso di occupazione del 60% entro il 2008.
Il Mezzogiorno, infatti, ha avviato in questi ultimi anni un percorso virtuoso, ma troppo lento, di convergenza verso le aree piè sviluppate d’ Italia e d’ Europa. Questo percorso è ormai in fase di visibile rallentamento e rischia oggi di essere bloccato sia dalla mancata soluzione di storici ritardi di tipo strutturale, sia dalle difficoltà – interne e internazionali, che stanno mettendo in crisi intere filiere produttive e interi territori.
Risulta perciò fondamentale operare da subito una decisa sterzata in grado di funzionare in senso anticongiunturale e di lavorare sul lungo periodo per riavviare il processo di chiusura del divario con il resto del Paese, sterzata senza la quale gli obiettivi di Lisbona sono a rischio.
Due scadenze rappresentano l’ orizzonte strategico a cui fare riferimento.
Da un lato il processo di allargamento dell’ Unione metterà il Mezzogiorno di fronte alla competizione con nuove Regioni in ritardo di sviluppo, con nuove povertà, nuovi squilibri, e con la necessità di ridistribuire le risorse dei fondi strutturali del prossimo ciclo di programmazione in un numero piè alto di Regioni.
In una Europa a 25, 116 milioni di abitanti (cioè il 25% della popolazione) vivranno in Regioni dove il PIL pro capite sarà inferiore al 75% della media comunitaria (contro 68 milioni, cioè il 18% del totale, nell’ Unione attuale).
La seconda scadenza è la creazione nel 2010 di un’ area di libero scambio euromediterranea che potrà costituire una grande opportunità di sviluppo per l’ Italia ed in particolare per l’ economia del Mezzogiorno.
Rispetto all’ una e all’ altra scadenza sarà perciò fondamentale impostare correttamente il negoziato sul futuro ciclo di programmazione dei fondi strutturali europei: come indicato dal memorandum italiano sul futuro della politica di coesione, coerenza tra politica di coesione e altre politiche comunitarie, priorità rafforzata per l’ Obiettivo 1, adeguata salvaguardia (mediante sostegno transitorio rafforzato) delle Regioni non piè ammissibili, competitività e sostenibilità da porre al centro dell’ intervento nelle aree non arretrate, semplificazione dei programmi e delle procedure, rafforzamento del partenariato economico e sociale ne dovranno essere i criteri guida.
Accanto a questo, in previsione della creazione dello spazio euromediterraneo, dovranno essere previsti programmi di cooperazione simili ai programmi di preadesione adottati in vista dell’ adesione dei paesi PECO, con adeguata dotazione finanziaria. Le linee guida per posizionare il nostro Mezzogiorno in vista della creazione dell’ area di libero scambio dovranno essere:
- la promozione di gemellaggi istituzionali e socio economici capaci di orientare i paesi della sponda sud alle norme e agli standard dell’ Unione Europea, e gli investimenti relativi alla coesione economica e sociale;
- la promozione dell’ orientamento dell’ industria e delle infrastrutture di base dei paesi della sponda sud alle norme comunitarie mobilitando gli investimenti necessari, principalmente nei settori dell’ ambiente, dei trasporti, dell’ industria, della qualità dei prodotti, delle condizioni di lavoro;
- il miglioramento dei collegamenti marittimi, aerei e, in generale, di rete, tra il Mezzogiorno e i Paesi del Mediterraneo;
- il rafforzamento degli scambi formativi/culturali tra le Università meridionali e quelle dei Paesi mediterranei;
- il potenziamento delle occasioni di scambio tra imprese (partenariati, fiere, ecc.)
I TEMPI
Il periodo a disposizione per raggiungere i risultati occupazionali dichiarati non è dunque molto ampio: il processo che deve chiudere il divario deve essere già ben avviato alla fine dell’ attuale ciclo di programmazione dei fondi strutturali, attraverso una spesa per investimenti nel Mezzogiorno costantemente al di sopra del 45% della spesa totale nei prossimi anni, diversamente da quanto è stato fatto finora.
Va dunque assolutamente rafforzata la priorità che lo sviluppo del Mezzogiorno assume nella politica economica del Paese: a tale scopo, importanza strategica assume la definizione del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria, che dovrà stabilmente indicare il percorso per la chiusura del divario.
A tal fine, è fondamentale garantire la certezza dei finanziamenti per gli investimenti al Sud, a partire dal prossimo D.P.E.F. che dovrà assicurare la costanza dei finanziamenti per le aree depresse e per il cofinanziamento dei fondi strutturali per il triennio 2004-2006 (recuperando in particolare un adeguato finanziamento per il 2004), ivi inclusa la riallocazione a tali obiettivi dei fondi eventualmente non spesi nel 2003.
LE PRIORITÀ
Ciò che rimane inalterato è il divario infrastrutturale e di servizi pubblici tra Mezzogiorno e resto del Paese: acqua, elettricità, servizi ed infrastrutture di trasporto continuano a rimanere i principali indicatori di ritardo e tra i maggiori ostacoli agli investimenti dei privati.
Per tale motivo, la modernizzazione delle infrastrutture è assolutamente prioritaria per rendere il Mezzogiorno area capace di creare e di attrarre investimenti.
I TEN di interesse nazionale di collegamento ai corridoi 5 e 8 devono, dunque, essere confermati e realizzati, così come vanno realizzate le dorsali adriatica e tirrenica di collegamento e le autostrade del mare.
In particolare, è necessario rafforzare l’ integrazione delle diverse fonti finanziarie a disposizione (risorse ordinarie nazionali e regionali, risorse per le aree depresse, fondi strutturali comunitari), individuando le priorità su cui concentrare le risorse.
Alcuni progetti di grande respiro appaiono sin d’ ora prioritari:
- reti idriche ed energetiche;
- assi e dorsali autostradali e ferroviari;
- nodi intermodali di servizio delle reti;
- reti per la trasmissione dati a banda larga e ad alta tecnologia nelle aree in ritardo di sviluppo maggiormente periferiche
Si tratta di progetti da avviare con le risorse ordinarie e con la riprogrammazione dei fondi comunitari, e che ci si impegna già da ora a finanziare anche con il prossimo ciclo di programmazione 2007-2013. È fondamentale assicurare con il concorso delle parti sociali il monitoraggio attivo degli investimenti infrastrutturali in corso e della relativa fonte di finanziamento, dando assoluta priorità agli interventi dotati di progettazione esecutiva.
PROMUOVERE GLI INVESTIMENTI IMMATERIALI
Il tema della valorizzazione del capitale umano rappresenta un aspetto centrale nella strategia di sviluppo del Mezzogiorno. Ciò significa anche rafforzare qualitativamente l’ offerta di formazione, soprattutto attraverso una razionalizzazione delle spese -e quindi un migliore utilizzo del FSE, che deve essere legato maggiormente ai processi di sviluppo, anche attraverso la predisposizione di “Patti formativi”, per dare organicità e obiettivi credibili e concertati sia sul terreno della formazione continua che in generale della predisposizione dei piani di finalizzazione al lavoro.
Fondamentale è il ruolo della formazione continua che deve diventare lo snodo essenziale dell’ offerta formativa a sostegno dell’ occupazione, per migliorare le competenze del lavoro ed il coinvolgimento dei lavoratori negli obiettivi aziendali. In questa direzione vanno velocemente avviati i Fondi Interprofessionali per la formazione continua, come grande occasione per aderire alle necessità sia delle imprese sia dei lavoratori. Ambiti significativi di intervento sono inoltre: un’ offerta formativa piè orientata ai fabbisogni di professionalità espressi dalle imprese; la promozione dell’ alternanza scuola-lavoro insieme all’ inserimento della pratica dello stage nei percorsi scolastici e formativi.
Azioni specifiche vanno indirizzate alla integrazione dell’ attività di ricerca e innovazione effettuata dal sistema imprenditoriale nel Mezzogiorno con la ricerca pubblica. Occorrono azioni dirette alla selezione e al rafforzamento delle eccellenze nella ricerca pubblica (con la creazione di centri di competenza a rete su tutto il territorio del Mezzogiorno); va potenziata la presenza di centri di servizio tecnologici (collegati con i sistemi produttivi locali) in grado di affiancare le imprese, soprattutto PMI, nella realizzazione di processi di R&S; va, infine, incrementata l’ offerta di servizi reali per il trasferimento tecnologico.
A proposito del sostegno alle PMI per progetti di investimento integrati con la formazione e l’ innovazione, si segnala l’ esperienza del “Pacchetto Integrato di Agevolazioni” (PIA) che consente alle imprese, attraverso un’ unica domanda, di ottenere agevolazioni per un programma organico e completo di interventi riferito sia ad attività di formazione, sia ad attività di ricerca ed innovazione tecnologica.
MIGLIORARE IL CONTESTO
E’ piè che mai necessario puntare a far aderire il sistema del credito nel Mezzogiorno in misura maggiore alle esigenze di crescita, di innovazione e capitalizzazione delle imprese.
Al di là delle opportunità che potrebbero venire offerte da una piè matura democrazia economica, la via principale per perseguire tale obiettivo resta quella dei Fondi di Garanzia, che vanno però resi maggiormente interessanti per il tessuto imprenditoriale da un lato e per il sistema creditizio dall’ altro, migliorando il ruolo svolto dal sistema dei Confidi. Le parti economiche e sociali si riservano di formulare una proposta piè compiuta in tal senso.
Non ultime per importanza sono le azioni di miglioramento delle condizioni di sicurezza in cui si svolgono la vita civile e l’ attività economica del Mezzogiorno. Le azioni finanziate dai fondi strutturali del PON Sicurezza vanno proseguite: nell’ ambito della valutazione di metà percorso, appare opportuna l’ apertura di un confronto tra il Ministero dell’ Interno e le parti socio economiche, al fine di rendere il PON Sicurezza uno strumento maggiormente incisivo nella lotta alla criminalità organizzata, principalmente collegandone l’ azione ai processi di sviluppo locale, anche attraverso: il rafforzamento dei Protocolli di Legalità; una piè diretta responsabilità comune delle forze sociali sul piano della iniziativa nel territorio; il rafforzamento dei programmi scolastici sulla cultura della legalità; lo svolgimento di azioni piè efficaci di contrasto al fenomeno del lavoro sommerso (anche alla luce dei deludenti risultati fin qui ottenuti nella lotta all’ emersione) e di attrazione di investimenti, e rafforzate con risorse pubbliche “ordinarie”, finalizzate sia a una piè diffusa presenza sul territorio delle forze dell’ ordine e dei mezzi di contrasto, sia all’ intensificazione della lotta alla criminalità organizzata e alla microcriminalità.
Particolare attenzione dovrà essere posta sulle attività formative delle forze dell’ ordine, al fine di migliorare la capacità di contrasto ai fenomeni dell’ usura, del racket, delle estorsioni ed, in generale, delle infiltrazioni criminali.
PROMUOVERE L’ IMPRESA
Il numero dei regimi di aiuto attualmente in vigore è eccessivamente ampio, con riflessi negativi in termini di efficacia e di costi. Nel complesso, va dunque operata un’ attenta verifica del sistema agevolativo nazionale, per valutarne l’ efficienza a livello centrale e periferico, puntando a una forte semplificazione. Analoga verifica va realizzata, attraverso confronti tra le parti economiche e sociali, in ciascuna Regione meridionale.
Secondo le parti promotrici del presente documento, è necessario puntare ad un riordino del sistema degli incentivi che abbia chiara la funzione da assegnare a ciascuno strumento e che sia in grado di differenziare gli strumenti per tipologia di investimento e per classe d’ impresa. L’ assetto finale verso cui deve tendere il sistema nazionale di incentivazione è costituito da quattro tipi di strumenti:
- uno di tipo automatico, il cui presupposto è la certezza nei tempi di realizzazione dell’ investimento e, al tempo stesso, di fruizione dell’ agevolazione sulla base di documentazione verificabile. Il credito d’ imposta per gli investimenti può andare in questa direzione, eventualmente rafforzando gli elementi di selettività sulla qualità dell’ impresa, specializzando l’ aiuto sull’ acquisto di macchinari e impianti;
- uno di tipo valutativo. In base all’ esperienza degli ultimi anni, la legge 488/92 si è dimostrata uno strumento complessivamente valido, in particolare per quanto riguarda gli investimenti delle PMI, da rivedere sul piano tecnico-attuativo per quanto riguarda:
- una maggiore e piè certa frequenza dei bandi;
- un maggior rigore nella scelta dei criteri di selezione, nazionali e regionali;
- una piè stringente responsabilizzazione delle banche nelle procedure di valutazione dei progetti d’ investimento;
- maggiore attenzione alle istanze del territorio;
- eventualmente, anche prevedendo una soglia massima rispetto al singolo investimento agevolabile
- uno di tipo negoziale, finalizzato all’ attrazione di investimenti di medio-grandi dimensioni, anche attraverso la previsione di una soglia minima all’ investimento proposto: lo strumento adatto per tale finalità può essere il contratto di programma (o di localizzazione/investimento), con procedure opportunamente riviste al fine di migliorarne efficienza e trasparenza, prevedendo tempi certi di approvazione e realizzazione dell’ investimento. e modalità di coinvolgimento delle parti sociali a livello locale;
- uno diretto all’ incremento ed alla stabilizzazione dell’ occupazione. Il bonus per l’ occupazione, finalizzato a incentivare l’ impresa attraverso l’ assunzione e la stabilizzazione dei lavoratori, ha dato buona prova di sé anche nel favorire l’ emersione dal lavoro irregolare; ad esso va garantita certezza di finanziamento per tutto il periodo di vigenza dell’ incentivo.
In termini generali, è indispensabile procedere rapidamente alla copertura degli impegni assunti relativamente ai vari strumenti di agevolazione -. Occorre inoltre prevedere una revisione quadrimestrale sull’ efficacia della spesa, da condurre con il coinvolgimento delle parti economiche e sociali e finalizzata ad una veloce riallocazione delle risorse, come previsto dalla recente Delibera CIPE
Per quanto riguarda, infine, la tutela e la valorizzazione del patrimonio produttivo esistente, è opportuna l’ attivazione o la riattivazione degli Osservatori di settore previsti dai CCNL e di quelli già operanti presso il Ministero delle Attività Produttive, allo scopo di operare un attento monitoraggio delle prospettive di settori e territori, con specifica attenzione alle realtà meridionali. Inoltre, per far fronte alle emergenze, va rafforzato il ruolo del Comitato per l’ Occupazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, come tavolo di diagnosi e pronto intervento delle situazioni di crisi aziendale.
UNA CORNICE PER L’ ASSETTO DEL TERRITORIO
In vista del completamento del trasferimento delle competenze verso il basso conseguente alle riforme del Titolo V della Costituzione, diviene fondamentale, costruire una cornice nella quale collocare correttamente a livello decentrato gli strumenti di promozione dello sviluppo.
Per tale motivo, CGIL, CISL, UIL e Confindustria propongono la realizzazione di Accordi di Programma Quadro sullo Sviluppo Locale, da aprire al confronto con le parti socio economiche, in ogni singola Regione, nei quali far confluire in un quadro organico le esperienze di sviluppo locale esistenti nella Regione interessata e su cui incardinare anche i processi di attrazione degli investimenti avviati o da avviare sul territorio regionale.
Oggetto di tali APQ, da articolare a livello sub regionale attraverso la concertazione con le forze socioeconomiche, dovrebbero essere le direttrici dello sviluppo del territorio regionale, gli obiettivi, le risorse, gli strumenti e le procedure relative , al fine di costruire un quadro organico e concertato della progettualità attivata, di quella attivabile, degli strumenti di attuazione.
Va completato il trasferimento delle competenze sulle altre forme di sostegno dello sviluppo, cogliendo l’ occasione per una valutazione sull’ efficienza e sull’ efficacia delle varie esperienze, per una valorizzazione degli esempi di eccellenza e la riprogrammazione delle risorse immobilizzate in esperienze fallimentari. Ciò vale sia per le Leggi di aiuto settoriale che per gli strumenti di programmazione negoziata.
In particolare per quanto riguarda i Patti territoriali, l’ occasione della regionalizzazione va colta per rafforzare gli elementi di qualità e di selezione dell’ esperienza, in direzione di una maggiore efficienza. I patti regionalizzati vanno collocati all’ interno di appositi Accordi di Programma Quadro per lo sviluppo locale e, nella nuova fase, l’ elemento da salvaguardare dovrà essere innanzitutto il coinvolgimento del partenariato sociale, soprattutto ora che importanti lavori di studio confermano che, a parità di condizioni, i Patti che hanno visto un coinvolgimento piè ampio e piè continuo delle parti sociali mostrano comparativamente risultati migliori ed un impatto migliore sui processi di sviluppo e sulla progettazione attivata nel territorio.
LA PROGETTAZIONE INTEGRATA
Nell’ ambito di tale ridefinizione di politiche e strumenti di sviluppo locale vanno senza dubbio collocati I Progetti Integrati Territoriali (PIT), che rappresentano una delle principali novità del QCS Obiettivo 1 2000-2006. Su di essi è concentrato mediamente il 20/25% delle risorse dei POR e, di conseguenza, buona parte dell’ efficacia della strategia di sviluppo è legata ad essi. Al di là del fatto che in molti casi il partenariato socio economico locale sui PIT è stato prevalentemente un fatto formale, le parti economiche e sociali a livello locale si sono impegnate in questa esperienza e la ritengono un fatto importante per costruire su basi concertate una prospettiva di sviluppo locale per il loro territorio.
Quasi a metà del periodo di programmazione, è giunto, tuttavia, il momento di operare una valutazione di efficacia e di prospettiva su tali strumenti, spesso caratterizzati da complessità organizzativa e procedurale e da insufficiente capacità progettuale.
Al termine di tale operazione, da completare in tempi brevi e nella quale il confronto con il partenariato socio economico potrà essere determinante, andranno identificati i PIT con buone prospettive estese a tutti gli interventi, quelli i cui interventi sono caratterizzati da evidenti elementi di rischio e quelli in cui prevedere una riprogrammazione delle risorse.
ATTRARRE GLI INVESTIMENTI
Nel momento in cui il rallentamento dell’ economia meridionale è ormai palese e i segnali promettenti dei mesi passati si affievoliscono, è piè che mai il momento per tentare una terapia d’ urto capace di invertire la tendenza: l’ attrazione di investimenti nel Mezzogiorno può essere tale terapia.
Nel 2001 sono entrati nella UE investimenti per 323 miliardi di dollari, che vuol dire oltre 340 miliardi di euro e 680.000 miliardi delle vecchie lire. Di questi 323 miliardi di dollari, 54 sono andati nel Regno Unito, 53 in Francia, 51 in Belgio/Lussemburgo, 50 in Olanda, 32 in Germania, 22 in Spagna. L’ Italia ha attratto meno del 3% del mercato europeo e di questo magro risultato solo il 2% è arrivato nel Mezzogiorno. Il Sud, insomma, è il fanalino di coda di un fanalino di coda: un risultato inaccettabile.
E’ necessario perciò favorire, attraverso un quadro organico di interventi di sistema, l’ attrazione di investimenti esteri e nazionali: le agevolazioni da sole non sono infatti sufficienti ad assicurare l’ efficacia di tale politica, se non si affiancano ad esse disponibilità di aree di insediamento, procedure autorizzative rapide e semplificate, azioni di promozione del prodotto e di rafforzamento del contesto. In questo quadro occorrerà individuare interventi mirati alle aree piè svantaggiate (Mezzogiorno) di regime fiscale transitorio di vantaggio da proporre alla Commissione UE durante il semestre di Presidenza italiana.
Una nuova procedura di “Contratto di localizzazione”, che la recente Delibera CIPE ha iniziato a delineare, dovrebbe prevedere accordi tra Amministrazioni Centrali, Amministrazioni regionali e locali, Organizzazioni Sindacali e Organizzazioni imprenditoriali, per mettere a punto pacchetti integrati di localizzazione produttiva che saranno previsti nei citati Accordi di Programma Quadro (APQ) dedicati allo sviluppo locale. In tali Accordi va delineato il quadro programmatico che, in termini di infrastrutturazione, di servizi, di collegamento con le reti, è in grado di accogliere l’ investimento produttivo: in tale ambito sono definite anche iniziative per realizzare reti per la subfornitura e progetti di joint-venture.
Ciascuno degli attori impegnati nello sviluppo potrà contribuire per la sua parte alla creazione del pacchetto di localizzazione produttiva, e in tale contesto Sviluppo Italia orienterà prevalentemente la sua attività sull’ attrazione di investimenti nel Mezzogiorno, finalizzando a tale scopo i propri strumenti di intervento, e svolgerà un ruolo di supporto tecnico. La Delibera CIPE affida, infatti, a Sviluppo Italia il compito di presentare un programma di attività in tal senso, regolando con apposita Convenzione i rapporti con le Amministrazioni centrali interessate.
Le parti proponenti il presente documento suggeriscono, a tale proposito, di strutturare queste attività in 5 fasi.:
-
- una prima fase, di ricognizione e di raccolta delle disponibilità di aree (nuove, dismesse, vincolate) e di contestuale promozione del processo di attrazione ad opera delle parti sociali;
- una fase di istruttoria della progettazione attivata e di contestuale costruzione del pacchetto integrato, fatto di azioni (attraverso la rimozione dei vincoli amministrativi e di infrastrutturazione vera e propria) tese alla messa a disposizione delle aree, di predisposizione di servizi alle imprese e al territorio, di ricognizione dei fabbisogni formativi e di erogazione di attività formative vere e proprie;
- una fase di marketing territoriale in Italia e all’ estero per la raccolta di concreti progetti di investimento nelle aree rese disponibili;
- una fase di valutazione del progetto d’ investimento, che potrebbe essere affidata ad istituti di credito convenzionati eventualmente cofinanziatori dell’ investimento;
- una fase di istruttoria del contratto e delibera di approvazione entro un congruo periodo di tempo.
- CGIL, CISL, UIL e Confindustria si riservano inoltre di proporre alle Amministrazioni centrali interessate e a Sviluppo Italia modalità relative alla sede stabile di partenariato prevista dalla Delibera CIPE. Allo strumento dell’ attrazione degli investimenti dovrà essere garantita, annualmente, una congrua dotazione finanziaria.