Permessi ex Art. 33 legge n. 104 del 1992 – ( Circolare Inps n. 90 del 2007 ) | Adlabor
Roma, 23 Maggio 2007 | Ai Dirigenti centrali e periferici
Ai Direttori delle Agenzie Ai Coordinatori generali, centrali e periferici dei Rami professionali Al Coordinatore generale Medico legale e Dirigenti Medici |
Circolare n. 90 | e, per conoscenza,
Al Presidente Ai Consiglieri di Amministrazione Al Presidente e ai Membri del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza Al Presidente e ai Membri del Collegio dei Sindaci Al Magistrato della Corte dei Conti delegato all’ esercizio del controllo Ai Presidenti dei Comitati amministratori di fondi, gestioni e casse Al Presidente della Commissione centrale per l’ accertamento e la riscossione dei contributi agricoli unificati Ai Presidenti dei Comitati regionali Ai Presidenti dei Comitati provinciali |
OGGETTO: permessi ex art. 33 legge 05 febbraio 1992, n. 104. Questioni varie.
SOMMARIO:
i precedenti criteri adottati in merito all’ accertamento dei requisiti della continuità e della esclusività dell’ assistenza offerta dal lavoratore alla persona con disabilità grave per la concessione dei benefici riconosciuti dalla L.104/1992, vengono riveduti ed adeguati alla luce dell’ orientamento consolidato della giurisprudenza
La Corte di Cassazione Sezione Lavoro con la sentenza n. 7701 del 16.05.2003, ha censurato l’ interpretazione dell’ art. 33 della legge 104/92 sostenuta da questo Istituto, che la presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o possa provvedere all’ assistenza del parente con disabilità in situazione di gravità esclude il diritto ai tre permessi mensili retribuiti ed ha affermato il seguente principio:
“non par esservi dubbio che lo spirito della legge sia quello di non lasciare il minore gravemente handicappato in balia di se stesso neanche momentaneamente e privo di affetto ad opera di chi lo possa assistere convenientemente anche dal punto di vista materiale. Se questo è lo scopo della legge, ove tale convenienza non sia raggiunta, come non è raggiunta ove il congiunto non lavoratore debba provvedere da solo all’ incombenza, un’ interpretazione conforme agli scopi della legge pretende che un’ altra persona possa sostituire almeno momentaneamente l’ avente diritto originario. Orbene, se questa seconda persona è un lavoratore appare ovvio e necessario che possa godere di brevi permessi retribuiti”.
La stessa Corte, con la sentenza n. 13481 del 20.07.2004, ha poi confermato il proprio precedente orientamento, ulteriormente specificando che:
“essendo presupposto del diritto la circostanza che il portatore di handicap non sia ricoverato a tempo pieno, è presumibile che, durante l’ orario di lavoro di chi presta l’ assistenza e può fruire dei permessi, all’ assistenza provveda altra persona presente in famiglia ed è ragionevole il bisogno di questa di fruire di tre giorni di libertà, coincidenti con la fruizione dei permessi retribuiti del lavoratore. Il criterio è analogo a quello previsto per i genitori di portatori di handicap, regolato nel medesimo articolo, per i quali la circostanza che uno di essi non lavori, e quindi possa prestare assistenza, non esclude il diritto ai permessi retribuiti. Si deve concludere che né la lettera, né la ratio della legge escludono il diritto ai permessi retribuiti in caso di presenza in famiglia di persona che possa provvedere all’ assistenza”.
Anche la giustizia amministrativa era pervenuta ad analoghe conclusioni.
Il Consiglio di Stato, infatti, pronunciandosi circa l’ applicabilità ad un docente di una scuola pubblica dell’ articolo 33 comma 5 della legge 104/92, con sentenza del 19.01.1998, n. 394/97 della propria Terza Sezione, aveva affermato che non si può negare il beneficio allorché sussista il presupposto dell’ effettiva assistenza continuativa da parte del lavoratore medesimo sulla considerazione che il rapporto possa essere instaurato da altri familiari. Nella stessa sentenza il Consiglio di stato ha evidenziato che il beneficio in questione non è subordinato alla mancanza di altri familiari in grado di assistere il portatore di handicap.
Giova, infine, sottolineare che anche la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 325/1996 aveva posto in evidenza la ratio della legge nel suo insieme: superare o contribuire a far superare i molteplici ostacoli che il disabile incontra quotidianamente nelle attività sociali e lavorative e nell’ esercizio di diritti costituzionalmente protetti. Nella stessa sentenza, il giudice delle leggi aveva anche sottolineato come non debba corrersi il rischio opposto, cioè, il dare alla norma un rilievo eccessivo, perché non è immaginabile che l’ assistenza al disabile si fondi esclusivamente su quella familiare.
In base a tale orientamento giurisprudenziale ormai consolidato appare improcrastinabile che l’ Istituto riveda le precedenti indicazioni fornite alle strutture territoriali in merito alla concessione dei benefici previsti dai commi 2 e 3 dell’ articolo 33 della legge n. 104/92, ispirandosi ai seguenti nuovi criteri:
- che a nulla rilevi che nell’ ambito del nucleo familiare della persona con disabilità in situazione di gravità si trovino conviventi familiari non lavoratori idonei a fornire l’ aiuto necessario ;
- che la persona con disabilità in situazione di gravità – ovvero il suo amministratore di sostegno ovvero il suo tutore legale – possa liberamente effettuare la scelta su chi, all’ interno della stessa famiglia, debba prestare l’ assistenza prevista dai termini di legge;
- che tale assistenza non debba essere necessariamente quotidiana, purché assuma i caratteri della sistematicità e dell’ adeguatezza rispetto alle concrete esigenze della persona con disabilità in situazione di gravità;
- che i benefici previsti dai commi 2 e 3 si debbano riconoscere altresì a quei lavoratori che – pur risiedendo o lavorando in luoghi anche distanti da quello in cui risiede di fatto la persona con disabilità in situazione di gravità (come, per esempio, nel caso del personale di volo delle linee aeree, del personale viaggiante delle ferrovie o dei marittimi) – offrano allo stesso un’ assistenza sistematica ed adeguata, stante impregiudicato il potere organizzativo del datore di lavoro, non attenendo la fruizione dei benefici de quo all’ esercizio di un diritto potestativo del lavoratore. A tal fine, in sede di richiesta dei benefici ex art. 33 della legge 104/92, sarà prodotto un “Programma di assistenza” a firma congiunta del lavoratore richiedente e della persona con disabilità in situazione di gravità che dell’ assistenza si giova – ovvero del suo amministratore di sostegno ovvero del suo tutore legale –, sulla cui eventuale valutazione di congruità medico legale si esprimerà il dirigente responsabile del Centro medico legale della sede INPS competente;
- che il requisito dell’ esclusività della stessa non si debba far coincidere con l’ assenza di qualsiasi altra forma di assistenza pubblica o privata, essendo compatibile con la fruizione dei benefici in questione il ricorso alle strutture pubbliche, al cosiddetto “non profit” ed a personale badante;
- che, per esplicita previsione legislativa, non dia titolo ai benefici il solo caso del ricovero a tempo pieno, per ciò intendendosi il ricovero per le intere ventiquattro ore;
- che al caso di cui al punto precedente, faccia eccezione quello rappresentato dal ricovero a tempo pieno, finalizzato ad un intervento chirurgico oppure a scopo riabilitativo, di un bambino di età inferiore ai tre anni con disabilità in situazione di gravità, per il quale risulti documentato dai sanitari della struttura ospedaliera il bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare (parente o affine entro il 3° grado) nonché, su valutazione del dirigente responsabile del Centro medico legale della Sede INPS, quello della persona con disabilità in situazione di gravità in coma vigile e/o in situazione terminale, contesti questi assimilabili al piccolo minore;
- che l’ accettazione da parte del portatore di handicap in situazione di gravità dell’ assistenza continuativa ed esclusiva offerta dal familiare possa rientrare tra le fattispecie previste dal T.U. n. 445/2000 sulla documentazione amministrativa per la cui prova è ammessa dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
- che rimanga impregiudicato il diritto/dovere della Pubblica Amministrazione di verificare sia la veridicità della dichiarazione di cui sopra e di quanto dichiarato dal lavoratore nel modello di domanda sia, in caso di disabilità in situazione di gravità “temporaneamente concesso” dalla Commissione medica ex art. 4 della medesima legge 104/92, il permanere del diritto a fruire i suddetti benefici in capo al lavoratore che ne abbia richiesto l’ attribuzione.
Si dispone,pertanto, che fin da adesso le Sedi adottino nel procedimento di concessione dei benefici in questione i sopra esposti criteri.
Il Direttore Generale
Crecco
L’ art. 33, L. n. 104/1992 in materia di tutela delle persone con handicap, ha previsto diverse agevolazioni (permessi orari e giornalieri) per i familiari di persone con disabilità nello svolgimento della propria attività lavorativa, nonché per i disabili lavoratori.
Il decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità, a norma dell’ art. 15 della legge n. 53 dell’ 8 Marzo 2000), all’ art. 42, comma 5, riconosce ai genitori di persona con handicap grave, la possibilità di usufruire di un congedo retribuito fino a due anni, a condizione che sussistano gravi motivi familiari (es. morte di uno dei genitori, presenza nel nucleo familiare di minori o anziani, ecc.) e che la persona disabile non sia ricoverata a tempo pieno in istituto. Il congedo spetta alternativamente ad uno dei genitori, anche adottivi, ovvero, dopo la loro scomparsa, ad uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con la persona con handicap. Il periodo di due anni di congedo, non deve essere necessariamente continuativo, potendo essere anche frazionato nel tempo.
Questa norma è stata dichiarata incostituzionale dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 233/2005 “nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità a fruire del congedo ivi indicato, nell’ ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’ assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili”.
La Corte Costituzionale ha riconosciuto che “sarebbe irragionevole e lesivo del principio di uguaglianza” la norma che attribuisce “ai fratelli e alle sorelle del disabile il diritto al congedo straordinario solo nell’ ipotesi di morte dei genitori e non equipara ad essa l’ ipotesi del genitore totalmente inabile ed incapace di provvedere all’ assistenza del figlio handicappato” La norma in esame, infatti utilizzando il termine scomparsa senza prendere in considerazione il caso in cui uno dei genitori, pur essendo vivente, si trovi, di fatto, nell’ oggettiva impossibilità di prestare assistenza al figlio, in quanto a sua volta totalmente inabile, si risolve in un “inammissibile impedimento all’ effettività dell’ assistenza e dell’ integrazione”.
Pertanto ai fini della tutela che la norma intende perseguire, la scomparsa del genitore deve essere considerata “alla stregua dell’ accertata impossibilità dello stesso di occuparsi del soggetto handicappato”.
Tuttavia ancor prima della dichiarazione di incostituzionalità di cui supra, la Corte di Cassazione si era pronunciata in questo senso con sentenza n. 7701/2003, censurando anche l’ interpretazione dell’ art. 33 L. n. 104/92 data dall’ INPS e cioè che la presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o possa provvedere all’ assistenza del parente con disabilità in situazione di gravità esclude il diritto ai tre permessi mensili retribuiti. Orientamento confermato dalla stessa Corte anche con sentenza n. 13481/2004.
Anche la giustizia amministrativa era pervenuta ad analoghe conclusioni con sent. n. 394/97 del 1998 evidenziando che il beneficio non può essere subordinato alla mancanza di altri familiari in grado di assistere il portatore di handicap e quindi il datore non può sindacare sui permessi.
La circolare INPS n. 90/2007, sulla base dell’ ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, precisa che “a nulla rilevi che nell’ ambito del nucleo familiare della persona con disabilità in situazione di gravità si trovino conviventi familiari non lavoratori idonei a fornire l’ aiuto necessario” (punto 1) e “che la persona con disabilità in situazione di gravità- ovvero il suo amministratore di sostegno ovvero il suo tutore legale- possa liberamente effettuare la scelta su chi, all’ interno della stessa famiglia, debba prestare l’ assistenza prevista dai termini di legge” . Precisa inoltre che non è necessario che l’ assistenza sia quotidiana, ma deve avere i caratteri della sistematicità ed adeguatezza. In tal senso, le agevolazioni possono essere concesse anche ai lavoratori che, pur risiedendo o lavorando in luoghi anche distanti da quello in cui risiede di fatto la persona con disabilità in situazione di gravità, offrano allo stesso un’ assistenza sistematica ed adeguata (punto n. 3).
In questi casi l’ INPS richiede un nuovo documento da presentare agli uffici periferici: il programma di assistenza (punto 4).
Per l’ applicazione degli istituti è necessario che il soggetto portatore di handicap in riferimento
al quale sono previste le agevolazioni per genitori e/o familiari:
- versi in situazione di gravità (ossia presenti una minorazione, singola o plurima, che riduce l’ autonomia personale, correlata all’ età, tale da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione);
- non sia ricoverato a tempo pieno presso istituti specializzati (punto 6);
- sia stato sottoposto ad accertamento dell’ handicap con conseguente rilascio del certificato medico da parte delle apposite Commissioni Mediche istituite presso le ASL (punto 9).