Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n. 300)

Legge 20 maggio 1970, n. 300 (in Gazz. Uff., 27 maggio, n. 131). – Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento (STATUTO DEI LAVORATORI)

TITOLO I – DELLA LIBERTÀ E DIGNITÀ DEL LAVORATORE

ARTICOLO 1 – Libertà di opinione.

I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge.

ARTICOLO 2 – Guardie giurate.

Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate, di cui agli articoli 133 e seguenti del testo unico approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale.

Le guardie giurate non possono contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla tutela del patrimonio aziendale.

È fatto divieto al datore di lavoro di adibire alla vigilanza sull’attività lavorativa le guardie di cui al primo comma, le quali non possono accedere nei locali dove si svolge tale attività, durante lo svolgimento della stessa, se non eccezionalmente per specifiche e motivate esigenze attinenti ai compiti di cui al primo comma.

In caso di inosservanza da parte di una guardia particolare giurata delle disposizioni di cui al presente articolo, l’Ispettorato del lavoro ne promuove presso il questore la sospensione dal servizio, salvo il provvedimento di revoca della licenza da parte del prefetto nei casi piè gravi (1).

(1) A norma dell’articolo 6, del D.M. 7 novembre 1996, n. 687, le funzioni attribuite all’ispettorato provinciale del lavoro, sono svolte dalla direzione provinciale del lavoro.

ARTICOLO 3 – Personale di vigilanza.

I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati.

ARTICOLO 4 – Impianti audiovisivi

È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.

Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.

Per gli impianti e le apparecchiature esistenti, che rispondano alle caratteristiche di cui al secondo comma del presente articolo, in mancanza di accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o con la commissione interna, l’Ispettorato del lavoro provvede entro un anno dall’entrata in vigore della presente legge, dettando all’occorrenza le prescrizioni per l’adeguamento e le modalità di uso degli impianti suddetti (1).

Contro i provvedimenti dell’Ispettorato del lavoro, di cui ai precedenti secondo e terzo comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo art. 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale (1).

(1) In riferimento al presente articolo vedi: Parere Autorità garante per la protezione dei dati personali 08 maggio 2013, n. 2499485;Parere Autorità garante per la protezione dei dati personali 30 maggio 2013, n. 2502951; Parere Autorità garante per la protezione dei dati personali 26 luglio 2013, n. 1884167; Parere Autorità garante per la protezione dei dati personali 06 giugno 2013, n. 2544109.

ARTICOLO 5 – Accertamenti sanitari.

Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.

Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda.

Il datore di lavoro ha facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico.

ARTICOLO 6 – Visite personali di controllo.

Le visite personali di controllo sul lavoratore sono vietate fuorché nei casi in cui siano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti.

In tali casi le visite personali potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate la dignità e la riservatezza del lavoratore e che avvengano con l’applicazione di sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori.

Le ipotesi nelle quali possono essere disposte le visite personali, nonché, ferme restando le condizioni di cui al secondo comma del presente articolo, le relative modalità debbono essere concordate dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro (1).

Contro i provvedimenti della Direzione regionale del lavoro di cui al precedente comma, il datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, la commissione interna, oppure i sindacati dei lavoratori di cui al successivo articolo 19 possono ricorrere, entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento, al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.

(1) A norma dell’articolo 6, del D.M. 7 novembre 1996, n. 687, le funzioni attribuite all’ispettorato provinciale del lavoro, sono svolte dalla direzione provinciale del lavoro.

ARTICOLO 7 – Sanzioni disciplinari.

Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano (1).

Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa (2) (3).

Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato (4) (5).

Fermo restando quanto disposto dalla legge 15 luglio 1966, n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per piè di dieci giorni.

In ogni caso, i provvedimenti disciplinari piè gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.

Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro. La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del collegio.

Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto. Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.

Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.

(1) La Corte Costituzionale, con sentenza 29 novembre 1982, n. 204, (in Gazz. Uff., 9 dicembre 1982, n. 338), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma interpretato nel senso che sia inapplicabile ai licenziamenti disciplinari, per i quali detto comma non sia espressamente richiamato dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro.

(2) La Corte Costituzionale, con sentenza 29 novembre 1982, n. 204, (in Gazz. Uff., 9 dicembre 1982, n. 338), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma interpretato nel senso che sia inapplicabile ai licenziamenti disciplinari, per i quali detto comma non sia espressamente richiamato dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro.

(3) La Corte costituzionale, con sentenza 25 luglio 1989, n. 427, (in Gazz. Uff., 2 agosto 1989, n. 31), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui è esclusa la sua applicabilità al licenziamento per motivi disciplinari irrogato da imprenditore che abbia meno di sedici dipendenti.

(4) La Corte Costituzionale, con sentenza 29 novembre 1982, n. 204, (in Gazz. Uff., 9 dicembre 1982, n. 338), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma interpretato nel senso che sia inapplicabile ai licenziamenti disciplinari, per i quali detto comma non sia espressamente richiamato dalla normativa legislativa, collettiva o validamente posta dal datore di lavoro.

(5) La Corte costituzionale, con sentenza 25 luglio 1989, n. 427, (in Gazz. Uff., 2 agosto 1989, n. 31), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui è esclusa la sua applicabilità al licenziamento per motivi disciplinari irrogato da imprenditore che abbia meno di sedici dipendenti.

ARTICOLO 8 – Divieto di indagini sulle opinioni.

È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.

ARTICOLO 9 – Tutela della salute e dell’integrità fisica.

I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica.

ARTICOLO 10 – Lavoratori studenti.

I lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali, hanno diritto a turni di lavoro che agevolino la frequenza ai corsi e la preparazione agli esami e non sono obbligati a prestazioni di lavoro straordinario o durante i riposi settimanali.

I lavoratori studenti, compresi quelli universitari, che devono sostenere prove di esame, hanno diritto a fruire di permessi giornalieri retribuiti.

Il datore di lavoro potrà richiedere la produzione delle certificazioni necessarie all’esercizio dei diritti di cui al primo e secondo comma.

ARTICOLO 11 – Attività culturali, ricreative e assistenziali e controlli sul servizio di mensa (1).

Le attività culturali, ricreative ed assistenziali promosse nell’azienda sono gestite da organismi formati a maggioranza dai rappresentanti dei lavoratori.

Le rappresentanze sindacali aziendali, costituite a norma dell’art. 19, hanno diritto di controllare la qualità del servizio di mensa secondo modalità stabilite dalla contrattazione collettiva (2).

(1) Rubrica modificata dall’articolo 6 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333.

(2) Comma aggiunto dall’articolo 6 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333.

ARTICOLO 12 – Istituti di patronato.

Gli istituti di patronato e di assistenza sociale, riconosciuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per l’adempimento dei compiti di cui al D.Lgs.CPS 29 luglio 1947, n. 804, hanno diritto di svolgere, su un piano di parità, la loro attività all’interno dell’azienda, secondo le modalità da stabilirsi con accordi aziendali.

ARTICOLO 13 – Mansioni del lavoratore.

L’art. 2103 del codice civile è sostituito dal seguente:

“Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta, e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove la medesima non abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Egli non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive.

Ogni patto contrario è nullo”.

TITOLO II – DELLA LIBERTÀ SINDACALE

ARTICOLO 14 – Diritto di associazione e di attività sindacale.

Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro.

ARTICOLO 15 – Atti discriminatori.

È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:

a) subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale ovvero cessi di farne parte;

b) licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso , di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali (1).

(1) Comma sostituito dall’articolo 13 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 e successivamente modificato dall’articolo 4, comma 1, del D.Lgs 9 luglio 2003, n. 216.

ARTICOLO 16 – Trattamenti economici collettivi discriminatori.

È vietata la concessione di trattamenti economici di maggior favore aventi carattere discriminatorio a mente dell’articolo 15.

Il pretore, su domanda dei lavoratori nei cui confronti è stata attuata la discriminazione di cui al comma precedente o delle associazioni sindacali alle quali questi hanno dato mandato, accertati i fatti, condanna il datore di lavoro al pagamento, a favore del fondo adeguamento pensioni, di una somma pari all’importo dei trattamenti economici di maggior favore illegittimamente corrisposti nel periodo massimo di un anno.

ARTICOLO 17 – Sindacati di comodo.

È fatto divieto ai datori di lavoro ed alle associazioni di datori di lavoro di costituire o sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori.

ARTICOLO 18 – Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo (1) (2).

Il giudice, con la sentenza con la quale dichiara la nullita’ del licenziamento perche’ discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunita’ tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita’ e della paternita’, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perche’ riconducibile ad altri casi di nullita’ previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto e quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro. La presente disposizione si applica anche ai dirigenti. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennita’ di cui al terzo comma del presente articolo. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perche’ intimato in forma orale (3).

Il giudice, con la sentenza di cui al primo comma, condanna altresi’ il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullita’, stabilendo a tal fine un’indennita’ commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita’ lavorative. In ogni caso la misura del risarcimento non potra’ essere inferiore a cinque mensilita’ della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e’ condannato inoltre, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali (4).

Fermo restando il diritto al risarcimento del danno come previsto al secondo comma, al lavoratore e’ data la facolta’ di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un’indennita’ pari a quindici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non e’ assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell’indennita’ deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, o dall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione (5).

Il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perche’ il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennita’ risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attivita’ lavorative, nonche’ quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione. In ogni caso la misura dell’indennita’ risarcitoria non puo’ essere superiore a dodici mensilita’ della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro e’ condannato, altresi’, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivita’ lavorative. In quest’ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attivita’ lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro. A seguito dell’ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l’indennita’ sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi del terzo comma (6).

Il giudice, nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, dichiara risolto il rapporto di lavoro con effetto dalla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennita’ risarcitoria onnicomprensiva determinata tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianita’ del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attivita’ economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo (7).

Nell’ipotesi in cui il licenziamento sia dichiarato inefficace per violazione del requisito di motivazione di cui all’articolo 2, comma 2, della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, della procedura di cui all’articolo 7 della presente legge, o della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, si applica il regime di cui al quinto comma, ma con attribuzione al lavoratore di un’indennita’ risarcitoria onnicomprensiva determinata, in relazione alla gravita’ della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro, tra un minimo di sei e un massimo di dodici mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, con onere di specifica motivazione a tale riguardo, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti che vi e’ anche un difetto di giustificazione del licenziamento, nel qual caso applica, in luogo di quelle previste dal presente comma, le tutele di cui ai commi quarto, quinto o settimo (8).

Il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneita’ fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento e’ stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile. Puo’ altresi’ applicare la predetta disciplina nell’ipotesi in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; nelle altre ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivo, il giudice applica la disciplina di cui al quinto comma. In tale ultimo caso il giudice, ai fini della determinazione dell’indennita’ tra il minimo e il massimo previsti, tiene conto, oltre ai criteri di cui al quinto comma, delle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione e del comportamento delle parti nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni. Qualora, nel corso del giudizio, sulla base della domanda formulata dal lavoratore, il licenziamento risulti determinato da ragioni discriminatorie o disciplinari, trovano applicazione le relative tutele previste dal presente articolo (9).

Le disposizioni dei commi dal quarto al settimo si applicano al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze piu’ di quindici lavoratori o piu’ di cinque se si tratta di imprenditore agricolo, nonche’ al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell’ambito dello stesso comune occupa piu’ di quindici dipendenti e all’impresa agricola che nel medesimo ambito territoriale occupa piu’ di cinque dipendenti, anche se ciascuna unita’ produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa piu’ di sessanta dipendenti (10).

Ai fini del computo del numero dei dipendenti di cui all’ottavo comma si tiene conto dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato parziale per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unita’ lavorative fa riferimento all’orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore. Non si computano il coniuge e i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale. Il computo dei limiti occupazionali di cui all’ottavo comma non incide su norme o istituti che prevedono agevolazioni finanziarie o creditizie (11).

Nell’ipotesi di revoca del licenziamento, purche’ effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell’impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuita’, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente articolo (12).

Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, su istanza congiunta del lavoratore e del sindacato cui questi aderisce o conferisca mandato, il giudice, in ogni stato e grado del giudizio di merito, può disporre con ordinanza, quando ritenga irrilevanti o insufficienti gli elementi di prova forniti dal datore di lavoro, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

L’ordinanza di cui al comma precedente può essere impugnata con reclamo immediato al giudice medesimo che l’ha pronunciata. Si applicano le disposizioni dell’articolo 178, terzo, quarto, quinto e sesto comma del codice di procedura civile.

L’ordinanza può essere revocata con la sentenza che decide la causa.

Nell’ipotesi di licenziamento dei lavoratori di cui all’articolo 22, il datore di lavoro che non ottempera alla sentenza di cui al primo comma ovvero all’ordinanza di cui all’undicesimo comma, non impugnata o confermata dal giudice che l’ha pronunciata, è tenuto anche, per ogni giorno di ritardo, al pagamento a favore del Fondo adeguamento pensioni di una somma pari all’importo della retribuzione dovuta al lavoratore (13) (14).

(1) Rubrica sostituita dall’articolo 1, comma 42, lettera a), della Legge 28 giugno 2012, n. 92.

(2) Per l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, commi da 48 a 68, della Legge 28 giugno 2012, n. 92, alle controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti, nelle ipotesi regolate dal presente articolo, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro, vedi l’articolo 1, comma 47, della Legge 28 giugno 2012, n. 92.

(3) Comma sostituito dall’articolo 1, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108 e dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(4) Comma sostituito dall’articolo 1, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108 e dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(5) Comma inizialmente aggiunto dall’articolo 1, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108 e successivamente sostituito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(6) Comma inizialmente aggiunto dall’articolo 1, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108 e successivamente sostituito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 11.

(7) Comma aggiunto dall’articolo 1, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108 e successivamente sostituito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(8) Comma sostituito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(9) Comma inserito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(10) Comma inserito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(11) Comma inserito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(12) Comma inserito dall’articolo 1, comma 42, lettera b), della Legge 28 giugno 2012, n. 92, che ha sostituito gli originali commi da 1 a 6 con gli attuali commi da 1 a 10.

(13) A norma dell’articolo 6, comma 2-bis, del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248 l’efficacia delle disposizioni di cui al presente articolo nei confronti del prestatore di lavoro nelle condizioni previste dall’articolo 4, comma 2, della legge 11 maggio 1990, n. 108, è comunque prorogata fino al momento della decorrenza del trattamento pensionistico di vecchiaia spettante al prestatore medesimo.

(14) Comma modificato dall’articolo 1, comma 42, lettera c), della Legge 28 giugno 2012, n. 92.

TITOLO III – DELL’ATTIVITÀ SINDACALE

ARTICOLO 19 – Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali.

Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito:

[ a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale] (1);

b) delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva (2)(3).

Nell’ambito di aziende con piè unità produttive le rappresentanze sindacali possono istituire organi di coordinamento.

(1) Lettera abrogata dall’articolo unico del D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312, con effetto a decorrere dal 28 settembre 1995, in esito al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995.

(2) Lettera così modificata dall’articolo unico del D.P.R. 28 luglio 1995, n. 312, con effetto a decorrere dal 28 settembre 1995, in esito al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995.

(3) La Corte Costituzionale, con sentenza 23 luglio 2013, n. 231 (in Gazz. Uff., 31 luglio, n. 31), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della presente lettera, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unita’ produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.

ARTICOLO 20 – Assemblea.

I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell’orario di lavoro, nonché durante l’orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Migliori condizioni possono essere stabilite dalla contrattazione collettiva.

Le riunioni – che possono riguardare la generalità dei lavoratori o gruppi di essi – sono indette, singolarmente o congiuntamente, dalle rappresentanze sindacali aziendali nell’unità produttiva, con ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro e secondo l’ordine di precedenza delle convocazioni, comunicate al datore di lavoro.

Alle riunioni possono partecipare, previo preavviso al datore di lavoro, dirigenti esterni del sindacato che ha costituito la rappresentanza sindacale aziendale.

Ulteriori modalità per l’esercizio del diritto di assemblea possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro, anche aziendali.

ARTICOLO 21 – Referendum.

Il datore di lavoro deve consentire nell’ambito aziendale lo svolgimento, fuori dell’orario di lavoro, di referendum, sia generali che per categoria, su materie inerenti all’attività sindacale, indetti da tutte le rappresentanze sindacali aziendali tra i lavoratori, con diritto di partecipazione di tutti i lavoratori appartenenti alla unità produttiva e alla categoria particolarmente interessata.

Ulteriori modalità per lo svolgimento del referendum possono essere stabilite dai contratti collettivi di lavoro anche aziendali.

ARTICOLO 22 – Trasferimento dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali.

Il trasferimento dall’unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui al precedente articolo 19, dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza.

Le disposizioni di cui al comma precedente ed ai commi quarto, quinto, sesto e settimo dell’articolo 18 si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati nelle elezioni della commissione stessa e sino alla fine dell’anno successivo a quello in cui è cessato l’incarico per tutti gli altri.

ARTICOLO 23 – Permessi retribuiti (1).

I dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 hanno diritto, per l’espletamento del loro mandato, a permessi retribuiti.

Salvo clausole piè favorevoli dei contratti collettivi di lavoro hanno diritto ai permessi di cui al primo comma almeno:

a) un dirigente per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 200 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;

b) un dirigente ogni 300 o frazione di 300 dipendenti per ciascuna rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive che occupano fino a 3.000 dipendenti della categoria per cui la stessa è organizzata;

c) un dirigente ogni 500 o frazione di 500 dipendenti della categoria per cui è organizzata la rappresentanza sindacale aziendale nelle unità produttive di maggiori dimensioni, in aggiunta al numero minimo di cui alla precedente lettera b) .

I permessi retribuiti di cui al presente articolo non potranno essere inferiori a otto ore mensili nelle aziende di cui alle lettere b) e c) del comma precedente; nelle aziende di cui alla lettera a) i permessi retribuiti non potranno essere inferiori ad un’ora all’anno per ciascun dipendente.

Il lavoratore che intende esercitare il diritto di cui al primo comma deve darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola 24 ore prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.

(1) A norma dell’articolo 16-ter, del D.L.2 marzo 1974, n. 30, i periodi di aspettativa di cui al presente articolo, sono considerati come periodi di effettivo lavoro ai fini dell’applicazione delle norme sugli assegni familiari di cui al testo unico 30 maggio 1955, n. 797, o della corresponsione di altri trattamenti per i familiari a carico comunque denominati.

ARTICOLO 24 – Permessi non retribuiti.

I dirigenti sindacali aziendali di cui all’articolo 23 hanno diritto a permessi non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a congressi e convegni di natura sindacale, in misura non inferiore a otto giorni all’anno.

I lavoratori che intendano esercitare il diritto di cui al comma precedente devono darne comunicazione scritta al datore di lavoro di regola tre giorni prima, tramite le rappresentanze sindacali aziendali.

ARTICOLO 25 – Diritto di affissione.

Le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di affiggere, su appositi spazi, che il datore di lavoro ha l’obbligo di predisporre in luoghi accessibili a tutti i lavoratori all’interno dell’unità produttiva, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro.

ARTICOLO 26 – Contributi sindacali.

I lavoratori hanno diritto di raccogliere contributi e di svolgere opera di proselitismo per le loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale.

[Le associazioni sindacali dei lavoratori hanno diritto di percepire, tramite ritenuta sul salario nonchè sulle prestazioni erogate per conto degli enti previdenziali, i contributi sindacali che i lavoratori intendono loro versare, con modalità stabilite dai contratti collettivi di lavoro, che garantiscono la segretezza del versamento effettuato dal lavoratore a ciascuna associazione sindacale ] (1).

[Nelle aziende nelle quali il rapporto di lavoro non è regolato da contratti collettivi, il lavoratore ha diritto di chiedere il versamento del contributo sindacale all’associazione da lui indicata] (2).

(1) Comma sostituito dall’articolo 18, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e successivamente abrogato dal D.P.R 28 luglio 1995, n. 313, in esito al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995

(2) Comma abrogato dal D.P.R 28 luglio 1995, n. 313, in esito al referendum indetto con D.P.R. 5 aprile 1995.

ARTICOLO 27 – Locali delle rappresentanze sindacali aziendali.

Il datore di lavoro nelle unità produttive con almeno 200 dipendenti pone permanentemente a disposizione delle rappresentanze sindacali aziendali, per l’esercizio delle loro funzioni, un idoneo locale comune all’interno dell’unità produttiva o nelle immediate vicinanze di essa.

Nelle unità produttive con un numero inferiore di dipendenti le rappresentanze sindacali aziendali hanno diritto di usufruire, ove ne facciano richiesta, di un locale idoneo per le loro riunioni.

TITOLO IV – DISPOSIZIONI VARIE E GENERALI

ARTICOLO 28 – Repressione della condotta antisindacale.

Qualora il datore di lavoro ponga in essere comportamenti diretti ad impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonchè del diritto di sciopero, su ricorso degli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse, il pretore del luogo ove è posto in essere il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti ed assunte sommarie informazioni, qualora ritenga sussistente la violazione di cui al presente comma, ordina al datore di lavoro, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.

L’efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il pretore in funzione di giudice del lavoro definisce il giudizio instaurato a norma del comma successivo (1).

Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro 15 giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti al pretore in funzione di giudice del lavoro che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile (2).

Il datore di lavoro che non ottempera al decreto, di cui al primo comma, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione è punito ai sensi dell’art. 650 del codice penale.

L’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall’art. 36 del codice penale.

[Se il comportamento di cui al primo comma è posto in essere da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non economico, l’azione è proposta con ricorso davanti al pretore competente per territorio.] (3)

[Qualora il comportamento antisindacale sia lesivo anche di situazioni soggettive inerenti al rapporto di impiego, le organizzazioni sindacali di cui al primo comma, ove intendano ottenere anche la rimozione dei provvedimenti lesivi delle predette situazioni, propongono il ricorso davanti al tribunale amministrativo regionale competente per territorio, che provvede in via di urgenza con le modalità di cui al primo comma. Contro il decreto che decide sul ricorso è ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione del decreto alle parti, opposizione davanti allo stesso tribunale, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.] (4)

(1) Comma sostituito dall’articolo 2, comma 1, della legge 8 novembre 1977, n. 847.

(2) Comma sostituito dall’articolo 3, comma 1, della legge 8 novembre 1977, n. 847.

(3) Comma aggiunto dall’articolo 6, comma 1, della legge 12 giugno 1990, n. 146 e successivamente abrogato dall’articolo 4, comma 1, della legge 11 aprile 2000, n. 83.

(4) Comma aggiunto dall’articolo 6, comma 1, della legge 12 giugno 1990, n. 146 e successivamente abrogato dall’articolo 4, comma 1, della legge 11 aprile 2000, n. 83.

ARTICOLO 29 – Fusione delle rappresentanze sindacali aziendali.

Quando le rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 si siano costituite nell’ambito di due o piè delle associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell’articolo predetto, nonché nella ipotesi di fusione di piè rappresentanze sindacali, i limiti numerici stabiliti dall’articolo 23, secondo comma, si intendono riferiti a ciascuna delle associazioni sindacali unitariamente rappresentate nella unità produttiva.

Quando la formazione di rappresentanze sindacali unitarie consegua alla fusione delle associazioni di cui alle lettere a) e b) del primo comma dell’articolo 19, i limiti numerici della tutela accordata ai dirigenti di rappresentanze sindacali aziendali, stabiliti in applicazione dell’articolo 23, secondo comma, ovvero del primo comma del presente articolo restano immutati.

ARTICOLO 30 – Permessi per i dirigenti provinciali e nazionali.

I componenti degli organi direttivi, provinciali e nazionali, delle associazioni di cui all’articolo 19 hanno diritto a permessi retribuiti, secondo le norme dei contratti di lavoro, per la partecipazione alle riunioni degli organi suddetti.

ARTICOLO 31 – Aspettativa dei lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive o a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali.

I lavoratori che siano eletti membri del Parlamento nazionale o del Parlamento europeo o di assemblee regionali ovvero siano chiamati ad altre funzioni pubbliche elettive possono, a richiesta, essere collocati in aspettativa non retribuita, per tutta la durata del loro mandato (1).

La medesima disposizione si applica ai lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali provinciali e nazionali.

I periodi di aspettativa di cui ai precedenti commi sono considerati utili, a richiesta dell’interessato, ai fini del riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della pensione a carico dell’assicurazione generale obbligatoria di cui al regio decreto-legge 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modifiche ed integrazioni, nonchè a carico di enti, fondi, casse e gestioni per forme obbligatorie di previdenza sostitutive della assicurazione predetta, o che ne comportino comunque l’esonero.

Durante i periodi di aspettativa l’interessato, in caso di malattia, conserva il diritto alle prestazioni a carico dei competenti enti preposti alla erogazione delle prestazioni medesime.

Le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma non si applicano qualora a favore dei lavoratori siano previste forme previdenziali per il trattamento di pensione e per malattia, in relazione all’attività espletata durante il periodo di aspettativa (2) (3).

(1) Comma sostituito dall’articolo 2, comma 2, della legge 13 agosto 1979, n. 384.

(2) A norma dell’articolo 16-ter, del D.L. 2 marzo 1974, n. 30, i periodi di aspettativa di cui al presente articolo, sono considerati come periodi di effettivo lavoro ai fini dell’applicazione delle norme sugli assegni familiari di cui al testo unico 30 maggio 1955, n. 797, o della corresponsione di altri trattamenti per i familiari a carico comunque denominati.

(3) A norma dell’articolo 22, comma 39, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, le disposizioni di cui al presente articolo, si interpretano nel senso della sua applicabilità ai dipendenti pubblici eletti nel Parlamento nazionale, nel Parlamento europeo e nei consigli regionali.

ARTICOLO 32 – Permessi ai lavoratori chiamati a funzioni pubbliche elettive.

I lavoratori eletti alla carica di consigliere comunale o provinciale che non chiedano di essere collocati in aspettativa sono, a loro richiesta, autorizzati ad assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario all’espletamento del mandato, senza alcuna decurtazione della retribuzione.

I lavoratori eletti alla carica di sindaco o di assessore comunale, ovvero di presidente di giunta provinciale o di assessore provinciale hanno diritto anche a permessi non retribuiti per un minimo di trenta ore mensili (1) (2).

(1) A norma dell’articolo 16-ter, del D.L. 2 marzo 1974, n. 30, i periodi di aspettativa di cui al presente articolo, sono considerati come periodi di effettivo lavoro ai fini dell’applicazione delle norme sugli assegni familiari di cui al testo unico 30 maggio 1955, n. 797, o della corresponsione di altri trattamenti per i familiari a carico comunque denominati.

(2) Il presente articolo è stato sostituito dalle disposizioni della legge 27 dicembre 1985, n. 816, come stabilito dall’articolo 28 della legge medesima.

TITOLO V – NORME SUL COLLOCAMENTO

ARTICOLO 33 – Collocamento.

[La commissione per il collocamento, di cui all’art. 26 della legge 29 aprile 1949, n. 264, è costituita obbligatoriamente presso le sezioni zonali, comunali e frazionali degli Uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione, quando ne facciano richiesta le organizzazioni sindacali dei lavoratori piè rappresentative.

Alla nomina della commissione provvede il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, il quale, nel richiedere la designazione dei rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, tiene conto del grado di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e assegna loro un termine di 15 giorni, decorso il quale provvede d’ufficio.

La commissione è presieduta dal dirigente della sezione zonale, comunale, frazionale, ovvero da un suo delegato, e delibera a maggioranza dei presenti. In caso di parità prevale il voto del presidente.

La commissione ha il compito di stabilire e di aggiornare periodicamente la graduatoria delle precedenze per l’avviamento al lavoro, secondo i criteri di cui al quarto comma dell’art. 15 della legge 29 aprile 1949, n. 264.

Salvo il caso nel quale sia ammessa la richiesta nominativa, la sezione di collocamento, nella scelta del lavoratore da avviare al lavoro, deve uniformarsi alla graduatoria di cui al comma precedente, che deve essere esposta al pubblico presso la sezione medesima e deve essere aggiornata ad ogni chiusura dell’ufficio con la indicazione degli avviati.

Devono altresì essere esposte al pubblico le richieste numeriche che pervengono dalle ditte.

La commissione ha anche il compito di rilasciare il nulla osta per l’avviamento al lavoro ad accoglimento di richieste nominative o di quelle di ogni altro tipo che siano disposte dalle leggi o dai contratti di lavoro.

Nei casi di motivata urgenza, l’avviamento è provvisoriamente autorizzato dalla sezione di collocamento e deve essere convalidato dalla commissione di cui al primo comma del presente articolo entro dieci giorni.

Dei dinieghi di avviamento al lavoro per richiesta nominativa deve essere data motivazione scritta su apposito verbale in duplice copia, una da tenere presso la sezione di collocamento e l’altra presso il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro.

Tale motivazione scritta deve essere immediatamente trasmessa al datore di lavoro richiedente.

Nel caso in cui la commissione neghi la convalida ovvero non si pronunci entro venti giorni dalla data della comunicazione di avviamento, gli interessati possono inoltrare ricorso al direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro, il quale decide in via definitiva, su conforme parere della commissione di cui all’art. 25 della legge 29 aprile 1949, n. 264.

I turni di lavoro di cui all’art. 16 della legge 29 aprile 1949, n. 264, sono stabiliti dalla commissione e in nessun caso possono essere modificati dalla sezione.

Il direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro annulla d’ufficio i provvedimenti di avviamento e di diniego di avviamento al lavoro in contrasto con le disposizioni di legge. Contro le decisioni del direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro è ammesso ricorso al Ministro per il lavoro e la previdenza sociale.

Per il passaggio del lavoratore dall’azienda nella quale è occupato ad un’altra occorre il nulla osta della sezione di collocamento competente.

Ai datori di lavoro che non assumono i lavoratori per il tramite degli uffici di collocamento, sono applicate le sanzioni previste dall’art. 38 della presente legge.

Le norme contenute nella legge 29 aprile 1949, n. 264, rimangono in vigore in quanto non modificate dalla presente legge.] (1)

(1) Articolo abrogato dall’articolo 8 del D.LGS. del 19 dicembre 2002, n. 297.

ARTICOLO 34 – Richieste nominative di manodopera.

[A decorrere dal novantesimo giorno dall’entrata in vigore della presente legge, le richieste nominative di manodopera da avviare al lavoro sono ammesse esclusivamente per i componenti del nucleo familiare del datore di lavoro, per i lavoratori di concetto e per gli appartenenti a ristrette categorie di lavoratori altamente specializzati, da stabilirsi con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentita la commissione centrale di cui alla legge 29 aprile 1949, n. 264.] (1)

(1) Articolo abrogato dall’articolo 8 del D.LGS. del 19 dicembre 2002, n. 297.

TITOLO VI – DISPOSIZIONI FINALI E PENALI

ARTICOLO 35 – Campo di applicazione.

Per le imprese industriali e commerciali, le disposizioni del titolo III, ad eccezione del primo comma dell’articolo 27, della presente legge si applicano a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupa piè di quindici dipendenti. Le stesse disposizioni si applicano alle imprese agricole che occupano piè di cinque dipendenti (1).

Le norme suddette si applicano, altresì, alle imprese industriali e commerciali che nell’ambito dello stesso comune occupano piè di quindici dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano piè di cinque dipendenti anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti.

Ferme restando le norme di cui agli articoli 1, 8, 9, 14, 15, 16 e 17, i contratti collettivi di lavoro provvedono ad applicare i principi di cui alla presente legge alle imprese di navigazione per il personale navigante (2).

(1) Comma modificato dall’articolo 6, comma 1, della legge 11 maggio 1990, n. 108.

(2) La Corte costituzionale, con sentenza 3 aprile 1987, n. 96, (in Gazz. Uff., 8 aprile 1987, n. 15), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al personale marittimo navigante delle imprese di navigazione anche dell’art. 18 precedente. Con successiva sentenza 31 gennaio 1991, n. 41, (in Gazz. Uff., 6 febbraio 1991, n. 6), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al personale navigante delle imprese di navigazione aerea anche dell’art. 18 precedente, come modificato dall’art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108. Con sentenza 23 luglio 1991, n. 364, (in Gazz. Uff., 31 luglio 1991, n. 30), ha infine dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma, nella parte in cui non prevede la diretta applicabilità al personale navigante delle imprese di navigazione dei commi 1, 2 e 3 dell’art. 7 precedente.

ARTICOLO 36 – Obblighi dei titolari di benefici accordati dallo Stato e degli appaltatori di opere pubbliche (1).

Nei provvedimenti di concessione di benefici accordati ai sensi delle vigenti leggi dallo Stato a favore di imprenditori che esercitano professionalmente un’attività economica organizzata e nei capitolati di appalto attinenti all’esecuzione di opere pubbliche, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il beneficiario o appaltatore di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.

Tale obbligo deve essere osservato sia nella fase di realizzazione degli impianti o delle opere che in quella successiva, per tutto il tempo in cui l’imprenditore beneficia delle agevolazioni finanziarie e creditizie concesse dallo Stato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge.

Ogni infrazione al suddetto obbligo che sia accertata dalla Direzione regionale del lavoro viene comunicata immediatamente ai Ministri nella cui amministrazione sia stata disposta la concessione del beneficio o dell’appalto. Questi adotteranno le opportune determinazioni, fino alla revoca del beneficio, e nei casi piè gravi o nel caso di recidiva potranno decidere l’esclusione del responsabile, per un tempo fino a cinque anni, da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto.

Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie e creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali l’Ispettorato del lavoro comunica direttamente le infrazioni per l’adozione delle sanzioni (2).

(1) La Corte cost., con sent. 19 giugno 1998, n. 226, (in Gazz. Uff., 24 giugno, n. 25), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo, nella parte in cui non prevede che, nelle concessioni di pubblico servizio, deve essere inserita la clausola esplicita determinante l’obbligo per il concessionario di applicare o di far applicare nei confronti dei lavoratori dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.

(2) A norma dell’articolo 6, del D.M. 7 novembre 1996, n. 687, le funzioni attribuite all’ispettorato provinciale del lavoro, sono svolte dalla direzione provinciale del lavoro.

ARTICOLO 37 – Applicazione ai dipendenti da enti pubblici.

Le disposizioni della presente legge si applicano anche ai rapporti di lavoro e di impiego dei dipendenti da enti pubblici che svolgano esclusivamente o prevalentemente attività economica. Le disposizioni della presente legge si applicano altresì ai rapporti di impiego dei dipendenti dagli altri enti pubblici, salvo che la materia sia diversamente regolata da norme speciali.

ARTICOLO 38 – Disposizioni penali.

Le violazioni degli articoli 2, 5, 6, e 15, primo comma lettera a) , sono punite, salvo che il fatto non costituisca piè grave reato, con l’ammenda da euro 154 a euro 1.549 o con l’arresto da 15 giorni ad un anno (1) (2) .

Nei casi piè gravi le pene dell’arresto e dell’ammenda sono applicate congiuntamente.

Quando per le condizioni economiche del reo, l’ammenda stabilita nel primo comma può presumersi inefficace anche se applicata nel massimo, il giudice ha facoltà di aumentarla fino al quintuplo.

Nei casi previsti dal secondo comma, l’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna nei modi stabiliti dall’articolo 36 del codice penale.

(1) La misura dell’ammenda è stata così elevata dall’articolo 113, comma 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

(2) Comma modificato dall’articolo 179, comma 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, con effetto a decorrere dal 1° gennaio 2004.

ARTICOLO 39 – Versamento delle ammende al Fondo adeguamento pensioni.

L’importo delle ammende è versato al Fondo adeguamento pensioni dei lavoratori.

ARTICOLO 40 – Abrogazione delle disposizioni contrastanti.

Ogni disposizione in contrasto con le norme contenute nella presente legge è abrogata.

Restano salve le condizioni dei contratti collettivi e degli accordi sindacali piè favorevoli ai lavoratori.

ARTICOLO 41 – Esenzioni fiscali.

Tutti gli atti e documenti necessari per la attuazione della presente legge e per l’esercizio dei diritti connessi, nonché tutti gli atti e documenti relativi ai giudizi nascenti dalla sua applicazione sono esenti da bollo, imposte di registro o di qualsiasi altra specie e da tasse.


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