Richiesta al lavoratore candidato all’assunzione di certificati penali | ADLABOR

La certificazione penale può riguardare sia l’esistenza di precedenti condanne passate in giudicato (“estratto del casellario giudiziale” comunemente definito “fedina penale”), sia l’esistenza di procedimenti penali in corso (“certificato dei carichi pendenti”).

In via generale si ritiene che, nel settore dell’impiego privato, la richiesta al lavoratore, tanto in fase di selezione, quanto in costanza di rapporto di lavoro, sia illecita per il combinato disposto dell’art. 8 della Legge 300/1970 (in quanto attinente “fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore” ed art. 27 del D.Lgs. 196/2003, in quanto non autorizzata “da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante che specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico del trattamento, i tipi di dati trattati e di operazioni eseguibili”.

Le norme citate dispongono quindi in via generale che la richiesta di certificati penali dev’essere pertanto considerata vietata (e quindi illecita) laddove questa non sia:

– rilevante ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore (art. 8 L. 300/1970);

– autorizzata da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante che specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico del trattamento, i tipi di dati trattati e di operazioni eseguibili (art. 27 del D.Lgs. 196/2003).

Per la dottrina prevalente e la giurisprudenza esistente in materia (peraltro ridottissima), inoltre, sarebbe comunque esclusa la legittimità della richiesta del certificato dei carichi pendenti (relativo cioè a procedimenti penali in corso), in quanto questa violerebbe la presunzione di innocenza fino al passaggio in giudicato della condanna penale, sancito dall’art. 27 della Costituzione.

La giurisprudenza, infine ha precisato che l’illegittimità prescinde da una formale richiesta del datore di lavoro al lavoratore, in quanto la violazione dell’art. 8 dello Statuto sarebbe integrata dalla materiale acquisizione del documento, indipendentemente dalle modalità di acquisizione e dalle finalità avute di mira dal datore di lavoro.

Sulla materia dell’eventuale illegittima acquisizione delle informazioni in oggetto si è reperito un solo precedente giurisprudenziale, peraltro risalente al 1980, in base alla quale il giudice ha stabilito che rispondono, oltre alle persone che hanno materialmente richiesto la certificazione, anche l’amministratore ed i dirigenti della società, in quanto sia dimostrato che erano al corrente della situazione e che, nell’ambito dei rispettivi poteri, nulla fecero per rimuovere le cause di una evidente attività selettiva posta in essere in violazione dell’indicato art. 8 (Pret. Milano, 17 giugno 1980).

Un’interpretazione letterale di tali norme può però far ritenere che la richiesta sia legittima a condizione che:

– vi siano specifiche norme di legge o provvedimenti del Garante della Privacy che lo prevedano;

– vi sia un rilevante interesse pubblico che giustifichi la richiesta;

– l’esistenza di precedenti condanne penali possa essere rilevante ai fini dello svolgimento delle mansioni che potrebbero affidate al candidato all’assunzione o al lavoratore già in forza;

– che il certificato richiesto riguardi soltanto l’esistenza di precedenti condanne penali passate in giudicato;

– le informazioni ottenute siano trattate con particolare attenzione ai fini della privacy

Normativa di riferimento

Art. 8 Legge 300/1970 (STATUTO DEI LAVORATORI) – Divieto di indagini sulle opinioni. “È’ fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.”

Art. 4 comma 1, lett. e) D.Lgs. 196/2003 (CODICE DELLA PRIVACY) – Definizioni: “1. Ai fini del presente codice si intende per: (omissis) e) “dati giudiziari”, i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale;”

Art. 27 D.Lgs. 196/2003 (CODICE DELLA PRIVACY) – Garanzie per i dati giudiziari: “1. Il trattamento di dati giudiziari da parte di privati o di enti pubblici economici è consentito soltanto se autorizzato da espressa disposizione di legge o provvedimento del Garante che specifichino le rilevanti finalità di interesse pubblico del trattamento, i tipi di dati trattati e di operazioni eseguibili. Si applica quanto previsto dall’articolo 21, comma 1-bis (“1-bis. Il trattamento dei dati giudiziari e’ altresi’ consentito quando e’ effettuato in attuazione di protocolli d’intesa per la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di criminalita’ organizzata stipulati con il Ministero dell’interno o con i suoi uffici periferici di cui all’ articolo 15, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 , previo parere del Garante per la protezione dei dati personali, che specificano la tipologia dei dati trattati e delle operazioni eseguibili”)

Art. 2, comma 3, DPR 487/1994 (Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi) – Requisiti generali: “3. Non possono accedere agli impieghi coloro che siano esclusi dall’elettorato politico attivo e coloro che siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione per persistente insufficiente rendimento, ovvero siano stati dichiarati decaduti da un impiego statale, ai sensi dell’art. 127, primo comma, lettera d) del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 ”

Art. 10 D.Lgs. 276/2003 – Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori: “1. È fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all’orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla età, all’handicap, alla razza, all’origine etnica, al colore, alla ascendenza, all’origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento della attività lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell’attività lavorativa. È altresì fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo.

Giurisprudenza

– Pretura Milano 17/06/1980 in Rivista giuridica del lavoro 1982, IV,148 “In forza dell’art. 8 dello statuto dei lavoratori, deve considerarsi in via generale vietata la richiesta del certificato penale del lavoratore da parte del datore di lavoro, salvo che, per particolari mansioni o per la particolare natura del rapporto di lavoro sussista lo speciale interesse richiesto dall’art. 607 c.p.p. La violazione dell’art. 8 dello statuto è integrata dalla semplice richiesta del certificato penale, indipendentemente dalla materiale acquisizione del documento, ed indipendentemente dalle finalità avute di mira dal datore di lavoro. Della violazione, incorsa in occasione di procedure irregolari di collocamento operaio, sono responsabili l’amministratore ed i dirigenti della società in quanto sia dimostrato che erano al corrente della situazione e che, nell’ambito dei rispettivi poteri, nulla fecero per rimuovere le cause di una evidente attività selettiva posta in essere in violazione dell’indicato art. 8.”

– Tribunale Milano 08/05/1982, in Orient. giur. lav. 1982, 741. “È’ illegittima e di conseguenza inefficace la clausola regolamentare che pone il requisito della mancanza di carichi pendenti ai fini dell’assunzione di un lavoratore sia perché l’attribuzione di un significato dirimente ed ostativo al carico pendente cozza con il principio di presunzione d’innocenza di cui all’art. 27 cost. e viola, nella specie, la norma garantista di cui all’art. 8 dello statuto dei lavoratori, sia perché essa, non essendo stata introdotta espressamente nel bando di concorso non era conoscibile dai candidati”.


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