CAMBI D’APPALTO – TRASFERIMENTO D’AZIENDA – CONDIZIONI | ADLABOR

La Legge Europea 2015-2016 (L. 122/2016), in vigore dal 23 luglio 2016, ha riformato il comma 3 dell’art. 29 del D. Lgs. 276/2003 (c.d. Legge Biagi) in tema di cambio di appalto.

Più precisamente tale norma prevedeva, prima della modifica legislativa, che l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, non costituiva trasferimento d’azienda, e come tale non trovava applicazione la disciplina contenuta nell’art. 2112 c.c., che  impone al cessionario dell’impresa di acquisire, senza soluzione di continuità, tutto il personale impiegato nel ramo di azienda trasferito, garantendo il mantenimento dei diritti acquisiti e l’applicazione dei trattamenti economici e normativi già in essere.

Alcuni contratti collettivi (ad es. nel settore pulizie, mense aziendali, trasporto etc…) hanno, da tempo previsto speciali procedure di informazione e consultazione con le OO.SS, nonché l’obbligo per il soggetto subentrante di assumere, a parità di condizioni, i lavoratori già addetti all’appalto.

Si tratta, comunque, di obblighi di contrarre, la cui esecuzione dà origine a un nuovo rapporto di lavoro distinto dal precedente, e quindi anche con la possibilità, per ipotesi, nell’ambito della trattativa, di assegnare diverso inquadramento e retribuzione, ciò a differenza delle tutele stabilite dall’art. 2112 c.c..

Da segnalare però, che ancora prima della recente novella, e quindi sotto il vigore dell’art. 29 pre-riforma, la nostra Corte di Cassazione – sulla spinta della Giurisprudenza comunitaria – aveva già individuato alcune ipotesi nelle quali era configurabile un trasferimento d’azienda in caso di “semplice” cambio d’appalto.

E ciò accadeva quando si verificasse – in aggiunta all’assunzione dal parte dell’appaltatore dei dipendenti già addetti all’appalto – anche il passaggio di beni di non trascurabile entità (ad es. Cass. 16 maggio 2013, n. 11918; Cass. 15 ottobre 2010, n. 21278).

In tali casi, secondo i Giudici, si verificava un vero e proprio trasferimento d’azienda (con la conseguente applicabilità dell’art. 2112 cod. civ.) giacché il subentrante non si limitava a rimpiazzare l’appaltatore uscente, bensì acquisiva mezzi e strumenti essenziali per l’esercizio della specifica attività d’impresa.

 

Il nuovo art. 29

In caso di cambio d’appalto, il trasferimento d’azienda è da escludersi allorquando:

(i) il soggetto subentrante sia dotato di propria struttura organizzativa e operativa

(ii) siano elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d’impresa.

La nuova normativa, al contrario rispetto alla precedente, ritiene che in caso di cambio di appalto si applichi la disciplina dell’art. 2112 c.c. salvo che ricorrano le due condizioni sopra indicate, ossia che il nuovo soggetto appaltatore, nonostante abbia riassunto parte essenziale dei dipendenti dell’appaltatore uscente, li inserisca in una propria organizzazione di impresa attraverso la quale, però, il servizio viene realizzato in modo “discontinuo” rispetto al precedente.

Circa il primo requisito, chi subentra dovrebbe avere una struttura imprenditoriale che sia effettiva e reale e che si distingua in maniera non solo formale ma anche sostanziale con l’impresa uscente; sicuramente elementi in tal senso sono avere propria struttura organizzativa/gestionale (un minimo di organico dipendenti e/o collaboratori), e un certo numero di appalti e/o comunque di attività/incarichi.

Fondamentale che non siano trasferiti – unitamente ai dipendenti già assegnati all’appalto – anche beni e mezzi di rilevante entità che siano stati utilizzati dall’imprenditore uscente.

Per identificare il secondo requisito, che fa riferimento all’ “identità d’impresa”, occorre richiamare la giurisprudenza sul punto.

Più precisamente la giurisprudenza comunitaria ha avuto occasione chiarire tale termine sostenendo che l’identità d’impresa sussiste ogniqualvolta venga essenzialmente conservato il complesso dei beni materiali e immateriali, comprensivi del personale e delle sue competenze, necessari e imprescindibili all’esercizio di una specifica e stabile attività economico – imprenditoriale: non basta, pertanto, la mera cessione di alcuni mezzi o l’assunzione di qualche dipendente per poter parlare di conservazione dell’identità (ex multis Corte Giust. 11 marzo 1997 (causa 13/95), Suzen c. Zehnacker).

Anche la Corte di Cassazione ritiene che si conservi l’identità d’impresa quando permangano gli stessi mezzi, beni e rapporti giuridici funzionali all’esercizio stabile e continuativo di attività economica in forma d’impresa (da ultimo Cass. 17 gennaio 2013), n. 1102).

In mancanza di ulteriori precisazioni normative, in questa fase, oltre quanto già sopra segnalato, risulta difficile definire in modo preciso i due requisiti sopra indicati e quindi si dovrà attendere, come per altre normative, l’interpretazione che di questa norma ne daranno i Giudici.

La nuova disposizione (come la precedente) si applica a tutti i casi di acquisizione del personale, sia che questa avvenga sulla base di una norma di legge (per esempio come accade per i call center, dove è stata introdotta dal nuovo codice appalti la cosiddetta clausola sociale) sia quando il personale sia trasferito al soggetto subentrante in virtù di una clausola di un contratto collettivo nazionale di lavoro oppure di un contratto d’appalto.

La trattativa sindacale, nei cambi di appalto, nei settori ove è previsto dal CCNL una procedura di confronto sindacale, sarà lo strumento utilizzato per definire l’applicabilità o meno delle garanzie di cui all’art. 2112 c.c. e, quindi, organizzare al meglio i costi e le risorse evitando anche il contenzioso.

A cura di Marcella Mensi


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