PATTO DI PROVA – INDICAZIONE DELLE MANSIONI – DURATA | ADLABOR | ISPER HR Review

Il codice civile, all’articolo 2096, oltre a prevedere la forma scritta, impone che “l’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova”. Oggetto dell’esperimento è quindi la valutazione, per entrambe le parti, a verificare la rispettiva convenienza al rapporto di lavoro. Ma proprio perché la prova assolva alla sua funzione valutativa è necessario che il suo contenuto sia specificamente indicato. In concreto al lavoratore dovrà essere formalizzata l’attività per la quale verrà giudicato. Usualmente le mansioni da attribuire a un lavoratore in prova vengono ricondotte nell’ambito delle scale classificatorie dei contratti collettivi. Ma non è sufficiente indicare nella lettera di assunzione in prova il riferimento ad una categoria contrattuale perché questa, soprattutto nei casi in cui al suo interno vi siano diversi profili professionali, potrebbe non essere sufficientemente indicativa del concreto oggetto dell’esperimento. Ed infatti la giurisprudenza si è ripetutamente espressa nel senso di richiedere, per la validità di un patto di prova, un’indicazione specifica non ritenendo sufficiente l’identificazione delle mansioni attraverso il richiamo per relationem ad una determinata categoria contrattuale (ad esempio impiegato terzo livello) in quanto inidoneo, in difetto di altre indicazioni, a consentire la identificazione ex ante delle concrete mansioni di adibizione del lavoratore in prova. Ed anche recentemente la Cassazione si è espressa in questo senso stigmatizzando il difetto di specificità di un patto di prova che richiamava unicamente la qualifica (operaio) ed il livello (quinto) del c.c.n.l. applicabile, evidenziando che in un determinato livello possono essere accorpati più profili per cui sarebbe stata necessaria l’indicazione del singolo profilo risultando generica quella della sola categoria. Occorrerà quindi, in sede di assunzione in prova, indicare con sufficiente specificità l’incarico del neoassunto onde evitare, in caso di recesso in prova, una declaratoria di nullità del patto di prova con trasformazione del rapporto a tempo indeterminato e conseguente illegittimità della risoluzione del rapporto ove operata senza motivazione in virtù del fatto che sia avvenuta in periodo di prova.
Altro elemento da tenere in considerazione nel periodo di prova è la sua durata normalmente fissata dalla contrattazione collettiva. Proprio perché l’articolo 2096 codice civile sopra richiamato impone di consentire e fare l’esperimento, si può ritenere che sia necessario un congruo lasso di tempo affinché il lavoratore possa dimostrare le sue capacità e attitudini rispetto alle mansioni che viene chiamato ad espletare. Così un recesso in prova operato dopo poco tempo dall’inizio del rapporto potrebbe essere inficiato proprio perché non ha consentito una valutazione adeguata. A meno che il lavoratore evidenzi immediatamente di non avere i requisiti o non essere in grado di espletare le mansioni oggetto della prova ma in questo caso sarà opportuno possedere dei riscontri obiettivi da mostrare in sede di un eventuale contenzioso. Ed infatti è buona norma raccogliere, durante il periodo di prova, le valutazioni dei superiori del lavoratore sulle modalità con cui questi esegue le attività che gli vengono richieste al fine di certificare, in caso di esito negativo dell’esperimento, che il datore di lavoro ha operato un’adeguata analisi delle attitudini e delle capacità del lavoratore, giungendo ad una prognosi negativa sulla scorta di elementi oggettivi.

Per un maggiore approfondimento sul patto di prova consulta:

https://www.adlabor.it/interpretazioni/prova-patto/patto-di-prova

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 3 novembre 2021


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