Cambio di appalto e licenziamento collettivo | ADLABOR
Subentro di un nuovo appaltatore: quando attivare la procedura di licenziamento collettivo? A dirimere i dubbi interviene la Suprema Corte.
Il Decreto Legge 31 dicembre 2007, n. 248, articolo 7, al comma 4 bis, introdotto dalla legge di conversione 28 febbraio 2008, n. 31, ha previsto che “Nelle more della completa attuazione della normativa in materia di tutela dei lavoratori impiegati in imprese che svolgono attività di servizi in appalto e al fine di favorire la piena occupazione e di garantire l’invarianza del trattamento economico complessivo dei lavoratori, l’acquisizione del personale già impiegato nel medesimo appalto, a seguito del subentro di un nuovo appaltatore, non comporta l’applicazione delle disposizioni di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, articolo 24, e successive modificazioni, in materia di licenziamenti collettivi, nei confronti dei lavoratori riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative o a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative“.
La norma ha quindi espressamente previsto la non applicazione della procedura di licenziamento collettivo di cui alla L. n. 223/1991, nel caso in cui si realizzi il subentro, in un appalto di servizi, di un nuovo appaltatore che proceda all’assunzione del personale occupato su quel determinato appalto.
Tuttavia cosa accade se l’azienda subentrante procede all’assunzione del personale impiegato nell’appalto, applicando ai lavoratori diverse condizioni economico-normative? Il datore di lavoro uscente dall’appalto deve o meno attivare la procedura di licenziamento collettivo nel caso in cui debbano passare al nuovo appaltatore almeno 5 dipendenti?
La Suprema Corte si è pronunciata sul punto, con sentenza n. 23732 del 22 novembre 2016, affermando la necessità di attivare la procedura di licenziamento collettivo ogniqualvolta l’impresa subentrante non applichi ai propri lavoratori le medesime condizioni economico-normative godute dai dipendenti presso l’azienda uscente.
La Corte di Cassazione giunge a questa conclusione, esaminando l’ambito di applicazione della procedura ex L. 223/1991, a seguito della analisi dell’articolo 7, comma 4 bis del D.L., n. 248/2007.
La norma citata infatti esclude l’obbligo di attivare la procedura di licenziamento collettivo in caso di cambio di appalto solo se i lavoratori impiegati siano riassunti dall’azienda subentrante a parità di condizioni economiche e normative previste dai contratti collettivi nazionali di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, oppure che siano riassunti a seguito di accordi collettivi stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative.
Secondo i giudici di legittimità, solo in presenza di tali presupposti la situazione fattuale costituisce sufficiente garanzia per i lavoratori, risultando la loro posizione adeguatamente tutelata, ed esonera dal rispetto dei requisiti procedurali richiamati dalla L. n. 223 del 1991, articolo 24. Infatti, nel corso del giudizio, la Società uscente aveva eccepito di non aver potuto conoscere, al momento del cambio di appalto e quindi del recesso con i lavoratori ivi impiegati, se le condizioni economico-normative che sarebbero state applicate ai lavoratori dall’azienda subentrante fossero identiche a quelle precedentemente applicate (e ciò evidentemente in assenza di un accordo sindacale tra le aziende, n.d.r.).
La Suprema Corte, invece, ha respinto tale eccezione formulata dalla società uscente, confermando con un’interpretazione rigorosa della norma, (ma che non tiene conto delle circostanze concrete tipiche delle procedure dei cambi di appalto, che talvolta si perfezionano in pochi giorni), il principio per cui se le caratteristiche del nuovo rapporto vengono modificate dalla subentrante è necessario per l’azienda uscente, ai fini della legittimità del recesso, attivare la procedura di licenziamento.
Pertanto, in presenza di un’azienda subentrante che assuma il personale impiegato in un appalto a condizioni economico-normative diverse da quelle precedenti (ad es. rapporto part-time in luogo di un full-time) è necessario che l’azienda uscente, attivi la procedura di licenziamento collettivo, in caso di risoluzione con 5 o più dipendenti, o altrimenti, se i dipendenti da licenziare sono meno di 5, la procedura ex art. 7. L. 604/1966 prevista per i licenziamenti individuali.
Alla luce anche dell’interpretazione restrittiva espressa dalla Suprema Corte, sarebbe quindi consigliabile, per l’appaltatore uscente, anche in considerazione delle tempistiche delle procedure di licenziamento e di quelle dei cambi d’appalto, attivare in ogni caso la procedura di licenziamento collettivo, in prospettiva di un cambio di appalto, salvo poi revocarla o utilizzarla solo parzialmente, nel caso in cui tutti o parte dei lavoratori passino all’azienda subentrante alle medesime condizioni ovvero si raggiunga con l’azienda subentrante e le OO.SS. un accordo sindacale per il passaggio dei lavoratori alle dipendenze del nuovo appaltatore, anche a condizioni diverse.
Infine, la sentenza n. 23732/2016 della Cassazione conferma l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato secondo il quale la scelta del lavoratore di costituire un nuovo rapporto con la società subentrante nell’appalto non implica, di per se’, alcuna rinuncia all’impugnazione dell’atto di recesso, dovendosi escludere che si possa desumere la rinuncia del lavoratore ad impugnare il licenziamento o l’acquiescenza al medesimo dal reperimento di una nuova occupazione, temporanea o definitiva, non rivelandosi, in tale scelta, in maniera univoca, ancorché implicita, la sicura intenzione del lavoratore di accettare l’atto risolutivo.
A cura di Francesco Bedon