CIG – Rapporti e compatibilità con altri istituti (Permessi L. 104/1992, congedo parentale, malattia) – ADLABOR
Trattamento di integrazione salariale e permessi Legge 104/1992
L’art. 3, comma 33, L. 104/1992 prevede che il lavoratore che assiste una persona in condizione di grave disabilità – coniuge, parente o affine entro un certo grado – abbia il diritto di fruire, anche continuativamente, di 3 giorni di permesso mensile retribuito coperto da contribuzione figurativa.
Tali giorni di permesso sono retribuiti integralmente e il costo è a carico dell’Ente previdenziale.
Il DL 18/2020, ai 3 giorni al mese previsti dalla norma, ne ha aggiunti altri 12 complessivi per i mesi di marzo e aprile 2020.
Fermo restando che i 3 giorni previsti dalla legge dovranno essere fruiti sempre nell’arco del mese (quindi 3 giorni a marzo e 3 giorni ad aprile), gli ulteriori 12 giorni possono essere fruiti suddivisi tra i due mesi o anche tutti in un unico mese, presumibilmente aprile, sia consecutivamente, sia frazionati in ore.
- Sospensione della prestazione a zero ore
E se un lavoratore collocato in cig a zero ore o che sarà collocato in cig a zero ore comunichi al datore di lavoro di voler fruire dei giorni di permesso di cui sopra (ad esempio, 15 giorni nel mese di aprile)?
L’istituto dei permessi Legge 104/1992 ha lo scopo di riconoscere al lavoratore del tempo libero (ordinariamente 3 giorni al mese) per assistere il familiare in condizione di grave disabilità senza subire, per effetto dell’assenza dal lavoro, decurtazioni retributive.
Pertanto il presupposto per fruire dei permessi Legge 104/1992 è l’obbligo di svolgere la prestazione lavorativa che costituisce l’elemento ostativo alla possibilità del lavoratore di assistere il familiare.
In assenza, quindi, dell’obbligo di svolgere la prestazione lavorativa per effetto della sospensione a zero ore della stessa, con riconoscimento dell’integrazione salariale, viene meno la ratio del permesso stesso.
Infatti, se il lavoratore è sospeso a zero ore, in cassa integrazione o con assegno ordinario, è già assente dal lavoro e pertanto libero di assistere il familiare in condizioni di grave disabilità.
In base alla normativa vigente e ai chiarimenti dell’Inps, nel periodo di sospensione della prestazione a zero ore il lavoratore non dovrebbe quindi avere diritto ai permessi della Legge 104/1992 (nemmeno, evidentemente, dei 12 giorni aggiuntivi previsti dal DL 18/2020).
- Riduzione dell’orario di lavoro
Diverso è il caso in cui il lavoratore non sia sospeso a zero ore ma lavori ad orario ridotto con integrazione salariale per le ore non prestate.
In questo caso, occorre distinguere tra:
- ipotesi in cui nel mese vi siano giornate interamente lavorate ed altre con sospensione a zero ore, ad esempio due settimane lavorate e due settimane in cassa (fattispecie assimilabile al part-time verticale);
- ipotesi in cui la riduzione dell’orario sia giornaliera, ad esempio, 4 ore di lavoro e 4 di sospensione in cassa (fattispecie, questa, assimilabile al part-time orizzontale).
Con riferimento al mese lavorato per alcuni giorni a tempo pieno e per altri con prestazione lavorativa sospesa a zero ore con integrazione salariale, si renderà necessario un ridimensionamento proporzionale del numero dei giorni di permesso fruibili (che siano 3 o 15 o un numero diverso).
Ciò era stato, peraltro, chiarito dal Ministero del Lavoro con interpello 46/2008.
Parimenti l’Inps con messaggio 26411/2009 ha chiarito che “in casi di ridotta entità della prestazione lavorativa, come nel contratto di lavoro part time verticale (…) si rende necessario effettuare un ridimensionamento proporzionale del numero dei giorni mensili di permesso spettanti ex art. 33, comma 3, l. 104/92. Analogamente, nel caso di riduzione dell’attività lavorativa coincidente con il periodo di integrazione salariale, il diritto alla fruizione dei predetti tre giorni mensili di permesso ex L. 104/92, è soggetto a riproporzionamento in funzione dell’effettiva riduzione della prestazione lavorativa richiesta”.
Da ultimo, proprio a seguito dell’emanazione del DL 18/2020 che ha temporaneamente incrementato, come detto, il numero dei giorni di permesso fruibili, con riferimento al tempo parziale verticale (a cui, appunto, possono essere ricondotte alcune fattispecie di sospensione dell’attività lavorativa per cig), l’Inps con circolare 45/2020 ha ribadito che “con riferimento ai rapporti di lavoro part-time (verticale o misto con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese), fermo restando gli algoritmi previsti dal messaggio n. 3114/2018 per il riprorzionamento dei tre giorni di permesso ordinari previsti dall’articolo 33, commi 3 e 6, della legge n. 104/92, si fornisce di seguito la formula di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento delle ulteriori 12 giornate di permesso previste dal decreto”.
La formula di calcolo riproposta dall’Inps nella circolare 45/2020 (e dalle circolari precedenti) è la seguente:
(orario medio settimanale teoricamente eseguibile dal lavoratore part time verticale o misto) / (orario medio settimanale a tempo pieno) x (numero dei permessi spettanti: 3 in condizioni normali; 3 o 15 o un numero inferiore limitatamente ai mesi di marzo e aprile 2020).
La formula è a ore anziché a giorni in quanto i permessi in questione possono essere frazionati ad ore (la formula a giorni è prevista nel messaggio Inps 26411/2009).
Nel caso, invece, di riduzione del numero delle ore lavorate al giorno e integrazione salariale per le ore non lavorate (fattispecie, appunto, riconducibile al part time orizzontale) il lavoratore avrà diritto al numero dei giorni di permesso previsti dalla legge senza necessità di alcun riproporzionamento.
Trattamento di integrazione salariale e congedi DL 18/2020
Ai genitori di minori fino ai 12 anni di età nel periodo di sospensione dei servizi educativi per l’infanzia e delle attività didattiche disposto con DPCM 4 marzo 2020 e con decorrenza dal 5 marzo successivo, il DL 18/2020 riconosce un periodo di congedo continuativo o frazionato non superiore a 15 giorni da fruire alternativamente tra i due genitori e comunque per il singolo nucleo familiare.
Durante tale congedo è riconosciuta una indennità pari al 50% della retribuzione.
Tale congedo è riconosciuto a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa oltre che altro genitore disoccupato o non lavoratore.
Pertanto è evidente che tale congedo è incompatibile con la sospensione di cig a zero ore.
Il lavoratore avrà diritto al congedo al termine della sospensione a zero ore fino a che permanga la sospensione dei servizi educativi e didattici.
Nel caso, invece, di riduzione dell’orario giornaliero (paragonabile ad un tempo parziale orizzontale), si ritiene che il lavoratore genitore conservi il diritto all’intero periodo di 15 giorni di congedo con indennità del 50% della retribuzione corrispondente all’orario di lavoro ridotto.
Trattamento di integrazione salariale e malattia
L’art. 3, comma 7, D. Lgs. 148/2015 (recante, appunto, disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali), contenuto nel Titolo I e quindi afferente, senza distinzione, alla integrazione salariale sia ordinaria, sia straordinaria (disciplinate rispettivamente al Capo II e III del predetto Titolo), stabilisce che “il trattamento di integrazione salariale sostituisce in caso di malattia l’indennità giornaliera di malattia, nonché l’eventuale integrazione contrattualmente prevista”.
In realtà, alla luce dei chiarimenti intercorsi nel tempo, tale disposizione non implica una generale prevalenza dell’integrazione salariale sull’indennità di malattia.
Nell’interpretazione della norma di cui sopra è intervenuto l’Inps con circolare 197/2015 emessa proprio a seguito dell’emanazione del D. Lgs. 148/2015, effettuando i seguenti chiarimenti:
- malattia insorta durante la sospensione a zero ore:
in questo caso il lavoratore è già sospeso dalla prestazione lavorativa e da alcuni obblighi ad essa connessi tra cui quelli di comunicare al datore di lavoro lo stato di malattia (laddove interamente coincidente con la sospensione), pertanto, il lavoratore continua a percepire il trattamento di integrazione salariale;
- malattia iniziata precedentemente alla collocazione del lavoratore in cig: in questo caso si aprono due ulteriori scenari.
- Se la sospensione a zero ore coinvolge la totalità delle persone in forza nell’ufficio, reparto, squadra o simili cui il lavoratore ammalato appartiene sicché anche quest’ultimo è annoverato tra i lavoratori sospesi, il lavoratore in malattia sarà anch’egli soggetto alla cig in quanto trattamento che avrebbe percepito laddove fosse stato in forza. Ciò in ragione del principio giurisprudenziale secondo cui, a norma dell’art 2110 c.c., al lavoratore in malattia non può, per ciò solo, competere più di quanto compete al lavoratore in servizio.
- Se la sospensione a zero ore non coinvolge la totalità del personale in forza nell’ufficio, reparto, squadra o simili cui appartiene il lavoratore ammalato e nemmeno quest’ultimo, il lavoratore rimarrà in malattia e continuerà, quindi, a beneficiare della relativa indennità e dell’eventuale integrazione a carico azienda contrattualmente prevista.
Recentemente la giurisprudenza di merito, pur con riferimento ad una fattispecie cui si applicava la disciplina precedente il D. Lgs. 148/2015 ha affermato che:“In tema di cassa integrazione, le differenze tra quella straordinaria e quella ordinaria non escludono che quando l’attività produttiva è già totalmente sospesa per intervento della cassa integrazione, sia ordinaria che straordinaria, ed il lavoratore usufruisce del relativo trattamento, la malattia non può determinare quella sospensione del rapporto, ex art. 2110 c.c., cui la indennità di malattia è correlata; mentre, nel caso inverso, e cioè in quello di malattia in atto alla data di intervento della cassa integrazione, se ovviamente richiesta anche per il lavoratore ammalato, la sostituzione dell’integrazione salariale alla indennità giornaliera contrattualmente integrata è pienamente giustificata dal principio che, a norma del detto art. 2110 c.c., non può competere al lavoratore ammalato più di quanto è riconosciuto al lavoratore in servizio” (Trib. Modena, 21.5.2019).
- Nel caso, invece, di mera riduzione dell’orario di lavoro, prevale sempre l’indennità di malattia.