Comporto e licenziamento: indicazione dei periodi di malattia | ADLABOR | ISPER HR Review

Il comporto è un istituto, previsto dell’articolo 2110 Codice Civile, che prevede la facoltà per l’imprenditore di recedere dal contratto di lavoro decorso un determinato periodo.

In sostanza il datore di lavoro è tenuto a conservare il posto di lavoro e a riconoscere il trattamento di malattia “nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dagli usi o secondo equità”.

Ove però il lavoratore versi in malattia per un tempo prolungato è possibile, per il datore di lavoro, licenziare il dipendente per il cosiddetto “superamento del periodo di comporto”. Due sono le fattispecie di comporto usualmente definite “secco” e “per sommatoria”.

Il comporto secco si verifica quando il lavoratore versi in malattia senza interruzione per un determinato periodo mentre quello per sommatoria si realizza quando vi siano più periodi di malattia intervallati da ripresa del lavoro.

Il computo delle assenze per malattia va effettuato tenendo conto di quanto stabiliscono i contratti collettivi.

In mancanza di una disciplina collettiva si applica il criterio dell’equità che, evidentemente, lascia adito ai criteri più svariati ma, in tal caso, può essere utile adoperare come parametro quanto previsto dai contratti collettivi riferibili all’attività aziendale magari largheggiando nei termini.

I contratti collettivi, usualmente, prevedono sia un lasso temporale da tenere come riferimento perché le malattie abbiano rilevanza ai fini del comporto (il cosiddetto arco esterno) sia il numero delle assenze per malattia (il cosiddetto arco interno).

L’arco esterno viene usualmente individuato, ad esempio, in un triennio (normalmente coincidente con la vigenza del contratto collettivo) qualora l’arco interno sia consistente ovvero, in caso di comporti più contenuti, nell’anno solare (calcolando un anno a ritroso dall’ultimo evento morboso) oppure nell’anno civile (1 gennaio – 31 dicembre).

Alcuni contratti prevedono archi interni diversi in funzione dell’anzianità di servizio o del tipo di assenza per malattia quali ricoveri, terapie particolari ecc.

L’arco interno è il numero di giornate di malattia che il contratto collettivo individua al superamento del quale non vi è la conservazione del posto di lavoro.

Il conteggio va effettuato a ritroso partendo dall’ultima malattia e risalendo fino a che non si raggiunge il numero di malattie indicate dal contratto collettivo come soglia oltre la quale non vi è più diritto alla conservazione del posto di lavoro.

Dovranno quindi essere analizzati tutti i certificati di malattia e conteggiate tutte le prognosi (comprese le giornate festive o di riposo presenti all’interno della durata del certificato) la sommatoria delle quali deve superare l’arco interno.

Naturalmente tale sommatoria deve ricadere nel periodo complessivo (arco esterno) previsto dal contratto.

Ma una volta che si sia integrato il superamento del periodo di comporto si potrà procedere alla risoluzione del rapporto con il lavoratore interessato.

E seppure il licenziamento per comporto sia una fattispecie particolare di recesso deve comunque rispettare alcuni canoni di correttezza.

In particolare, proprio perché il presupposto della facoltà di recedere si identifica con un determinato numero di malattie in uno specifico periodo occorrerà, quantomeno, indicare sia il numero di malattie prese in considerazione sia l’arco temporale in cui sono state conteggiate.

Usualmente si ritiene sufficiente riportare nella lettera il numero di malattie e l’arco temporale ma prudenza consiglia di indicare analiticamente ogni singola prognosi.

Ciò non solo rappresenta, per il datore, una verifica della correttezza dei conteggi ma consente al lavoratore di verificare la legittimità del provvedimento datoriale.

Ed infatti, in caso di contenzioso, il datore di lavoro sarà comunque tenuto a dare conto del calcolo del periodo di comporto fornendo prova (producendo la certificazione medica) di tutte le assenze conteggiate nel periodo preso in considerazione.

E non si dimentichi che alcuni contratti collettivi distinguono le varie ipotesi di assenza per malattia ad esempio considerando non conteggiatili i ricoveri ospedalieri, i day-hospital, ovvero le assenze per terapie particolari.

Non sarà quindi sufficiente prendere in considerazione tutti i certificati di malattia ma anche valutarne, uno per uno, la natura.

Una recente sentenza (Cassazione 8628/2022) si è pronunciata sull’indicazione, nella lettera di recesso, dei periodi di malattia e, partendo dal principio di immodificabilità delle ragioni comunicate con un motivo di licenziamento, ha affermato che le giornate di malattia indicate nella lettera di recesso sono immodificabili né se ne possono aggiungere altre.

E da tale assunto ha ricavato argomento per dichiarare illegittimo un licenziamento in quanto nel conteggio erano ricomprese due giornate sì di assenza ma non per malattia.

Ha poi proseguito esprimendo il principio secondo cui in caso di comporto secco non sia necessario specificare le giornate di assenza per malattia mentre è invece indispensabile in caso di comporto per sommatoria.

Ma poiché, come si è già detto, in caso di contenzioso il datore di lavoro dovrà dar conto delle giornate di malattia utilizzate ai fini del calcolo del comporto, il non indicarle analiticamente non porta vantaggi ed anzi, ove il recesso venisse impugnato, il lavoratore potrebbe eccepire di non aver avuto contezza, o di non aver potuto controllare, quali sue malattie siano state utilizzate per integrare il superamento del comporto ed in quale arco temporale.

Il dimostrare analiticamente, fin da subito con la lettera di recesso, il verificarsi delle condizioni che consentono il licenziamento per superamento del periodo di comporto rappresenta una garanzia di miglior tenuta del provvedimento datoriale poiché una sua declaratoria di illegittimità prevede la reintegrazione ed il risarcimento danni.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 25 maggio 2022.



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