Comporto – Esclusa dal computo l’interruzione di gravidanza
A differenza del semplice ricovero ospedaliero, il ricovero per interruzione della gravidanza è disciplinato dall’art 19 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151: “L’interruzione della gravidanza, spontanea o volontaria, nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della legge 22 maggio 1978, n. 194, è considerata a tutti gli effetti come malattia“. Pertanto:
- quando l’interruzione della gravidanza avviene dopo 180 giorni dall’inizio della gestazione va considerata parto prematuro da cui consegue il diritto all’astensione e alla relativa indennità di maternità per i tre mesi successivi e al relativo trattamento economico di maternità.
- Se invece l’interruzione avviene prima di 180 giorni dall’inizio della gestazione, l’interruzione di gravidanza viene considerata giuridicamente aborto e dà diritto alla stessa tutela sanitaria della malattia, con la conseguenza che una lavoratrice avrà diritto di assentarsi dal lavoro esclusivamente per il tempo necessario alla “convalescenza”.
Tuttavia, l’Articolo 20 del d.P.R. n. 1026/1976 – rubricato “Assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza” – prevede che: “Non sono computabili, agli effetti della durata prevista da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi per il trattamento normale di malattia, i periodi di assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza, ancorche` non rientrante nei casi previsti dalla lett. a) dell’art. 5 della legge, o da puerperio.”
L’interpretazione di tale norma fornita da INAIL e Ministero del Lavoro è quella secondo cui le assenze determinate dalla gravidanza non rientrano nel periodo di comporto di malattia e pertanto non sono computabili nel periodo massimo previsto dalla normativa contrattuale per la conservazione del posto di lavoro.
Infatti, sia le Circolari INAIL n. 48/1993 e n. 51/2001 che la Risposta ad Interpello n. 32 del 19 agosto 2008 del Ministero del Lavoro, hanno riconosciuto che le assenze per interruzione di gravidanza avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione, non si cumulano con precedenti o successivi periodi di malattia e che non sono quindi computabili nel periodo massimo previsto dalla normativa contrattuale per la conservazione del posto di lavoro il comunemente detto “periodo di comporto”.
Ed anche l’INPS, con circ. n. 139/2002, richiamando l’art 19 D.lgs. 151/2001, qualifica l’interruzione di gravidanza come malattia e precisa che tale fattispecie rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 1026/1976, riconoscendo implicitamente che l’interruzione di gravidanza sia qualificabile come malattia determinata da gravidanza di cui al predetto articolo 19.
Concludendo dall’analisi della normativa vigente emerge come l’interruzione di gravidanza nei casi previsti dagli articoli 4, 5 e 6 della L. n. 194/1978 è da qualificarsi come malattia e poiché la stessa interruzione di gravidanza, avvenuta entro il 180° giorno dall’inizio della gestazione, è qualificata altresì come aborto, ai sensi dell’art 12 del D.P.R. n. 1026/1976, l’interpretazione fornita da Ministero del Lavoro INPS e INAIL è quella di considerare l’aborto come malattia e nella specie “malattia determinata da gravidanza”, stante la connessione naturale tra i due eventi (gravidanza e aborto), circostanza questa che comporta l’applicazione della la speciale tutela di cui all’art 20 del D.P.R. n. 1026/1976 (non computabilità agli effetti della durata prevista da leggi, da regolamenti o da contratti collettivi per il trattamento normale di malattia, dei periodi di assistenza sanitaria per malattia determinata da gravidanza).