Smart working all’estero: questioni fiscali | ADLABOR | ISPER HR Review

La regola generale, ex articolo 15 del modello OCSE di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi, prevede che i redditi da lavoro dipendente potrebbero essere tassati in uno Stato diverso da quello in cui si ha la residenza fiscale in caso di svolgimento del lavoro sul territorio per un periodo superiore a 183 giorni.

L’art. 2 del TUIR stabilisce a sua volta i criteri per individuare la sussistenza della residenza fiscale in Italia affermando che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta (183 giorni e 184 giorni negli anni bisestili, n.d.r.)  sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del Codice civile”.

Tuttavia, a causa della pandemia mondiale, un lavoratore può aver trascorso o trascorrere tutt’ora un lungo periodo nello stato in cui non risulta fiscalmente residente a causa:

  • delle misure restrittive imposte dai singoli Stati per arginare la pandemia da Covid-19,
  • per scelta beneficiando del regime dello smart working.

Ciò comporta quindi la necessità di valutare quale disciplina fiscale vada adottata, da parte del datore di lavoro, nei confronti del lavoratore dipendente operante in regime di smart working all’estero.

L’OCSE con il documento del 21 gennaio 2021 ha aggiornato e confermato le linee guida che aveva emanato nell’aprile 2020, per cui in tema di residenza fiscale le amministrazioni fiscali e le autorità competenti dovranno considerare la durata delle misure di salute pubblica imposte o raccomandate dal governo e valutare di escluderle dal calcolo dei 183 giorni.

Secondo il Ministero dell’Economia e delle Finanze italiano, che aderisce alle indicazioni dell’OCSE, l’abitualità del soggiorno deve essere valutata non solo in base al numero dei giorni ma anche alla frequenza, durata e regolarità nella vita ordinaria e in un periodo come quello attuale non può non essere considerata l’eccezionalità dell’emergenza coronavirus.

Inoltre, al fine di identificare la territorialità dei redditi di lavoro dipendente per le persone che lavorano in un altro Stato in via eccezionale a causa della pandemia COVID-19 l’Italia ha concluso accordi con Francia e Svizzera, finalizzati a risolvere anche le questioni legate a smart working, residenza fiscale e tassazione.

L’Agenzia delle Entrate ha rilevato come gli accordi con la Francia, in vigore dal 24 luglio 2020, con efficacia dal 12 marzo 2020 e recentemente prorogati sino al 30 giugno 2021, e con la Svizzera, in vigore dal 20 giugno 2020 ed efficace dal 24 febbraio 2020, si riferiscano non soltanto ai lavoratori frontalieri, ma anche alla generalità dei dipendenti residenti di uno Stato che svolgono la propria attività lavorativa nell’altro Stato contraente il Trattato internazionale.

Alla luce di tali accordi internazionali i lavoratori dipendenti di un datore di lavoro italiano residenti in Svizzera o Francia e non frontalieri, che prima della pandemia lavoravano abitualmente in Italia e che ora lavorano in via straordinaria nei propri Stati di residenza causa COVID sono sottoposti al potere impositivo italiano anche se le prestazioni sono materialmente rese presso il domicilio estero della persona.

Rimane tuttavia una estrema incertezza per quanto riguarda i rapporti con gli altri Paesi europei con cui non è stato stipulato alcun trattato e a maggior ragione ove un dipendente di un’azienda italiana scelga di operare in smart working in un paese extracomunitario.

Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review


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