Licenziamento orale: la prova è a carico del lavoratore | ADLABOR

La Corte di Cassazione con sentenza n. 3822/2019 ha sciolto i dubbi in materia di onere della prova nel licenziamento orale. In particolare, la res controversa era l’estromissione dal posto di lavoro e la conseguente ripartizione dell’onere probatorio.

Nei fatti di causa il lavoratore M.T.  deduceva l’avvenuta intimazione del licenziamento in forma orale avverso il datore, il quale negava che la cessazione del rapporto fosse dovuta ad una sua iniziativa risolutoria . La Corte D’Appello di Catanzaro aveva confermato la ricostruzione del lavoratore ritenendo sufficiente per il licenziamento intimato in forma orale che la cessazione del rapporto fosse pacifica e non contestata e che nel caso di specie mancasse la prova delle dimissioni dedotte dal datore .

La Società ha lamentato alla Corte di Cassazione la “ violazione e falsa applicazione” dell’art 2697 c.c. in tema di ripartizione di onere probatorio poiché la Corte territoriale aveva posto a suo carico l’onere di provare le dimissioni nonostante  non vi fosse prova certa dell’avvenuta intimazione in forma orale del licenziamento a fronte solo dell’ effettiva  cessazione del rapporto di lavoro.

I giudici di legittimità hanno trattato la causa in pubblica udienza poiché la questione  ritenuta di particolare importanza ha dato luogo a letture non convergenti da parte della giurisprudenza.

Premesso che la regola in tema di ripartizione dell’onere probatorio è dettata dall’art. 2697 c.c.  che riconosce nei rapporti di durata  , dunque anche nei rapporti di lavoro,  che la parte  deducente l’estinzione è tenuta a dimostrare la sussistenza di un fatto idoneo alla risoluzione.

La  Suprema Corte individua due principali orientamenti della giurisprudenza.

Il primo che ritiene sufficiente per il lavoratore che impugna il licenziamento orale, la prova della cessazione del rapporto di lavoro facendo ricadere sul datore l’obbligo di fornire la dimostrazione che l’estinzione del rapporto di lavoro è avvenuta per altra causa.

Il secondo orientamento, a cui da seguito la Suprema Corte, ritiene che la prova gravante sul lavoratore comporti sia l’onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato sia il fatto costitutivo della domanda rappresentato dalla manifestazione della volontà datoriale di espellere il lavoratore dal circuito produttivo , anche se detta volontà si realizza con comportamenti concludenti.

Dunque la mera cessazione nell’esecuzione della prestazione non è una condizione idonea a fornire prova del licenziamento poiché è una circostanza di fatto con un espressione polivalente in quanto può essere effetto sai di un licenziamento ma anche di dimissioni o di una risoluzione consensuale.

Questo orientamento è preferibile poiché, diversamente si realizzerebbe un’inversione dell’onere probatorio a danno del datore non sorretta da una specifica previsione legislativa.

Inoltre, nel caso in cui il datore eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore, il giudice a fronte della gravità delle conseguenze derivanti da una corretta ricostruzione giuridica dei fatti in oggetto,  è chiamato ad utilizzare i poteri istruttori d’ufficio previsti all’art.421 c.p.c. ove perduri l’incertezza nella ricostruzione fattuale.

Infine, se anche con l’utilizzo di tali strumenti permanga l’incertezza, si riterrà necessaria l’ applicazione della regola dell’onere della prova che richiede ,alla parte che vuol far valere un diritto, di provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. In questo caso, essendo il lavoratore a dedurre un licenziamento orale, sarà suo onere darne prova .

 

A cura di Amanda Minoia

 


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