Rilevazione presenze del lavoratore – conservazione – diritto d’accesso | ADLABOR | ISPER HR Review
Per quanto tempo l’azienda deve conservare le rilevazioni presenze? Il dipendente ha diritto ad ottenere una copia delle rilevazioni presenze?
Non è infrequente che nel contenzioso si debba fornire la prova dell’orario o la presenza o l’assenza del lavoratore in azienda ed uno strumento per provare ciò potrebbe essere la rilevazione delle presenze effettuata dall’azienda. Infatti un lavoratore, tramite i suoi legali, potrebbe richiedere ad un giudice un’ingiunzione per la consegna del documento attestante le presenze giornaliere del lavoratore (es. le timbrature) cosicché possa utilizzarlo nel ricorso per provare l’orario effettivamente svolto. Tuttavia, non sempre il datore di lavoro conserva tali rilevazioni o difficilmente è disposto a condividerle con il lavoratore. Allo stesso tempo il datore di lavoro potrebbe aver interesse a conservare la rilevazione presenze per provare, ad esempio, che in un tal giorno il dipendente era assente (ingiustificato o in ferie). Perciò è necessario domandarsi se in capo al datore di lavoro sussista un obbligo/opportunità di conservazione della rilevazione presenze, e se il dipendente abbia diritto ad ottenerne una copia.
Non esiste una normativa specifica che imponga al datore di lavoro l’obbligo di conservare le timbrature. Tuttavia, ai sensi dei principi generali dell’ordinamento, ex. art 2220 c.c.: “Le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione. Per lo stesso periodo devono conservarsi le fatture, le lettere e i telegrammi ricevuti e le copie delle fatture, delle lettere e dei telegrammi spediti. Le scritture e documenti di cui al presente articolo possono essere conservati sotto forma di registrazioni su supporti di immagini, sempre che le registrazioni corrispondano ai documenti e possano in ogni momento essere rese leggibili con mezzi messi a disposizione dal soggetto che utilizza detti supporti”. Perciò in base a tali principi si potrebbe sostenere che i documenti che rilevano le presenze del lavoratore dovrebbero essere conservati per almeno 10 anni.
Il Garante della Privacy, con provvedimento n. 350 dell´8 settembre 2016, ha affermato, invece, che i dati relativi alle presenze dei lavoratori possono essere conservati per 5 anni al fine di garantire la regolare tenuta del LUL[1] ed ha aggiunto che “Analogamente, con riferimento alla conservazione per finalità di fatturazione, potranno essere conservati per i tempi stabiliti dalla legge (conformemente a quanto disposto dall´art. 2220 c.c.) i soli dati necessari a perseguire la predetta finalità, come disciplinata dall’ordinamento”. Perciò tali dati potrebbero essere conservati dal datore di lavoro per almeno 5 o 10 anni a seconda della finalità di conservazione.
Il datore di lavoro potrebbe conservare le rilevazioni presenze per almeno 5 anni in quanto, ex art. 5 del regolamento EU n. 679/2016[2], i dati vanno trattati per un arco temporale non superiore al conseguimento della finalità per cui sono trattati. Perciò se la finalità del trattamento dei dati è di attestare la presenza del lavoratore al fine della compilazione del LUL, siccome la normativa impone di conservare il LUL 5 anni dall’ultima registrazione (ex art. 6, comma 1, D.M. 9 luglio 2008) e il LUL si compila anche sulla base delle rilevazioni presenze, il datore dovrebbe conservare quest’ultime per almeno il relativo periodo.
A prescindere dall’obbligo di conservazione delle rilevazioni presenze, la normativa in materia di Privacy dal 1996 ad oggi, con l’art. 13 della L. 675/96, art 7 del codice della Privacy (D.Lgs. 196/2003) e da ultimo con art. 15 del Regolamento EU n. 679/2016, è chiara nell’affermare il diritto dell’interessato, il lavoratore, ad ottenere la conferma dell’esistenza dei dati e ad accedervi, ad averne comunicazione in forma intellegibile dal titolare del trattamento (il datore di lavoro). Quindi il lavoratore ha diritto ad ottenere la conferma dell’esistenza delle rilevazioni presenze e ad ottenerne una copia. Lo stesso diritto è stato confermato dal Garante della Privacy con comunicato stampa del 4 giugno 1999 e comunicato stampa del 17 gennaio 2000. In particolare, nel primo comunicato, il Garante ha affermato che la legge sulla privacy “obbliga il gestore della banca dati a fornire senza ritardo un compiuto riscontro alla richiesta di accesso presentata dall’interessato e mettere a disposizione i dati: nel caso specifico, quelli riguardanti l’entrata e l’uscita rilevati tramite badge magnetico, che l’interessato ha diritto di conoscere.”
Nel secondo comunicato, il Garante ha riaffermato che il diritto di accesso, previsto dalla normativa sulla privacy, può essere esercitato nei confronti di dati di carattere personale, che possono essere anche contenuti in diversi archivi, banche dati, documenti o supporti detenuti da chi utilizza i dati. Con l’esercizio dei diritti previsti dalla normativa sulla privacy “l’interessato può quindi chiedere al gestore della banca dati di confermare l’esistenza di dati che lo riguardano e, in caso positivo, di farseli comunicare in forma intelligibile”.
Inoltre, in una recente ordinanza del Tribunale di Monza del 22 ottobre 2021, il Giudice ha giustificato la conservazione delle timbrature per almeno 5 anni e il conseguente diritto del lavoratore ad ottenerne una copia: “ritenuto, inoltre, che alla luce di un’interpretazione sistematica della disciplina del LUL (nel quale vanno riportate anche le indicazioni delle presenze e, segnatamente, dei giorni e delle ore lavorate) e della disciplina in materia di accesso ai dati personali trattati da terzi (vd. Regolamento CE, Parlamento Europeo 27/04/2016 n° 679, G.U. 04/05/2016), sussista l’obbligo per il datore di lavoro di conservare le risultanze delle timbrature del badge e di metterle a disposizione del lavoratore che ne richieda la disamina almeno entro gli stessi limiti temporali di tenuta delle risultanze del LUL”.
Concludendo, ai fini operativi, si consiglia di conservare i dati relativi alle presenze del lavoratore, con gli appositi accorgimenti, per almeno 5 anni se non si intende conservarli per finalità contabili, in tal caso dovranno essere conservati almeno per 10 anni.
[1] Ex art. 6, comma 1, D.M. 9 luglio 2008, il Libro unico del lavoro (LUL) deve essere conservato per 5 anni dalla data dell’ultima registrazione. Nel Libro unico vengono riportate anche le indicazioni delle presenze e, segnatamente, dei giorni e delle ore lavorate.
[2] Secondo l’art 5, lettera e) del regolamento (UE) 2016/679, i dati personali vanno conservati “per un arco di tempo non superiore al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati; i dati personali possono essere conservati per periodi più lunghi a condizione che siano trattati esclusivamente a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, fatta salva l’attuazione di misure tecniche e organizzative adeguate richieste dal presente regolamento a tutela dei diritti e delle libertà dell’interessato”. Tale norma limita la conservazione dei dati personali, senza stabilire tuttavia un termine temporale preciso. La quantificazione del termine è da valutarsi tenendo conto dei motivi per cui l’organizzazione deve trattare i dati, nonché di eventuali obblighi legali per la conservazione dei dati per un determinato periodo di tempo.
Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 12 gennaio 2022