Smart Working – Profilo organizzativi, legali e di comunicazione | ADLABOR

Fin dalla sua introduzione lo smart working ha suscitato un’ondata di consensi. Si calcola che  in Italia i lavoratori “agili” siano oltre 480.000.

Un tema, mille potenzialità e tre professionisti:

–          Simone Colombo, consulente per l’organizzazione,

–          Goffredo&Associati, avvocati  giuslavoristi,

–          Mattia Murnigotti,  esperto in strategia della comunicazione,

 danno un loro contributo all’approfondimento attraverso tre articoli, che verranno diffusi  in sequenza.

 

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SMARTWORKING: COME CAMBIA L’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Nel mese di maggio si è tenuta la settimana del lavoro agile, per i più giovani smartworking.

Per tutto il periodo a Milano sono stati organizzati workshop sull’argomento e molti coworking sono stati aperti al pubblico per testare le opportunità di lavoro a distanza.

I dati dell’Osservatorio dello smartworking del Politecnico di Milano ci dicono che la crescita di progetti di lavoro agile ha raggiunto il 56% delle aziende di grandi dimensioni ed anche nella Pubblica Amministrazione sta crescendo di circa l’8%.

Le agevolazioni contributive, la cultura aziendale e le nuove esigenze dei dipendenti agevolano, oggi, accordi di lavoro agile anche in realtà meno strutturate e più piccole (PMI del tessuto produttivo italiano)

Ma cosa si intende veramente per smartworking?

Troppo spesso lo smartworking è accostato al telelavoro, ovvero alla possibilità di poter lavorare da casa. Il concetto di smartworking non è solo questo.

Smartworking significa organizzare la propria giornata lavorativa con estrema flessibilità fisica in termini di spazi lavorativi, di orario e di opportunità.

Collaborare con chiunque ed in qualsiasi momento; raggiungere qualsiasi parte del mondo. Lavorare in modo agile significa ridefinire il modello organizzativo del proprio lavoro, sempre più composto da progetti da sviluppare con colleghi di differenti aree o reparti, focalizzati sul risultato e non su regole convenzionali.

Un esempio di smartworking senza lavoro a distanza

Lavorando su un progetto di riorganizzazione, sono stato chiamato e ridefinire gli spazi di lavoro proprio in un’ottica smart: l’ufficio, un grande open space è composto di piccole aree per brevi riunioni, una sala per le riunioni più classiche ed un’area svago/break molto accogliente con tavolo e sedie per brevi confronti informali. Il tutto “cablato” con strumenti per video conference e lavagne condivisibili tramite web.

Le presenze sono autogestite, mediante portale dedicato che ogni collaboratore compila in autonomia.

Le attività sono state suddivise in progetti e verificati i vari step mediante stato avanzamento bisettimanale.

L’orario di lavoro è flessibile: non c’è un’ora precisa di ingresso e di uscita.

Le attività sono state suddivise in progetti e verificati i vari step mediante stato avanzamento bisettimanale.

Risultato?

Il personale oggi ha portato a termine quasi la totalità degli obiettivi e si è registrato un numero di ore di lavoro superiori all’orario normale con ingresso medio alle ore 9:00.

Con lo smartworking cambia l’organizzazione del lavoro

Da un punto di vista organizzativo, con lo smartworking si può dire addio ai classici orari d’ufficio affidando ai collaboratori obiettivi concreti da raggiungere. La regola è ottenere i risultati previsti nei tempi prefissati, al massimo della qualità. Un lavoratore “smartworker” deve essere responsabilizzato ed educato alla gestione del tempo:si passa da una struttura di controllo alla fiducia, quale elemento chiave per il legame tra la direzione ed il lavoratore. Se inizialmente questo tipo di attività è molto difficile e richiede molta formazione, nel medio periodo risulta essere la chiave per stimolare i propri collaboratori e mantenerli ingaggiati nel lungo periodo.

Un approccio smart al lavoro impatta sulla cultura organizzativa aziendale. Il worker può determinare come, con chi, con quali strumenti, quando e dove svolgere il proprio lavoro.
E’ il worker che riceve e attribuisce responsabilità sulla base di un meccanismo motivazionale che consente di migliorare se stesso e l’organizzazione nella quale è inserito, in una relazione reciproca tra worker e organizzazione.

Nel caso sopra descritto è stato necessario un cambio organizzativo (change management) che non ha tanto interessato un problema tecnologico o di processo, ma è stato fortemente incentrato sulla cultura aziendale. Mediante un cambio nella gestione della comunicazione, dei comportamenti, del linguaggio e delle politiche di performance.

Purtroppo il cambiamento non può essere graduale, ma come teorizzato da John Kotter, professore di Harvard e massimo esperto di organizzazione aziendale, per poterlo avviare è necessario instaurare un clima di urgenza all’interno dell’azienda: é fondamentale rendere consapevole tutta l’organizzazione che è arrivato il tempo di cambiare.
Tanto più l’azienda è di successo e tanto più sarà difficile avviare il processo di cambiamento.

L’organizzazione è una delle aree su cui bisogna attuare un cambiamento.

Nei prossimi due articoli si parlerà del cambiamento a livello legale e tecnologico con due esperti di entrambi i settori, che anticiperanno i contenuti di un workshop sullo smartworking.


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