L’istituto della trasferta: nozione e casi particolari | ADLABOR | ISPER HR Review
L’istituto della trasferta trova applicazione quando un lavoratore viene inviato in missione in località diversa da quella in cui normalmente opera.
La trasferta si distingue dal trasferimento perché è indefettibilmente caratterizzata dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa rispetto a quella abituale, mentre il trasferimento implica un mutamento definitivo e non temporaneo del luogo di lavoro.
La giurisprudenza di legittimità sul punto si espressa più volte affermando che: “L’istituto della trasferta si caratterizza per il fatto che la prestazione lavorativa deve essere effettuata, per un limitato periodo di tempo e nell’interesse del datore, al di fuori della ordinaria sede lavorativa.
Il compenso è volto a ristorare dei disagi derivanti dall’espletamento del lavoro in luogo diverso da quello previsto” (ex multis, Cass. Sent. n. 38340/2021).
Per aversi trasferta, dunque, è necessario che:
- al lavoratore sia richiesto di svolgere la sua attività lavorativa in un luogo diverso da quello abituale;
- il mutamento del luogo di lavoro sia temporaneo;
- la prestazione lavorativa sia effettuata in esecuzione di un ordine di servizio del datore di lavoro restando irrilevante il consenso del lavoratore.
In sostanza, la trasferta è una situazione temporanea che rende tuttavia di per sé più gravosa la prestazione e comporta per il lavoratore la necessità di sopportare delle spese (per i pasti, il pernottamento, i mezzi di trasporto ed altro) nell’interesse del datore di lavoro.
Affinché possa ritenersi integrata una trasferta deve sussistere una scissione tra sede lavorativa e luogo di svolgimento del lavoro.
L’indennità di trasferta, prevista di regola dalla disciplina collettiva, è l’importo che viene corrisposto al lavoratore che, per ordine ricevuto per ragioni di servizio debitamente riconosciute, deve recarsi fuori della sede di lavoro assegnatagli ed è qualificabile come il compenso per gli oneri derivanti dall’espletamento del lavoro in luogo diverso da quello previsto.
Ma cosa accade se un dipendente viene assunto formalmente presso una sede del datore di lavoro e ciononostante viene assegnato in via continuativa presso una unità produttiva diversa?
In una recente sentenza emessa dal Tribunale di Milano, un lavoratore aveva proposto ricorso per ottenere la condanna del datore di lavoro al pagamento di un’asserita indennità di trasferta per aver prestato la propria attività in un luogo di lavoro diverso da quello indicato nella lettera di assunzione come formale sede di lavoro.
Tale pretesa era dettata, a dire del lavoratore, anche dal fatto per cui non erano stati adottati formali provvedimenti di trasferimento che ne mutassero il luogo di lavoro.
Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 1751 del 6 luglio 2022, sottraendosi ad una interpretazione dei fatti focalizzata esclusivamente sul dato formale (ossia sul luogo indicato come sede di lavoro nel contratto) ha analizzato nel dettaglio le circostanze fattuali che hanno caratterizzato il rapporto di lavoro oggetto di “indagine”.
In primo luogo, il Tribunale di Milano ha affermato che: “Solitamente la trasferta si configura in un momentaneo invio in località diversa dal luogo di lavoro, mentre nel caso che ci occupa l’assegnazione a S. C. era prevista a tempo indeterminato ed è durata circa quindici anni: tale dato rappresenta la prova che non si trattava, per S. C., di una sede di lavoro diversa da quella di assunzione ma dell’originaria destinazione”.
A ciò si aggiunge che veniva accertato giudizialmente come il lavoratore non avesse mai effettuato quotidianamente un viaggio dalla sede di lavoro indicata nel contratto di lavoro fino alla sede ove eseguiva la prestazione lavorativa, ma che, invece, dal proprio domicilio percorreva pochi chilometri per raggiungere la sua effettiva sede di lavoro.
Il Tribunale di Milano, inoltre, precisava che, alla luce del principio della libertà di forma del trasferimento (ex multis Corte di Cassazione, Sentenza 19 giugno 2020, n. 12029), “Ne consegue che anche ove si volesse considerare la sede di R. come assegnazione di sede operativa di lavoro, l’aver comunicato al ricorrente la destinazione presso gli uffici T. di S. C. oppure l’aver impegnato il ricorrente successivamente alla sottoscrizione del contratto di assunzione su C. si atteggiano alla stregua di un trasferimento”.
In applicazione di tali principi giurisprudenziali è da escludersi l’esistenza di una trasferta ogniqualvolta non sussistano i requisiti della temporaneità e della diversità tra la sede di servizio e la sede in cui si è invitati a prestare l’attività.
Pertanto, con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano è giunto alla conclusione per cui, non sussistendo trasferta, non può riconoscersi al lavoratore richiedente, lo specifico trattamento della trasferta previsto dal Ccnl di settore applicabile e più in generale il trattamento di trasferta.
Ed anche la giurisprudenza di merito ha stabilito che: “Non spetta l’indennità di trasferta – con conseguente inoperatività delle esenzioni contributive a tale istituto correlate – nell’ipotesi in cui il lavoratore operi in maniera fissa e continuativa presso una determinata località, anche se la sede di servizio risulti formalmente fissata in luogo diverso, dove peraltro lo stesso lavoratore non ha alcuna necessità di recarsi per l’espletamento delle mansioni affidategli” (Trib. Bologna, Sent. 31.10.2016).
E il principio espresso dalla giurisprudenza citata non costituisce solo un principio logico e di buon senso, ma costituisce il carattere intrinseco dell’istituto della trasferta per cui la valutazione va effettuata in concreto e non su meri dati formali, perché l’indennità di trasferta per sua natura ha lo scopo di risarcire, analiticamente o forfettariamente, le spese sostenute dal lavoratore nell’interesse del datore di lavoro.
Interpretazione elaborata in collaborazione con ISPER HR Review del 7 settembre 2022.