Per il lavoratore tale possibilità non è però un diritto potestativo, in quanto la Corte di Cassazione, con sentenza a Sezioni Unite 4 settembre 2015 n. 17589, ha confermato l’interpretazione della norma nel senso che il lavoratore può restare in servizio anche dopo aver maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia, ma solo con il consenso dell’azienda.
Secondo la Cassazione, infatti, la norma “non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere fra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di 70 anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporti di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore“.
Quindi la norma non comporta che il lavoratore abbia diritto a scegliere unilateralmente di restare in servizio, ma semplicemente “prefigura la formulazione di condizioni previdenziali che costituiscano incentivo alla prosecuzione del rapporto di lavoro per un lasso di tempo che può estendersi fino a 70 anni“, prosecuzione per la quale è necessario che vi sia il consenso del datore di lavoro.
Altro aspetto rilevante della sentenza riguarda l’applicabilità della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo dei lavoratori subordinati che abbiano proseguito l’attività lavorativa fino a 70 anni: l’ultima frase del comma 4 (“Nei confronti dei lavoratori dipendenti, l’efficacia delle disposizioni di cui all’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300 e successive modificazioni opera fino al conseguimento del predetto limite massimo di flessibilità“) prevede infatti l’estensione dell’eventuale diritto al reintegro in caso di licenziamento ingiustificato, previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. In base alla citata sentenza, tale diritto opera soltanto se “le parti abbiano consensualmente ritenuto di procrastinare la durata del rapporto” fino ai 70 anni.
In sostanza, parrebbe trasparire dalla pronunzia delle Sezioni Unite il principio che il lavoratore in possesso dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia non abbia il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro ed alla protezione prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori fino all’età di 70 anni, se non con il consenso del datore di lavoro.
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